“Il restauro è un atto critico”. Questa fu la definizione coniata da Paul Philippot (1925 – 2016), tra i padri fondatori dell’ICCROM, e che altrettanto fortemente fu ripresa e ampliata da Giovanni Carbonara (1942 – 2023), professore emerito di Restauro architettonico presso l’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, , a cui l’architetto Claudio Montagni, nel corso del nostro sopralluogo al cantiere di restauro della facciata della cattedrale di San Lorenzo, rivolge un particolare ricordo.
Progettista e direttore dei lavori – appena conclusi – della restauro della facciata del duomo genovese, Montagni ha incentrato il suo operato proprio sull’applicazione di tale principio che, arricchito da un’intrinseca valenza di responsabilità collettiva, ha portato, dopo un anno di lavori, il prospetto principale della cathedra vescovile genovese ad un ritrovato – e doveroso – splendore. L’indubbia bellezza artistica e architettonica di San Lorenzo va di pari passo con un silenzio filologico che, in determinati frangenti, rende ancora oggi criptici alcuni passaggi ed evoluzioni costruttive.
Le prime testimonianze relative alla chiesa risalgono all’878 d.C. anno in cui le reliquie di san Romolo –vescovo ed eremita sanremese – furono trasferite proprio presso la cattedrale genovese, a causa delle scorribande saracene perpetuate lungo le coste dell’estremo Ponente ligure. A quel tempo però San Lorenzo, come indicato nella Cronaca Civitatis Ianuae da Jacopo da Varagine, non risultava ricoprire il ruolo di cattedrale, titolo riservato all’odierna chiesa di San Siro, dedicata, all’epoca, ai Dodici Apostoli.
L’affascinante dibattito sulla concattedralità della sede vescovile genovese è ancora oggi motivo di discussione da parte della critica, ma quel che è certo è che nel 1007, con il passaggio della chiesa ai benedettini e, soprattutto, con il precedente ampliamento delle mura cittadine, San Lorenzo divenne il nuovo centro religioso cittadino. Allo scadere del millennio, infatti, la cinta di mura vedeva come principale ingresso di Levante la Porta di Castello, proseguiva verso l’odierna Porta Soprana per concludere il proprio tracciato nell’accesso di Ponente, la Porta San Pietro. Il perimetro delimitato dalle fortificazioni, dunque, andò ad inglobare all’interno della città San Lorenzo, escludendo contestualmente tutta la zona del suburbio – la Maddalena – e, di conseguenza, San Siro. In virtù di questa nuova centralità, nel 1118 vengono consacrati, alla presenza di papa Gelasio II, l’altare e l’oratorium della cattedrale – intitolati al martire spagnolo – e nel 1133 Genova assurge a sede arcivescovile, sancendo così il nuovo ruolo religioso, politico e civile della città e, contestualmente, della sua cattedrale.
Il nuovo status impose alle autorità cittadine di avviare tra XI e XII secolo una completa trasformazione dell’edificio in forme romaniche, affidando lo sviluppo dei lavori ai celebri Magistri antelami, così denominati per la loro origine comasca, nello specifico la Val d’Intelvi (Antelavus).
Attestati a Genova, come testimoniato dagli atti notarili, fin dal 1157, questa corporazione, specializzata nelle arti murarie – termine quantomai generico ma utile per capire il macroambito in cui operavano –, deteneva il monopolio di tutte le attività afferenti all’ambito architettonico-costruttivo: cavavano i materiali, li trasportavano, li commerciavano oltre a detenere il quasi totale appannaggio sulla lavorazione degli stessi. Una corporazione decisamente “presente” sul territorio genovese – come ben testimoniato dalle celebri e durature famiglie dei Gagini e dei Carlone di Scaria e di Rovio – tanto da essere gli unici in città, anche grazie ad un’apposita regolamentazione giuridica, a poter commerciare “secundum morem et consuetudinem terre Antelami”.
Ma è il XIII secolo a rappresentare per le sorti della cattedrale – e anche per tutto l’ambito artistico locale – un vero e proprio spartiacque: l’eco, infatti, delle innovative forme gotiche proveniente dai territori d’Oltralpe – su tutti la cattedrale di Chartres (fig. 2) – iniziò a diffondersi nei territori settentrionali della Penisola.
Genova e il suo principale edificio di culto non rimasero esclusi da tali cambiamenti che, partendo dalla facies esterna, diedero avvio ad una seconda fase di rinnovamento che, con estrema probabilità, dovette avvenire nel corso della prima metà del Duecento sotto l’arcivescovado dell’alessandrino Ottone II Ghilini. Ed è proprio grazie al recente restauro che, in assenza di una qualsivoglia puntuale documentazione filologica, l’attività in questione diviene, oltre che atto critico, una coerente, necessaria e supportante analisi storico-artistica. Come evidenziato da Montagni, infatti, a titolo esemplificativo, grazie al restauro si è potuto osservare come i marmi bianchi, tra loro coevi e analoghi per composizione materica, presenti sul prospetto principale della cattedrale, si siano conservati in modo non omogeneo – aspetto ben evidente nella differente resa cromatica marmorea –, permettendo pertanto di ipotizzare come, tra le molteplici e plausibili casistiche, tale distinzione cromatica possa essere ascritta a successivi interventi post duecenteschi (fig. 3).
I lavori duecenteschi, come specificato, debbono dunque considerarsi una vera novità da un punto di vista artistico ma, soprattutto, da un punto di vista corporativo: il progetto, infatti, venne affidato alle maestranze d’Oltralpe che incentrarono il loro linguaggio su quell’opus francigenum che tanta fortuna andava riscontrando, un vero “terremoto artistico” che minò e scalzò – seppure momentaneamente –, per la prima volta da circa due secoli, il monopolio dei Magistri antelami.
L’ammodernamento di San Lorenzo, incentrato sui nuovi stilemi gotici – riprendenti, a titolo esemplificativo, l’erigenda cattedrale di Rouen –, appare ben evidente proprio nel Westwerk – il corpo occidentale – che, ampliato nella profondità rispetto al limite dell’originario prospetto romanico (fig. 3), mantenne sì la bicromia della cultura locale, cambiando però completamente la propria facies, impostata su una facciata cinta da due torri. Di notevole interesse, infatti, risulta osservare come l’intero corpo principale risulti essere costituito da sole strutture portanti prive di ogni sorta di “muratura piena” tipica del modus costruendi romanico, di cui furono salvati i due portali laterali – San Giovanni e San Gottardo (fig. 1).
L’attività di rinnovamento artistico-architettonico di San Lorenzo proseguì nel corso del XIV e XV secolo, riguardando anche gli spazi interni che, nel Quattrocento, videro le navate laterali arricchirsi di cappelle e altari di cui, per dovere di cronaca, si segnala la Cappella del Battista, ideata nel 1448 da Domenico Gagini – Magister antelamo – per ospitare le ceneri di Giovanni Battista, condotte a Genova dal risolutore Guglielmo Embriaco al termine della Prima Crociata (1099). Seppure marginale rispetto alla centralità del presente contributo, risulta altrettanto opportuno sottolineare come un secondo e innovativo “terremoto artistico”, avente sempre come theatrum proprio la cattedrale, fu il 1548. In tale anno, infatti, a Genova “sbarcò” il celebre architetto manierista Galeazzo Alessi che, incaricato dai Sauli di realizzare la gentilizia basilica di Santa Maria Assunta in Carignano, a seguito di un’esplosione, avvenuta nel 1550, di un deposito di polveri proprio nei pressi della cattedrale, venne incaricato di progettare la ricostruzione della chiesa, presentando così nel 1556 un modello ligneo con “tutto quelo che se habi da fabricar in nel domo di Santo Laurenzo”. Del progetto alessiano, incentrato sull’innovativa scuola romana cinquecentesca, vennero realizzate “soltanto” la cupola, sostituita all’originario tiburio, e la copertura delle navate con volte a botte. A ciò, va inoltre aggiunto che Alessi, a partire dal 1550, fu il principale artefice, insieme al suo assistente Bernardino Cantone, dell’orchestrazione della costruenda Strada Nuova – oggi via Garibaldi. Un’ulteriore personalità cardine nello sviluppo artistico di Genova, protagonista, però, di un’altra storia.
Tornando ai duecenteschi lavori di riammodernamento, vi è la necessità di segnalare come il linguaggio francigenum venne però stemperato con elementi decorativi di impianto mediterraneo, ben visibili nel portale principale ove influenze mediorientali, arabo moresche, siciliane concorrono alla realizzazione di un risultato finale eccezionale, frutto di un sincretismo artistico che, grazie alla cooperazione di differenti maestranze – differenti inevitabilmente anche per religione –, giunsero ad un risultato finale senza precedenti (fig. 5a, b, c, d).
Ognuno dei tre portali, fortemente strombati (fig. 6 a, b), è animato da un continuum decorativo di colonne – differenti per forma e cromia –, di elementi zoomorfi, fitomorfi e raffinati intarsi policromi, tutte componenti sottese alla valorizzazione del vasto repertorio iconografico “narrato” in facciata.
Esempio eclatante di questa raffinata commistione di stili appare il portale maggiore la cui lunetta presenta l’imponente figura di Cristo giudice (fig. 7 a, b) sotto cui si sviluppa il Martirio di san Lorenzo, arso vivo sulla graticola (fig. 8). Ciò che i restauri hanno permesso nuovamente di apprezzare sono, senza dubbio alcuno, le vivaci cromie che circondano il Cristo assiso in trono: i simboli dei quattro Evangelisti, disposti intorno al Giudice, occupano la porzione superiore della lunetta che, lungo il suo perimetro, è cinta da motivi lobati decorati con vivaci e pregevoli colori quali blu lapislazzuli, verde malachite e rosso cinabro (fig. 9 a, b). Ma ciò che risulta ancor più sbalorditivo è osservare come la cromia del portale maggiore sia stata ulteriormente accentuata nel trono su cui siede Cristo mediante l’utilizzo di raffinate tessere musive – sostitute della “semplice” macinazione dei pigmenti – derivanti da oggetti di riuso quali piatti e vasi (fig. 10).
Questa particolarità è ancor più marcata ed evidente nella porzione di lunetta dedicata a san Lorenzo in cui l’angelo posto al margine destro, dietro la folla che assiste al martirio, risulta anch’esso decorato con questo materiale di riuso ben testimoniato da un tassello ove compare una piccola testa femminile, senza dubbio alcuno elemento decorativo di un precedente vasellame (fig. 11).
Inoltre, il portale maggiore, inevitabile fulcro narrativo della facciata, presenta lungo i suoi stipiti un repertorio iconografico di mirabile interesse, caratterizzato dalla rappresentazione dell’Albero di Jesse, posto a destra, e dalle Storie di Cristo a sinistra. I due straordinari bassorilievi, testimoni della sapiente abilità nel trattare il marmo dei maestri francigeni, accompagnano i battenti della cattedrale attraverso un’affascinante narrazione caratterizzata da un articolato gioco di intrecci marmorei resi mediante il basso e il bassissimo rilievo.
Ma ciò che colpisce oltremodo di questo raffinato continuum marmoreo risulta l’ultima “scena” posta alla sommità dell’Albero di Jesse, in cui la Trinità è rappresentata da Dio Padre che, assiso in trono, sorregge entro le gambe il languido busto di Cristo, tenendolo ulteriormente per le mani a “modi di Crocifissione” (fig. 12). Padre e Figlio risultano ulteriormente uniti dalla colomba, lo Spirito Santo, le cui ali spiegate uniscono le bocche dei due effigiati, manifestandosi come una particolare, unica e soprattutto non comune iconografia del dell’iconico incipit del Vangelo di Giovanni: “In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio […]. E il verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi” (1, 1-14).
Il restauro ha consentito, inoltre, di focalizzarsi con una più puntuale attenzione sull’immenso repertorio scultoreo che adorna i tre “prospetti” della cattedrale, caratterizzati sì da “miniati” bassorilievi e vivaci policromie marmoree ma, al contempo, arricchiti anche da pregevoli sculture a tutto tondo. È questo il caso della Vergine con il Bambino (fig. 13 a, b) che, collocata sopra il portale di sinistra, adorna la bifora centrale presente nel registro mediano –contrapponendosi alla statua di San Giovani Battista, ubicato sopra l’opposto portale. L’attività di restauro, come sottolineato sempre da Montagni, ha fatto emergere, grazie ad una sapiente pulitura, un aspetto fino ad oggi sconosciuto: il velo della Vergine che, oltre il capo, le avvolge anche le spalle, presenta lungo il suo perimetro un’interessantissima decorazione con piccole nappe stilizzate richiamanti quelle modalità di rappresentazione femminile tipiche delle decorazioni musive ravennati bizantine – San Vitale e Sant’Apollinare in Classe (fig. 14).
La cattedrale di San Lorenzo, dunque, per la sua affascinante cronaca aedificandi, per la sua sterminata decorazione marmorea e statuaria e per la sua “apparente” ricchezza materica – incentrata sull’impiego di soli cinque materiali quali la pietra nera di Promontorio, la peridotite verde e nera, il marmo rosa di La Spezia, le oficalci rosse e verdi di Levanto e Valpolcevera e il marmo bianco delle Alpi Apuane – può ritenersi un imparagonabile e unico “manufatto” artistico a livello europeo.
Un manufatto ricco di storia, cultura e arte che, scenario di grandi rivoluzioni artistiche locali, il recente restauro ha permesso di rivalorizzare, consentendo così di poter aprire un nuovo e forse ancor più affascinante capitolo su alcuni di quegli aspetti tutt’oggi criptici e ancor poco lineari.
L'autore di questo articolo: Giorgio Dellacasa
Storico dell'Arte e divulgatore scientifico. Ho 25 anni, sono nato a Genova e qui ho compiuto tutto il mio percorso di studio universitario, conseguendo la Laurea triennale in Conservazione dei Beni Culturali e la Laurea magistrale in Storia dell'Arte e Valorizzazione del patrimonio storico artistico. Attualmente ho conseguito l'accesso alla Scuola di Specializzazione in Beni Storico-Artistici di Genova.