Renoir, Van Gogh e Picasso: i ritratti di Detroit a confronto


Tre ritratti conservati a Detroit di tre grandi artisti moderni a confronto: Pierre Auguste Renoir, Vincent Van Gogh e Pablo Picasso.

Se immaginassimo di trovarci accanto a grandi artisti come Renoir, Van Gogh e Picasso e di poter domandare loro in quale modo si apprestano a realizzare un ritratto, di sicuro otterremmo considerazioni alquanto differenti, se non addirittura antitetiche. Nell’arco di un secolo, infatti, ovvero dalla seconda metà dell’Ottocento alla metà del Novecento, si susseguirono varie correnti e pertanto diversi modi di dipingere, oggigiorno molto apprezzati dal grande pubblico ma che, al contrario, trovarono poco riscontro nella loro epoca: si pensi all’impressionismo e allo scalpore che ne derivò quando i canoni tradizionali dell’arte e della “buona pittura” vennero messi da parte per inseguire il senso di libertà del dipingere all’aria aperta, tra il rumore del vento che risuonava tra chiome d’alberi e fili d’erba e il sole splendente che riscaldava il viso e il corpo del pittore. Niente più pittura all’interno degli atelier degli artisti, ma direttamente nel luogo oggetto del dipinto.

Non sempre però gli impressionisti rappresentavano paesaggi o persone all’interno di paesaggi; erano molto diffuse infatti anche le scene di vita quotidiana, in cui i personaggi raffigurati erano colti in pose naturali e disinvolte, in azioni abituali della quotidianità, dando spesso l’impressione all’osservatore di non accorgersi di essere stati ritratti, come quando qualcuno ci scatta una fotografia senza che ce ne accorgiamo: il risultato è di assoluta naturalezza e spontaneità. Ne è un esempio la Donna in poltrona di Pierre Auguste Renoir, opera realizzata dall’artista nel 1874, anno della prima mostra impressionista, e conservata al Detroit Institute of Arts. La donna dai capelli castani e con una piccola frangetta che le incornicia il volto appare in una posa rilassata, con la schiena completamente appoggiata alla poltrona su cui è seduta e le braccia incrociate sotto il seno prosperoso contenuto da una camicetta bianca che le lascia scoperte le spalle; dallo sguardo sembra pensierosa, assorta nei suoi pensieri, oppure sembra stia ascoltando qualcuno che le si trova accanto: gli occhi infatti non osservano lo spettatore o l’artista che la sta ritraendo, ma sono rivolti verso la sua sinistra. La luce che le illumina il viso e il décolleté, le guance leggermente arrossate e l’abbigliamento lasciano intendere che il ritratto sia stato realizzato in una bella giornata calda di sole primaverile o estiva.

Pierre Auguste Renoir, Donna in poltrona
Pierre Auguste Renoir, Donna in poltrona (1874; olio su tela, 61 x 50,5 cm; Detroit, Detroit Institute of Arts)

Se avessimo domandato a Renoir come si accingeva a ritrarre una persona, ecco, probabilmente avrebbe risposto che la sua intenzione era quella di dare maggior risalto al soggetto su cui voleva attirare l’attenzione, illuminandolo con una luce naturale e definendo in modo più preciso il tratto, mentre lo sfondo era il risultato di pennellate veloci e non definite, in cui i colori si sovrapponevano, si mescolavano, senza contorni precisi, dando un senso di evanescenza a ciò che circondava il soggetto su cui l’osservatore avrebbe concentrato lo sguardo.

Solo tredici anni più tardi, Vincent Van Gogh avrebbe realizzato il suo famoso Autoritratto, anch’esso conservato al Detroit Institute of Arts. Spettò proprio a questo museo l’onore di essere il primo tra i musei americani a possedere un dipinto dell’artista: si trattava proprio dell’Autoritratto del 1887, che l’istituto acquisì nel 1922.

Un brano della lettera di Van Gogh a Livens
Un brano della lettera di Van Gogh a Livens
Nel periodo in cui l’opera venne compiuta, Van Gogh si era trasferito su invito del fratello Theo a Parigi, dove era entrato in contatto con gli impressionisti: ammirava i nudi di Degas, i paesaggi di Monet. Affascinato da questi artisti, diede risalto nei suoi dipinti alla luce e ai colori, ma lo spirito non era già più impressionista: Van Gogh trasmette nei suoi autoritratti tutta la sofferenza che prova a causa delle infelicità amorose e delle sue condizioni economiche poco favorevoli. Secondo quanto si legge in una lettera scritta da Van Gogh stesso al pittore inglese Horace Livens, che aveva conosciuto ad Anversa, a causa della mancanza di disponibilità economiche per poter pagare i modelli per i ritratti, cominciò a realizzare alcuni autoritratti e a dipingere fiori: in queste opere l’artista compì uno studio approfondito sui colori. Così Van Gogh scriveva, in inglese, all’amico: I have made a series of colour studies in painting simply flowers, red poppies, blue corn flowers and myosotys, white and rose roses, yellow chrysanthemums – seeking oppositions of blue with orange, red & green, yellow and violet, seeking les tons rompus et neutres to harmonise brutal extremes (“Ho fatto una serie di studi sul colore dipingendo semplicemente fiori, papaveri rossi, fiordalisi e nontiscordardime blu, rose bianche e rosa, crisantemi gialli – cercando i contrasti tra blu e arancione, rosso e verde, giallo e viola, cercando i tons rompus e i colori neutri per armonizzarli con i colori più estremi e brutali”).

I dipinti di Van Gogh non trasmettono la joie de vivre impressionista, ma sono l’emblema dei suoi tormenti e della sua solitudine. Quello del 1887 è un autoritratto allo specchio e il suo sguardo è fisso e indagatore; su un sfondo indefinito risalta il giallo acceso del cappello di paglia e della barba e il viso sembra uscire dalla tela. Una luce data quindi da colori accesi stesi con tratti marcati e ben visibili: una peculiarità del modo di dipingere di Van Gogh, che spesso addirittura spremeva il colore dal tubetto direttamente sulla tela.

Vincent Van Gogh, Autoritratto
Vincent Van Gogh, Autoritratto (1887; olio su tela, 52 x 43 cm; Detroit, Detroit Institute of Arts)

A distanza di quasi un secolo dalla Donna in poltrona di Renoir, Pablo Picasso quasi ottantenne realizzò nel 1960 Donna seduta, oggi conservato, come i precedenti due dipinti, al Detroit Institute of Arts. Il modo di ritrarre e di dipingere era notevolmente cambiato: se nel ritratto impressionista la donna ritratta era illuminata dalla luce del sole e raffigurata esattamente come era nella realtà, nell’opera di Picasso assistiamo a un’altra rivoluzione dell’arte; siamo nel pieno del cubismo: le forme del viso e del corpo si scompongono e si ricompongono in modo che esse possano essere viste allo stesso tempo da più angolazioni. A nessuno sfuggirà la composizione del viso della donna nel dipinto del 1960: appaiono addirittura tre angolazioni l’una accanto all’altra! Ma anche alcune parti, come le mani, appaiono irreali, notevolmente sproporzionate rispetto al resto del corpo.

Pablo Picasso, Donna seduta
Pablo Picasso, Donna seduta (1960; olio su tela, 146 x 114 cm; Detroit, Detroit Institute of Arts)

Nettamente differenti notiamo essere i colori che Picasso ha utilizzato sia rispetto a Renoir che a Van Gogh: se gli ultimi due prediligevano tinte chiare e colori sgargianti, il primo prediligeva tinte scure o dipinti quasi interamente in bianco e nero, come nel caso della sua Donna seduta, in cui l’unica eccezione è rappresentata dal rosso-bordeaux del vestito. Anche i contorni e le linee sono marcati a differenza degli altri due dipinti.

Cambiamenti radicali che hanno segnato profondamente la storia dell’arte nell’arco di appena un secolo. I ritratti di Renoir, Van Gogh e Picasso qui citati sono esposti fino al 10 aprile a Palazzo Ducale di Genova all’interno del percorso della mostra “Dagli Impressionisti a Picasso. I capolavori del Detroit Institute of Arts”.

I tre ritratti a confronto
I tre ritratti a confronto. Abbiamo cercato di rispettare le reali proporzioni dei dipinti


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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.






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