Quando l'arte era una gara delle Olimpiadi. E gli artisti lottavano per l'oro


Per sette edizioni dei Giochi Olimpici, oltre alle gare sportive c’erano anche gare d’arte: pittura, scultura, architettura, musica, letteratura. Artisti e letterati gareggiavano per vincere la medaglia d’oro, come gli atleti. E parteciparono anche alcuni grandi nomi.

Forse oggi si fatica a crederlo, ma i Giochi Olimpici, per sette edizioni, ospitarono anche gare d’arte. Si fatica a crederlo, perché siamo sempre soliti pensare all’arte e allo sport come a due ambiti totalmente separati, forse anche incapaci di comunicare tra loro. Si fatica a crederlo, perché nella società dell’iperspecializzazione non si riesce neppure a immaginare una contaminazione così apparentemente strana, dissonante, inaspettata. E chi viene a saperlo di solito esprime sorpresa, stupore: spesso neanche gli appassionati di sport più accaniti, quelli che saprebbero citare a memoria tutti i podî della spada maschile o della corsa in linea di ciclismo da Atene 1896 a oggi, ricordano che, per diverse edizioni dei Giochi, l’arte e lo sport hanno fatto parte dello stesso programma di gare. È dunque esistito un momento nella storia in cui pittori, scultori, architetti, letterati, musicisti partecipavano alle Olimpiadi al pari di corridori, schermidori, nuotatori, pugili, lottatori, ginnasti. Anche loro rappresentavano le loro nazioni. Anche loro gareggiavano per vincere la medaglia d’oro. Anche loro sono oggi registrati nell’immenso database del sito dei Giochi Olimpici, esattamente come gli atleti.

Le competizioni artistiche entrarono per la prima volta nel programma olimpico nel 1912, ai giochi di Stoccolma, e vi rimasero per sette edizioni consecutive, fino alle Olimpiadi di Londra 1948. Fu proprio l’Italia, peraltro, a prevalere nella prima edizione, vincendo due medaglie d’oro (musica e pittura) e issandosi al primo posto del medagliere della disciplina, davanti a Francia, Stati Uniti e Svizzera. L’idea d’inserire un programma di gare artistiche all’interno dei Giochi Olimpici veniva dallo stesso barone Pierre de Coubertin, che com’è noto fu tra i fondatori delle Olimpiadi moderne, e che aveva sempre coltivato il desiderio d’unire l’arte con lo sport. “È giunta l’ora di stabilire una nuova tappa”, scriveva nel 1904 in un articolo pubblicato su Le Figaro, “e di ripristinare l’Olimpiade nella sua bellezza originaria. Ai tempi dello splendore d’Olimpia, le lettere e le arti, armoniosamente combinate con lo sport, assicuravano la grandezza dei Giochi Olimpici. Dovrà essere lo stesso anche in futuro”. Nel 1906, De Coubertin convocò pertanto a Parigi una riunione del CIO, il Comitato Olimpico Internazionale ch’era stato fondato nel 1894, per discutere la possibilità di far partecipare gli artisti al fianco degli atleti, inserendo nei Giochi un programma di cinque gare d’arte: architettura, letteratura, musica, pittura e scultura. Le gare d’arte dovevano essere incluse già alle Olimpiadi di Londra 1908, ma problemi organizzativi costrinsero il CIO a posticipare l’esordio delle competizioni artistiche ai giochi di Stoccolma 1912. Fu dunque in Svezia che si disputarono per la prima volta gare d’arte.

“La quinta Olimpiade”, si legge nel rapporto ufficiale di quell’edizione dei giochi, “includerà competizioni di architettura, scultura, pittura, musica e letteratura. La giuria potrà considerare soltanto soggetti che non siano stati precedentemente pubblicati, esposti o rappresentati, e che abbiano qualche diretta connessione con lo sport. Il vincitore di ciascuna delle cinque competizioni sarà premiato con la medaglia d’oro olimpica. Le opere selezionate, per quanto possibile, saranno pubblicata, esposte o rappresentate durante i Giochi Olimpici del 1912. I concorrenti dovranno notificare la loro intenzione di partecipare a una o più competizioni il 15 gennaio 1912, e le opere dovranno essere nelle mani della giuria prima del 1° marzo 1912. Non ci sono limiti per la dimensione dei manoscritti, dei progetti, dei disegni o delle tele, ma gli scultori sono tenuti a inviare modelli in terracotta che non eccedano gli 80 centimetri di altezza, lunghezza o larghezza”. Non dobbiamo immaginare le gare d’arte nel senso sportivo del termine: i partecipanti non si sfidavano allo stesso momento in un luogo convenuto, ma erano tenuti a inviare i loro lavori prima che le Olimpiadi cominciassero, dopodiché s’apriva una mostra in cui le opere venivano esposte, e una giuria valutava infine i pezzi e assegnava le medaglie.

Due giurati della gara di pittura alle Olimpiadi di Los Angeles 1932 osservano un'opera
Due giurati della gara di pittura alle Olimpiadi di Los Angeles 1932 osservano un’opera
Le opere della nazionale della Svezia alle Olimpiadi di Berlino 1936
Le opere della nazionale della Svezia alle Olimpiadi di Berlino 1936
Mostra delle opere d'arte in gara alle Olimpiadi di Los Angeles 1932
Mostra delle opere d’arte in gara alle Olimpiadi di Los Angeles 1932
Mostra delle opere d'arte in gara alle Olimpiadi di Los Angeles 1932
Mostra delle opere d’arte in gara alle Olimpiadi di Los Angeles 1932
Mostra delle opere d'arte in gara alle Olimpiadi di Amsterdam 1928
Mostra delle opere d’arte in gara alle Olimpiadi di Amsterdam 1928

I progetti presentati dai concorrenti, come si legge nel rapporto dei Giochi del 1912, avevano a che fare in qualche modo con lo sport. Alla prima edizione delle gare d’arte, la gara d’architettura fu vinta dagli svizzeri Eugène-Édouard Monod e Alphonse Laverrière (quest’ultimo fu colui che progettò la stazione dei treni di Losanna) con un piano di costruzione per uno stadio. Nella letteratura vinse, con un’Ode allo sport, lo stesso Pierre de Coubertin, che però partecipò un duplice pseudonimo “Georges Hohrod & Martin Eschbach”, e si prese la soddisfazione di battere addirittura Gabriele d’Annunzio, anche lui in gara. Per la musica, la medaglia d’oro andò all’italiano Riccardo Barthelemy che vinse con una Marcia trionfale olimpica. La medaglia d’oro della pittura andò a un altro nostro connazionale, Carlo Pellegrini, che presentò tre fregi dedicati agli sport invernali. E la gara di scultura venne vinta dall’americano Walter Winans per il suo bronzo An American trotter. Curiosamente, Winans era riuscito a vincere una medaglia anche nelle gare sportive nella stessa Olimpiade, dacché conquistò un argento nel tiro a segno (mentre quattro anni prima, a Londra 1908, aveva vinto la medaglia d’oro). Fu uno degli unici due artisti a centrare l’impresa: l’altro fu l’ungherese Alfred Hajós, oro nei 100 e nei 1200 stile libero di nuoto ad Atene 1896, e argento in architettura a Parigi 1924. Winans fu tuttavia l’unico a vincere una medaglia nell’arte e una nello sport nella stessa edizione dei Giochi.

La ripartizione tra cinque discipline andò avanti fino alle Olimpiadi di Parigi 1924: furono i giochi del pittore lussemburghese Jean Jacoby, nome oggi sconosciuto ai più, ma si tratta dell’artista più medagliato di sempre, avendo vinto l’oro sia ai Giochi di Parigi 1924 (battendo l’espressionista irlandese Jack Butler Yeats, fratello di quel William che aveva vinto il Nobel per la letteratura l’anno prima) sia a quelli di Amsterdam 1928. L’oro per l’architettura non venne assegnato (se la giuria riteneva che non ci fossero i criterî per assegnare il premio più ambito, poteva rifiutarsi di premiare un artista con l’oro, e poteva al contrario assegnare direttamente la medaglia d’argento), e addirittura nella gara di musica nessuno fu considerato meritevole di ricevere una medaglia (“la giuria”, si legge nel laconico verdetto riportato nel rapporto ufficiale, “non ha stabilito alcun premio”). Non fu un’edizione felice per l’Italia: non vincemmo alcuna medaglia, anche perché partecipammo con soltanto tre artisti. Eppure, in mezzo a quei tre c’era uno dei pesi massimi dell’arte italiana a cavallo tra Otto e Novecento, Vincenzo Gemito, ch’era ormai un settantenne a fine carriera, e partecipò con ben sette opere, tra le quali anche il suo celeberrimo Acquaiolo, ma nessuna gli valse la medaglia: il podio della scultura era composto dal greco Kostantinos Dimitriadis, dal lussemburghese Frantz Heldenstein, e da due bronzi a parimerito, il francese Claude-Léon Mascaux e il danese Jean-René Gauguin. Sì, Jean-René era figlio del più noto Paul Gauguin, il quarto avuto dalla moglie danese Mette Sophie Gad, all’epoca aveva quarantatré anni, aveva preso la cittadinanza della mamma, ed era anche lui un artista come il padre, anche se aveva intrapreso la strada della scultura: vinse il bronzo con un massiccio Boxeur. Si poteva partecipare con più opere, con la conseguenza che ci fu chi ottenne due medaglie in una stessa gara, situazione impossibile nello sport: è il caso dello svizzero Alex Diggelmann, vincitore di un oro nella grafica pubblicitaria ai Giochi del 1936, e soprattutto di un argento e di un bronzo nella categoria “arti applicate” (erede della grafica pubblicitaria) a Londra 1948.

Alle Olimpiadi del 1928, le cinque categorie ebbero le rispettive specialità: l’architettura assegnava medaglia per il disegno architettonico e la pianificazione urbanistica, in letteratura si gareggiava nelle discipline della poesia, delle opere drammatiche e dell’epica, la musica aveva le gare di canzone, composizione strumentale e composizione per orchestra, la pittura si suddivideva in pittura propriamente detta, disegno e grafica, mentre la scultura assegnava medaglie nelle categorie “statuaria” e “rilievi e medaglioni”. L’Italia vinse un solo argento (Lauro de Bosis nella categoria opere drammatiche: fu peraltro l’unico medagliato della sua disciplina, perché oro e bronzo non vennero assegnati). Curioso il caso della musica: di tre specialità, venne assegnata una sola medaglia, il bronzo nella composizione per orchestra, vinto dal danese Rudolph Simonsen. Tra i nomi noti che parteciparono a quell’edizione dei Giochi, andranno ricordati quelli di Franz von Stuck, George Grosz ed Erich Heckel (entrambi in concorso nella pittura), Max Liebermann (gareggiò nella grafica), e quello del carrarese Carlo Fontana, che si presentò nella gara di scultura con un’opera famosissima, il progetto per la Quadriga del Vittoriano, installata sulla sommità del monumento proprio nel 1928. Presente anche lo scultore tedesco Arno Breker, passato alla storia soprattutto per i suoi lavori celebrativi del regime nazista. E ci fu un altro artista che partecipò alle gare di pittura dopo un passato d’atleta: il britannico Edgar Seligman, vincitore di due argenti nella spada maschile a squadre (a Londra 1908 e Stoccolma 1912). I successivi Giochi del 1932 videro il ripristino della gara unica per la letteratura e la musica (disciplina che continuava a non avere un vincitore). Tra i grandi nomi che parteciparono a quell’edizione, scorrendo l’elenco dei partecipanti ci s’imbatte in Walter Gropius, nel futurista Gerardo Dottori, nel fauve Kees van Dongen, nell’impressionista olandese Isaac Israëls. Partecipò anche l’artista americano John Russell Pope, cui si deve l’edificio che ospita la National Gallery di Washington: vinse la medaglia d’argento nel disegno architettonico.

Coi Giochi di Berlino 1936 si tornò alle discipline dell’edizione di otto anni prima, e in più venne introdotta una nuova specialità, quella della grafica commerciale, mentre la medaglistica e il rilievo furono separate. Le Olimpiadi organizzate sotto il regime nazista videro, com’è naturale aspettarsi, il trionfo degli atleti tedeschi, che portarono a casa dodici delle trentadue medaglie assegnate, vincendo cinque ori su nove. Lo scultore di regime Arno Breker ottenne l’argento nella statuaria, superato solo dal ventinovenne italiano Farpi Vignoli. Il contingente italiano alle Olimpiadi tedesche fu decisamente nutrito, e si possono trovare tra i partecipanti alcuni nomi celebri: un Pier Luigi Nervi a inizio carriera che prese parte al concorso di disegno architettonico, il Giulio Arata che progettò la Galleria Ricci Oddi di Piacenza e lo Stadio di Bologna, gli scultori Publio Morbiducci, Francesco Messina, Aldo Buttini e Romano Romanelli, e una folta compagine futurista composta da Enrico Prampolini, di nuovo Gerardo Dottori, Tullio Crali, Thayaht.

Il fregio che valse a Carlo Pellegrini la medaglia d'oro nel 1912
Il fregio che valse a Carlo Pellegrini la medaglia d’oro nella pittura ai Giochi di Stoccolma 1912
An American Trotter di Walter Winans, medaglia d'oro in scultura ai Giochi di Stoccolma 1912
An American Trotter di Walter Winans, medaglia d’oro in scultura ai Giochi di Stoccolma 1912
Corner di Jean Jacoby, medaglia d'oro per la pittura a Parigi 1924
Corner di Jean Jacoby, medaglia d’oro per la pittura a Parigi 1924
Il discobolo finlandese di Kostantinos Dimitriadis, oro per la scultura a Parigi 1924
Il discobolo finlandese di Kostantinos Dimitriadis, oro per la scultura a Parigi 1924
Uno degli esemplari dell'Acquaiolo di Vincenzo Gemito, in gara ai Giochi Olimpici di Parigi 1924
Uno degli esemplari dell’Acquaiolo di Vincenzo Gemito, in gara ai Giochi Olimpici di Parigi 1924
La Quadriga dell'Unità di Carlo Fontana. Il bozzetto partecipò ai Giochi Olimpici di Amsterdam 1928
La Quadriga dell’Unità di Carlo Fontana. Il bozzetto partecipò ai Giochi Olimpici di Amsterdam 1928

I Giochi di Londra 1948 (a cui presero parte, tra gli altri, Mino Maccari, Giuseppe Capogrossi, Marino Mazzacurati e anche il grande poeta Giorgio Caproni) furono gli ultimi a contare le gare d’arte nel programma ufficiale: fu durante una riunione del CIO nel 1949, a Roma, che si decise di trasformare le gare d’arte in mostre d’arte, senza premi e senza medaglie per i partecipanti. La causa che portò il Comitato Olimpico Internazionale ad assumere questa decisione risiedeva nello status dei partecipanti: all’epoca, alle gare sportive erano ammessi soltanto atleti dilettanti (fatte salve alcune eccezioni, come i maestri di scherma: anche se questi ultimi traevano sostentamento dalla loro attività sportiva, erano comunque accettati alle competizioni), mentre le gare d’arte erano aperte anche ai professionisti. Apparve quindi “illogico”, come si legge nel resoconto di quella riunione, che i professionisti fossero in grado di “competere in queste mostre ed essere premiati con medaglie olimpiche”. Sulla scelta ebbe un notevole peso l’orientamento imposto dall’allora vicepresidente del CIO, lo statunitense Avery Brundage (divenuto poi presidente del 1952), strenuo difensore del dilettantismo: s’era battuto in ogni modo perché l’arte venisse esclusa dalle gare dopo Londra 1948, ritenendo che le gare artistiche rappresentassero una poco opportuna vetrina riservata ai professionisti in un grande evento destinato agli amatori. Da queste ragioni discende la deliberazione di non considerare più gli artisti al pari degli atleti. Niente più gare e medaglie per pittori, scultori, musicisti, letterati. Il dibattito sul tema “dilettantismo contro professionismo” avrebbe tenuto banco per decennî, con diversi argomenti: banalizzando, si potrebbe ricordare semplicemente che, da un lato, i sostenitori del dilettantismo volevano evitare che gli atleti partecipassero per interesse e che attorno all’evento ruotassero forme di business che Pierre de Coubertin non amava e aveva sempre avversato, mentre i sostenitori del professionismo ritenevano che aprire le gare solo ai dilettanti escludesse gli atleti più forti e in particolare quelli che non avevano un tenore di vita tale da permettersi di allenarsi senza guadagnare dalla loro attività sportiva. Una questione annosa: soltanto i Giochi Olimpici di Seul 1988 vennero aperti, per la prima volta nella storia, ai professionisti di tutte le discipline.

Guardando agli elenchi degli artisti medagliati, ai nomi dei tanti partecipanti, osservando le loro opere, forse si può intuire perché, contrariamente a quel che si potrebbe pensare, le gare d’arte non ebbero grande successo tra gli artisti del tempo. Pochissimi i grandi che presero parte ai Giochi Olimpici, a fronte di centinaia di artisti mediocri, di dilettanti dimenticati dalla storia, e questo malgrado i comitati organizzatori battagliassero per portare alle gare gli artisti più riconosciuti e celebrati. Tanti non partecipavano perché temevano che una sconfitta avrebbe potuto danneggiare la propria reputazione. Altri invece le consideravano gare poco prestigiose perché organizzate da soggetti che con l’arte non avevano niente a che fare, e questo malgrado negli elenchi delle giurie di tutte le edizioni si ritrovino nomi di primo piano (qualche nome dei giurati di Parigi 1924, per esempio: Pietro Canonica, Maurice Denis, Ettore Tito, John Singer Sargent, Ignacio Zuloaga, e anche Gabriele D’Annunzio nella giuria della letteratura). Ciò nondimeno, le gare d’arte olimpiche ebbero quasi sempre ottimi riscontri di pubblico, con migliaia di persone che affollavano le mostre per osservare i lavori degli artisti in gara. Il successo però non bastò a far cambiare idea al CIO: dai Giochi di Helsinki 1952, niente più gare d’arte. E le medaglie fin lì ottenute dagli artisti sarebbero state poi scorporate dal medagliere complessivo dei Giochi, per decisione del CIO. Per effetto di questa decisione, la Gran Bretagna non può più contare sulla medaglia assegnata all’olimpionico più anziano, il pittore John Compley che a settantatré anni vinse l’argento nell’incisione a Londra 1948 (il record valido per il medagliere complessivo ufficiale è dunque quello del tiratore svedese Oscar Swahn, vincitore di diverse medaglie in tre edizioni, tra cui un argento a squadre ad Anversa 1920 all’età di 72 anni). Il medagliere delle gare d’arte rimane dunque come classifica a sé, con la Germania davanti a tutti (proprio per effetto dell’incetta di medaglie a Berlino 1936), e poi a seguire l’Italia, la Francia, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna.

Ci sono stati anche alcuni tentativi di reintrodurre le gare d’arte ai Giochi Olimpici, tutti naufragati: gli organizzatori si son sempre resi conto dell’anacronismo, del paradosso d’una gara che equipara gli artisti agli atleti. L’arte, tuttavia, è sempre presente alle Olimpiadi: ci sono i poster, le sculture ufficiali, le mostre che accompagnano ogni edizione dei Giochi, sebbene gli artisti non gareggino per vincere la medaglia d’oro. E poi, da Parigi 2024, è stata introdotta, nel programma sportivo, la gara di breakdance: non è proprio come una competizione di pittura, vedere un incontro di breakdance non è come visitare una mostra, e poi è considerata danza sportiva, ma è comunque quanto di più vicino alle vecchie gare d’arte si possa trovare oggi ai Giochi Olimpici. Nell’improbabilità d’un ritorno di pittori, scultori e letterati tra i medagliati, gli appassionati d’arte hanno di che contentarsi. E va benissimo così.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).




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