Che sia una giovane donna di alto rango è ben percepibile dalla raffinata eleganza con cui è abbigliata, dalla lunga collana che indossa e dal gioiello con pietra posto sul capo, nonché dall’elaborata acconciatura che porta, ma la sua identità resta ancora non definita dopo cinque secoli dalla sua realizzazione. Quel che oggi è certo è che il Ritratto di giovane donna eseguito intorno al 1520 è il più importante ritratto ad opera di Antonio Allegri, detto il Correggio (Correggio, 1489 - 1534), anche se in passato il dipinto venne attribuito erroneamente a Lorenzo Lotto. La paternità del dipinto è confermata dalla firma in latino dell’artista, leggibile sull’albero accanto alla gentildonna: Anton. Laet., ovvero Antonius Laetus, denominazione che il Correggio utilizzava all’inizio della sua carriera. A quell’epoca infatti si firmava spesso Antonio Lieto, latinizzando il proprio cognome in Laetus. Ad accorgersi dei due termini latini presenti nell’opera fu Ernst Friedrich von Liphart, barone, pittore, esperto e collezionista d’arte dell’attuale Estonia, nonché curatore dei dipinti dell’Hermitage di San Pietroburgo dal 1906 al 1929, che si domandò “Quel est cet Antoine dont la dame fait la joie? Ce tableau appartient au prince Youssoupow” (“Chi è questo Antonio che la dama rende felice? Questo dipinto appartiene al principe Jusupov); Liphart non capiva infatti chi fosse l’Antonio reso lieto dalla dama, secondo le lettere cubitali latine scritte in basso a sinistra. Tuttavia non esisteva una risposta a quella domanda, poiché successivamente quest’interpretazione fu smentita dal celebre critico d’arte Roberto Longhi, il quale chiarì che si doveva piuttosto intendere, come già affermato, come la versione latina di Antonio Lieto o Antonio Allegri. Quel meraviglioso ritratto era stato compiuto quindi dal Correggio.
Originario della città di Correggio, dove il pittore nacque, si sposò e morì, e nella cui corte si respirava un vivace clima culturale sia dal punto di vista umanistico che artistico, Antonio Allegri è considerato un genio del Rinascimento italiano per la sua intelligenza e la sua volontà nel continuo e approfondito studio che amava intraprendere nelle più disparate materie e soprattutto per “la sua genialità di creazione ed esecuzione formale”, come afferma Renza Bolognesi in un suo saggio.
Vasari, nelle sue Vite, dichiarò che “nessuno meglio di lui toccò colori, né con maggior vaghezza o con più rilievo alcun artefice dipinse meglio di lui”. Capace di spaziare dai temi sacri ai soggetti profani, dai lavori di cavalletto alle nobili stanze affrescate e alle vaste pareti ecclesiali, l’artista possedeva un dominio pittorico così ampio e unico che nessun altro pittore del Rinascimento poteva eguagliarlo. Fu “gloria per l’arte di tutti i tempi e genio universale”, come ribadì David Ekserdjian.
Correggio (Antonio Allegri), Ritratto di gentildonna (1520 circa; olio su tela, 103 x 87,5 cm; San Pietroburgo, Hermitage) |
Correggio (Antonio Allegri), Ritratto di gentildonna, dettaglio del volto |
Secondo quanto afferma Giuseppe Adani, tra i più noti studiosi ed esperti dell’Allegri, il “pittor delle Grazie” realizzò immagini della femminilità che suscitarono meraviglia fin dai suoi esordi: visi soavi che traeva dall’osservazione della realtà e che raffigurava con delicate fattezze anche grazie al suo animo sensibile e al suo incanto verso il gentil sesso, tratto distintivo della sua intera produzione artistica. Il Correggio infatti nel corso della sua carriera amò raffigurare il corpo femminile e lo si nota ben visivamente nei “volti incantevoli e intensamente espressivi, nelle mani e nei gesti, nelle capigliature raffinate e a volte straordinariamente elaborate”, tanto che lo stesso Vasari ne rimase piacevolmente colpito. Nelle sue Vite, si legge infatti che l’Allegri fece “capelli sì leggiadri, mostrandoci tanta facilità nella difficultà del fargli, di che gli debbono eternamente tutti i pittori”.
La gentildonna si presenta seduta davanti a un albero, sul cui tronco è avvolto un ramo di edera; è in primo piano, girata di tre quarti verso lo spettatore e lo osserva con posa signorile mentre incrocia le braccia. Ha occhi e capelli bruni, la carnagione chiara con le gote leggermente arrossate e sta abbozzando un leggero sorriso. L’acconciatura è molto elaborata, ma raccolta da una cuffia a nastri intrecciati, tipica della moda femminile cinquecentesca dell’Italia settentrionale; un accessorio divenuto popolare grazie a Isabella d’Este, come si nota nel celebre ritratto di quest’ultima realizzato da Tiziano (Pieve di Cadore, 1488/90 – Venezia, 1576). Gli abiti sono ampî e lussuosi, offrono una sensazione di morbidezza, e presentano una parte bianca e una parte, al di sopra di quest’ultima, di colore marrone scuro. Indossa una lunga collana fine color oro e tiene con la mano destra, offrendola allo spettatore, una coppa d’argento, mentre con la mano sinistra si sposta un lembo dell’ampia manica. Dietro di lei si intravede un paesaggio verdeggiante.
Nella produzione del Correggio sono molto rari i ritratti; ne viene alla mente tuttavia uno famoso, il Ritratto d’uomo con libro custodito nella Pinacoteca del Castello Sforzesco e realizzato nel 1522 circa, che mostra il soggetto in una posa aggraziata, come elegante e aggraziata è il Ritratto di giovane donna. Non a caso sono gli anni che precedono di poco la prima edizione del Cortegiano di Baldassarre Castiglione, pubblicata nel 1528, ma a cui il letterato stava lavorando dal 1513 al 1524, quindi i temi della grazia e della cortesia, soprattutto negli ambienti di corte, erano piuttosto frequenti.
Tiziano, Ritratto di Isabella d’Este (1534-1536; olio su tela, 102,4 x 64 cm; Vienna, Kunsthistorisches Museum) |
Correggio (Antonio Allegri), Ritratto d’uomo con libro (1522 circa; olio su carta fissato su tela, 60,2 x 42,5 cm; Milano, Castello Sforzesco, Pinacoteca) |
Raffaello, Ritratto di Baldassarre Castiglione (1514-1515; olio su tela, 82 x 67 cm; Parigi, Louvre) |
La coppa d’argento che la donna tiene tra le mani mostra inoltre una particolarità, o meglio un dettaglio sul quale sono state costruite le varie ipotesi relative all’identificazione del personaggio; all’interno si legge infatti la scritta in greco Nepenthes. Ancora una volta Ernst Friedrich von Liphartsi rese protagonista di una scoperta sul dipinto, poiché fu proprio lui a legare la scritta all’Odissea, in particolare al quarto libro, dove per la prima volta compare il termine nepenthés. È il passo in cui Telemaco, che si era imbarcato alla ricerca del padre Odisseo, giunge a Sparta nella reggia di Menelao e di Elena; il clima di commozione comune a tutti i presenti a causa del ricordo della guerra, dei lutti e della sorte di Odisseo stesso provoca in Elena la decisione di sciogliere nel vino che essi avrebbero bevuto proprio il nepenthes che aveva la proprietà di scacciare via il dolore: “Ma in altro Pensiero allora Elena entrò. / Nel dolce vino, di cui bevean, farmaco infuse / Contrario al pianto, e all’ira, e che l’obblio / Seco inducea d’ogni travaglio e cura”.
Come si è detto, l’identità della giovane non è stata ancora riconosciuta: questo infatti è uno degli aspetti più dibattuti dell’opera, oltre a quello della sua committenza. Per primo, Roberto Longhi avanzò l’ipotesi che la donna ritratta fosse la poetessa Veronica Gambara (Pralbonio, 1485 – Correggio, 1550), a cui alluderebbe il cespuglio d’alloro alle sue spalle, in quanto simbolo della poesia; Veronica Gambara era una fine poetessa apprezzata da Pietro Bembo (Venezia, 1470 – Roma, 1547) e moglie del signore di Correggio, Gilberto X da Correggio, rimasta vedova di quest’ultimo nell’agosto del 1518. Veronica Gambara avrebbe dovuto essere “la naturale patrona” del pittore, in quanto per lenire il dolore del recente lutto potrebbe avere ingerito il nepenthes; il suo stato da vedova poteva essere inoltre confermato, secondo Longhi, dai “panni bruni”, dallo “scapolare”, che secondo una credenza sarebbe stato donato dalla Madonna del Carmelo a san Simone Stock per liberarlo dalle pene del Purgatorio, e dal “cordiglio di terziaria francescana”.
Dalle fonti cinquecentesche, però, risulta che la Gambara fosse di corporatura robusta e poco aggraziata, dunque, seguendo tali documentazioni, lo studioso correggese Riccardo Finzi rifiutò l’idea di Longhi e avanzò l’ipotesi che quella raffigurata fosse Ginevra Rangone (?, 1487 – Castiglione delle Stiviere, 1540), altra nobile dell’ambiente di Correggio, anch’ella rimasta vedova di Giangaleazzo da Correggio nel 1517 e inoltre terziaria francescana.
Correggio (Antonio Allegri), Ritratto di gentildonna, dettaglio della coppa |
Nonostante Veronica Gambara e Ginevra Rangoni siano state entrambe per lungo tempo le due gentildonne più probabili per un’identificazione, recentemente è stato avanzato il nome anche di un’altra vedova, Laura Pallavicino Sanvitale, moglie del signore di Fontanellato, Gianfrancesco Sanvitale, scomparso nel 1519; in questo caso, la presenza dell’alloro rimanderebbe al nome della donna, Laura.
Nessuna di queste identità è stata finora confermata, anche perché oggi si pensa che in realtà in nepenthes non rimandi alla vedovanza, ma alla più probabile interpretazione che il “farmaco” sia in senso allegorico il dialogo e la capacità di allietare gli ospiti attraverso una sorta di supporto morale: la gentildonna quindi sarebbe modello di religiosità e della capacità di relazionarsi con gli altri mediante un dialogo colto. E l’interpretazione dello stato vedovile è stata dunque superata in quanto nell’opera non sono presenti simboli che rimandano a ciò: nessuna fede nuziale e gli abiti rispecchiano la moda dei primi decenni del Cinquecento.
Quanto alle vicende collezionistiche aveva ragione Liphart che aveva affermato: “Ce tableau appartient au prince Youssoupow”; in effetti la prima testimonianza relativa al dipinto rimanda alla collezione del principe Nikolaj Borisovič Jusupov di San Pietroburgo che lo aveva acquistato dal mercante veneziano Pietro Concolo. Il quadro entrò a far parte della collezione Jusupov dal 1837 e dal 1918 al 1924 rimase nel palazzo-museo della famiglia; da qui giunse all’Hermitage nel 1925, dove è ancora conservato.
Tuttavia, grazie allo straordinario prestito del celebre museo di San Pietroburgo, fino all’8 marzo 2020, il Ritratto di giovane donna è in mostra a Reggio Emilia, nei Chiostri di San Pietro, e in concomitanza a questo evento, si avrà inoltre l’occasione di comprendere in modo più approfondito come le donne si abbigliavano, si ingioiellavano e si pettinavano nei primi anni del Cinquecento e di come l’ornamento si sia sviluppato fino ai nostri tempi, nell’esposizione What a wonderful world. La lunga storia dell’Ornamento tra arte e natura, ospitata nelle due sedi di Palazzo Magnani e dei Chiostri di San Pietro.
Uno straordinario prestito e un’inedita mostra legati da due aspetti apparentemente estranei, ma in realtà vicini: l’arte e la moda.
Bibliografia
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.