Il 30 ottobre del 1567, una piena del fiume Brenta distruggeva il ponte che collegava il centro di Bassano al quartiere di Angarano: si trattava di un ponte molto antico, attestato per la prima volta nel 1209, e comunque costruito dopo il 1157, stando a ciò che si sa dai documenti. Si trattava di un ponte di legno coperto, a cui si accedeva passando attraverso una porta, ed era una struttura di collegamento di estrema importanza per la città. Non era la prima volta che le acque del Brenta lo distruggevano, tanto che nel 1525, dopo l’ennesima piena, il governo cittadino aveva preso in considerazione l’idea di costruirne uno in pietra, salvo poi tornare, nel 1530, al consueto ponte di legno. Nei momenti in cui il ponte era distrutto o impraticabile, il collegamento tra una sponda e l’altra del fiume era garantito da un vero servizio di traghetti che gli abitanti di Bassano avviavano in attesa che la città ripristinasse la funzionalità del ponte. Dopo la piena del 1567, tuttavia, la città decise di affidare la ricostruzione a uno dei più grandi architetti del tempo, ovvero Andrea Palladio (Andrea di Pietro della Gondola; Padova, 1508 - Maser, 1580), che era una sorta di habitué di Bassano. La vicenda è stata rievocata e approfondita dalla mostra Palladio, Bassano e il Ponte. Invenzione, storia, mito (ai Musei Civici di Bassano del Grappa dal 23 maggio al 10 ottobre 2021), centrata in parte sul ruolo che il grande architetto veneto ha avuto nella ricostruzione del ponte.
Sappiamo che Palladio era in stretto contatto, almeno dal 1548, con un nobile locale che aveva casa a Vicenza, Giacomo Angarano (esattamente come il quartiere unito al centro di Bassano), di diciotto anni più giovane rispetto all’architetto, ma suo grande amico nonostante la differenza d’età. Il rapporto tra i due era molto stretto: Angarano anticipò a Palladio una somma di 60 scudi d’oro per la dote della figlia Zenobia (il contratto matrimoniale venne firmato proprio a Palazzo Angarano), l’architetto omaggiò l’amico nei Quattro Libri dell’Architettura, e sempre per Angarano il Palladio lavorò su almeno tre progetti, ovvero un palazzo, una villa e un ponte. Il palazzo non venne mai realizzato, mentre la villa (ovvero Villa Angarano Bianchi Michiel a Bassano) e il ponte (il ponte sul torrente Cismon, che si trova circa trenta chilometri a nord di Bassano: sorgeva su un terreno degli Angarano che avevano voluto costruirlo per velocizzare i collegamenti nell’area e guadagnarci riscuotendo un pedaggio per l’attraversamento) furono portati a compimento. Palladio era noto anche per la sua abilità nel risolvere problemi di idraulica e, nel suo “curriculum”, vantava già esperienze sui ponti, sia in legno sia in muratura, almeno dal 1544. E proprio in qualità di esperto di ponti Palladio si trovava ospite di Angarano nel 1566, ed è probabile che anche la decisione della città di affidare la ricostruzione del ponte a Palladio si debba a un’intercessione del nobile amico.
Si conserva un pagamento del 1° gennaio del 1568, reso noto nel Settecento da Tommaso Temanza, biografo del Palladio, per il quale vengono pagate 28 lire all’architetto per aver proposto un “dessegno del ponte, de mandato de li spectabili sindaci”. La storia delle ricostruzioni di questa struttura, scrive la studiosa Donata Battilotti nel catalogo della mostra bassanese, “vede ricorrere il dibattito su un rifacimento in muratura o in legno, per cui l’ipotesi di Temanza che ciò si sia verificato anche questa volta e che Palladio abbia proposto in prima battuta un ponte in pietra, spinto e sostenuto da una parte della classe dirigente locale, appare ragionevole”. Peraltro, nel primo dei Quattro Libri, Palladio include il progetto di un ponte in pietra senza specificare la destinazione ma sottolineando di essere stato “ricercato da alcuni gentil’huomini” e facendo capire al lettore che l’opera non venne eseguita. Che possa trattarsi di un progetto per il ponte di Bassano è tuttavia possibile in virtù del fatto che le misure della struttura corrispondono a quelle del fiume Brenta nel punto di attraversamento, e “così la scelta di pile robuste più dell’ordinario”, spiega Battilotti, “ben si attaglia alle caratteristiche del fiume, ‘il quale è velocissimo’, consentendo di opporre resistenza ‘alle pietre, e ai legnami, che da quello sono portati all’ingiù’”.
Andrea Palladio, Pianta, profilo e sezione trasversale del ponte di Bassano, in I Quattro Libri dell’Architettura di Andrea Palladio, Venetia, Dominico de’ Franceschi (Venezia, 1570; volume a stampa, 310 x 215 mm; Bassano del Grappa Biblioteca Civica, inv. II C 18). Volume appartenuto ad Antonio Canova |
Palladio aveva comunque esperienza anche coi ponti di legno, come attesta proprio la vicenda del ponte sul Cismon che era già transitabile nel 1552 (anche se venne poi distrutto da una piena circa cinquant’anni più tardi). Per il torrente (non conosciamo tuttavia l’esatta collocazione), l’architetto progettò un ponte caratterizzato da un “limpido schema strutturale”, ha scritto l’architetto Mario Piana: “sulla catena (composta da un imprecisato numero di travi, forse tre, tra loro unite mediante calettature a dardo di Giove, com’era prassi usuale) montano cinque colonnelli, tre maggiori centrali e due minori laterali. Dalle estremità dell’orditura due puntoni inclinati convergono sulla controcatena; sei saette interposte in posizione alternata tra il piede e la sommità dei colonnelli completano la maglia triangolare”. I legni dell’impalcato erano sostenuti da “arpici” (ferri) che Palladio, nel progetto, descrive come “fatti passare per un bucco fatto a questo effetto nelle teste delle dette travi, in quella parte che avanza oltre le travi che fanno le sponde”. Si tratta, spiega Piana, di una “inedita singolarità costruttiva”, ideata per fare in modo che tutte le parti del ponte si sostenessero a vicenda. Il ponte sul Cismon rappresentò una delle punte della cultura architettonica e ingegneristica del tempo e fu preso a modello anche nei secoli seguenti.
Il grande architetto è poi noto, oltre che per i progetti effettivamente realizzati, anche per alcune grandiose idee che purtroppo rimasero soltanto sulla carta: la più famosa di queste è quella per il Ponte di Rialto a Venezia, per il quale il Palladio elaborò due progetti, uno che si trova su di un foglio conservato al Museo Civico di Vicenza, e uno pubblicato nei Quattro Libri. Più che un ponte, dice tuttavia Guido Beltramini, curatore della mostra dei musei di Bassano assieme a Barbara Guidi, Fabrizio Magani e Vincenzo Tiné, quello di Palladio era un progetto per una risistemazione di tutta l’area di Rialto, una delle zone più frequentate della città. Dal materiale che abbiamo a disposizione, scrive Beltramini, è possibile ipotizzare “che il processo progettuale di Palladio abbia inizio con una prima soluzione di un ponte a cinque arcate, che consentono una salita progressiva e più agevole”, e dopo aver ragionato “sull’impossibilità realizzare due piazze di testata (a meno di demolire una vasta area esistente) ma non volendo ridurre il numero delle botteghe, Palladio pensa di trasferirle sul ponte stesso, aumentandone la larghezza, ma mantenendolo a cinque arcate”. Fu questa la fase in cui l’artista studiò le varianti per le testate del ponte, per le quali sono rimasti due disegni custoditi anch’essi nei musei vicentini. La soluzione a cinque arcate rendeva però impossibile il traffico delle imbarcazioni, ragion per cui il Palladio elaborò un nuovo progetto, con tre arcate più ampie.
L’idea era comunque quella di creare un innovativo ponte-piazza, una sorta di isola artificiale che potesse essere frequentata dagli abitanti. Il progetto per Rialto risale, secondo Beltramini, al momento dell’incontro tra il Palladio e Giorgio Vasari (Arezzo, 1511 - Firenze, 1574), avvenuto nella primavera del 1566: secondo lo studioso, i due artisti ebbero modo di discutere del progetto, probabilmente a partire dalla descrizione di un progetto per Rialto elaborato da Giovanni Giocondo (Verona, 1433 circa - Roma, 1515), di cui Vasari parla nell’edizione giuntina delle Vite, che lo storiografo aretino avrebbe pubblicato nel 1568. Secondo Beltramini, i due potrebbero aver discusso proprio del progetto di Giovanni Giocondo, e questa discussione potrebbe aver stimolato il Palladio a cimentarsi con un progetto personale per il ponte di Rialto. Si trattò, comunque, di un progetto che non vide mai la luce, se non nello splendido dipinto del Canaletto, conservato alla Pilotta di Parma, commissionatogli nel Settecento da Francesco Algarotti: un capriccio veneziano con il ponte immaginato dal Palladio.
Andrea Palladio, Progetto del Ponte sul Cismon in I Quattro Libri dell’Architettura di Andrea Palladio, Venetia, Dominico de’ Franceschi (Venezia, 1570; volume a stampa; Vicenza, Palladio Museum). Opera non in mostra |
Andrea Palladio, Ponte di Rialto a Venezia, alzato di prospetto sul Canal Grande (1566; punta d’avorio, penna e inchiostro bruno su carta, 477 x 752 mm; Vicenza, Museo Civico di Palazzo Chiericati, inv. D25 r) |
Andrea Palladio, Ponte di Rialto a Venezia. Alzato di una facciata d’ingresso (1566; punta d’avorio, penna e inchiostro bruno, lumeggiature e tocchi d’acquerello su carta, 500 x 425 mm; Vicenza, Museo Civico di Palazzo Chiericati, inv. D20r) |
Antonio Canaletto, Capriccio con edifici palladiani (1750 circa; olio su tela, 58 x 82 cm; Parma, Complesso monumentale della Pilotta, inv. 284) |
Tornando a Bassano, per quanto sia plausibile l’ipotesi secondo cui Palladio debba aver lanciato l’idea di un ponte di pietra, dovette comunque nascere in seguito un dibattito che fece scaturire altre proposte: “una di queste”, spiega Battilotti, “illustrata da un anonimo ingegnere a un Consiglio cittadino piuttosto scettico, prevedeva un’audace struttura in legno a luce unica poggiante su quattro stili senza essere a quest’ultimi incatenata in modo da non essere anch’essa trascinata via dalla corrente in caso di piena”. Alla fine, il 31 marzo del 1568, si decise per il dov’era com’era: il consiglio cittadino decretò che “esso ponte sii reffatto et constructo nel modo et forma che era il precedente menato via dalla Brenta, cum quelle adiuncte che parerà alli protti et maistri che lo costruirano”. Nessuna novità, dunque: il ponte avrebbe ricalcato il precedente, probabilmente in quanto meno costoso e perché la tecnica costruttiva era già ampiamente collaudata. Il Palladio, dunque, si adeguò alla decisione e nel luglio del 1569 fece prelevare a Vicenza un modello del ponte, che arrivava dopo un anno di lavoro durante il quale la città di Bassano si era procurata risorse e legname per la costruzione, per la quale fu nominato sovrintendente il carpentiere vicentino Battista Marchesi, che aveva già lavorato a Vicenza alla Basilica e per la cupola del Duomo e il cui nome era stato caldeggiato per certo da Angarano e forse anche dal Palladio.
Dopo l’inizio dei lavori, l’architetto tornò almeno una volta a Bassano: l’ultima sua visita documentata è del 26 ottobre 1569, data in cui Palladio riceve un pagamento di 33 lire e 16 soldi “per el modelo” e per “veder la fatura del ponte”. Alla fine, il ponte era del tutto simile al precedente: quattro stilate a sperone sul fiume e una copertura con un tetto a due falde, sostenuta da colonne tuscaniche. Il ruolo più “innovativo” del Palladio, spiega tuttavia Battilotti, si espresse nell’introduzione di nuove soluzioni tecniche e strutturali.
Sebastiano Lovison, Ponte Vecchio di Bassano (1826; bulino, 330 x 430 mm; Bassano del Grappa, Museo Civico, INC. BASS. 392) |
Sebastiano Lovison, Interno del Ponte Vecchio di Bassano (1826; bulino, 330 x 430 mm; Bassano del Grappa, Museo Civico, INC. BASS. 393, dedicata a Casarotti) |
Il Ponte Vecchio di Bassano oggi. Foto di Patrick Denker |
Il Ponte Vecchio di Bassano oggi |
Neanche il ponte di Palladio, tuttavia, sopravvisse alla furia del Brenta, ma riuscì a resistere per due secoli finché, il 19 agosto 1748, non fu spazzato via da un’altra piena violenta, alla quale il letterato veneziano Gasparo Gozzi dedicò pure una poesia: “Sono sei giorni e più, che a mano a mano / Non ho altra novella nella testa. / Ne’ monti è stata così gran tempesta, / E tanta pioggia dilagossi al piano, / Che ha sgangherato il ponte di Bassano, / E l’ha portato via come una cesta. / Sempre ho cinquanta dietro e dirimpetto, / Che dicon: ha’ tu udito? Che è stato? / Rispondo lor pien d’ira e di dispetto. / Il ponte di Bassano è rovinato: / Il ponte di Bassano, poveretto. / Il ponte di Bassano s’è annegato”. Dopo il disastro rimaneva in piedi soltanto lo sperone a monte della seconda pila: tutto il resto era stato trascinato dal fiume lungo le rive. Si rinnovò dunque la stessa solfa: discussioni sulla ricostruzione e, nel frattempo, servizio di traghetto tra le due sponde. Anche in questo caso si decise per una ricostruzione fedele, affidata a Bartolomeo Ferracina, tanto più che si conservava il progetto di Palladio ed era possibile seguirlo alla lettera: il nuovo ponte veniva inaugurato nel settembre del 1751.
Da quell’anno, il ponte fu distrutto altre due volte, ma non per effetto della natura, bensì per la sciagurata mano dell’uomo: nel 1813, infatti, il vicerè Eugenio di Beauharnais diede ordine d’incendiarlo durante la guerra austro-francese (fu ricostruito nel 1821 da Angelo Casarotti) e, dopo aver passato indenne la prima guerra mondiale, fu distrutto tra il febbraio e l’aprile del 1945. Danneggiato prima durante un attentato organizzato dai partigiani sotto direzione degli alleati (e durante il quale persero la vita una donna e un ragazzino) per disturbare il ritiro delle truppe tedesche (che poi per rappresaglia fucilarono proprio sul ponte tre partigiani che si trovavano in carcere), fu poi definitivamente raso al suolo dai nazisti in fuga. Fu ricostruito subito dopo la guerra seguendo di nuovo il disegno di Palladio: e poiché tra i manovali che lo ricostruirono c’erano anche molti operai che durante la guerra avevano prestato servizio tra gli alpini (oltre al fatto che l’Associazione Nazionale Alpini intervenne in modo sostanziale per contribuire alla ricostruzione), da allora il Ponte di Bassano è noto anche come “Ponte degli Alpini”. E oggi possiamo ritenerlo quasi come un simbolo dell’arte e dell’ingegno umano che non si arrestano di fronte alle calamità o all’azione distruttiva e sconsiderata dell’essere umano.
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