Quando il Parco di San Rossore a Pisa era pieno di dromedari


C’è stato un tempo in cui vedere dromedari nel Parco di San Rossore a Pisa era un evento piuttosto usuale e familiare. Questi animali, i “cammelli” per i pisani, ispirarono anche l’opera di alcuni artisti. A lungo scomparsi, i dromedari a San Rossore sono tornati di recente.

Nell’Alcyone di Gabriele d’Annunzio, i dromedari del Parco di San Rossore diventano, più semplicemente, i “camelli”. Una presenza insolita nel paesaggio toscano, dono di tempi antichi, animali che un tempo popolavano le pinete tra Pisa e il mare. “Passano per la macchia, / vanno verso la ripa, // tra i mucchi di legname, / tra i cumuli di stipa, / i camelli gibbuti, / carichi di fascine / di ramaglia e di strame, / sì gravi e tristi e muti! / Sotto i lor piè distorti / scricchiolano le pine / aride, gli aghi morti”. D’Annunzio se li immaginava così, lontani dalle loro terre d’origine, passare mesti sotto i pini di San Rossore, lungo la macchia che divide la città dal mare, guidati dal “bifolco toscano” con “l’antica / voce che i padri suoi / usarono pel solco / ad incitare i buoni / tardi nella fatica”, animali “esuli, oppressi e affranti”. Forse li aveva visti nelle loro terre, nel deserto dell’Algeria, il nobile Francesco Lanfreducci, a lungo prigioniero dei saraceni, costretto a lavorare alla macina, a udire le grida dei cammelli che venivano percossi, pensava D’Annunzio: poi, tornato a Pisa, per ricordare la sua esperienza e rimarcare quanto sia precaria l’esistenza, avrebbe fatto scrivere sull’architrave del suo palazzo l’impresa “Alla Giornata”, divenuta tanto nota da esser poi passata a indicare il nome dell’elegante edificio che s’affaccia sul lungarno.

Rimonta a quei tempi l’arrivo dei dromedari a Pisa, anche se niente hanno a che vedere con la leggenda del cavalier Lanfreducci. Il primo dromedario è attestato a San Rossore nel 1622, quando giunse, accompagnato da uno schiavo, come probabile dono al granduca di Toscana, Ferdinando II de’ Medici, da parte del bey di Tunisi. Questo almeno stando alle ricostruzioni storiche, tuttora tenute in considerazione, che un veterinario toscano dell’Ottocento, Luigi Lombardini, pubblicò in un suo libro del 1881, Sui cammelli, tutto dedicato a questi animali: varrà la pena rimarcare che, all’epoca, i “cammelli” erano sia i dromedari che i cammelli propriamente detti, quelli con due gobbe (per distinguerli, i dromedari venivano chiamati col termine attuale, oppure anche “cammelli a una gobba”). Stando a Lombardini, inizialmente i primi dromedari dovevano trovarsi nella fattoria medicea di Panna, vicino a Scarperia, nel Mugello, e un nuovo contingente di questi animali sarebbe arrivato nel 1663 dopo la battaglia di Vienna, combattuta tra le forze della Lega Santa e l’Impero ottomano, con la vittoria dei cristiani: sarebbero stati predati ai turchi da un generale toscano, un certo Arrighetti, che ne avrebbe fatto nuovo dono al granduca. Sul finire del Seicento, si contava una quindicina di dromedari tra la fattoria di Panna e la tenuta di San Rossore, e all’epoca erano custoditi “come oggetti curiosi e di semplice lusso”, scrive Lombardini. Il loro numero aumentò ulteriormente nel Settecento, e con la salita dei Lorena al soglio granducale pare fosse maturata l’idea d’avviare i “camelli” a un uso pratico: la popolazione fu dunque adeguatamente rinfoltita con nuovi esemplari fatti arrivare dalla Tunisia, così che verso il finire del Settecento si contavano quasi duecento dromedari che venivano usati come bestie da soma e da basto. Verso l’inizio del XIX secolo il numero diminuì, a causa d’alcune malattie che colpirono la mandria, e per tutto l’Ottocento a San Rossore visse un centinaio di dromedari: alcuni lavoravano, altri continuavano a essere mostrati come curiosità, altri venivano regalati, venivano sfruttati per il pelo che faceva da imbottitura per materassi, le femmine erano destinate alla riproduzione, qualcuno finiva anche macellato.

I dromedari, per i pisani, erano diventati una presenza familiare. Si erano adattati al clima del parco. Certo, non era quello del deserto della Tunisia, ogni tanto toccava patire un po’ di freddo, ma in fondo i dromedari non dovevano star così male a San Rossore. Erano bestie sfruttate per la loro utilità, ma erano anche un’attrazione. “In un bosco vicino a Pisa vidi prima due e poi cinque cammelli”, fa dire Friedrich Nietzsche al viandante in Umano, troppo umano. Alcune foto d’epoca ritraggono le dame della corte dei Savoia, dopo l’Unità d’Italia, passeggiare sui dromedari nel parco di San Rossore. Anche lo sfortunato imperatore del Messico, Massimiliano d’Asburgo, nelle sue memorie confessò d’aver voluto vedere i dromedari prima di qualsiasi altra cosa, appena arrivato a Pisa: “Su un grande prato, ai margini di un bosco, vedemmo per la prima volta, con entusiasmo, quei camminatori della sabbia che andavano al lavoro”.

I dromedari di San Rossore in una foto d'epoca
I dromedari di San Rossore in una foto d’epoca
I dromedari di San Rossore al pascolo in una cartolina del 1931
I dromedari di San Rossore al pascolo in una cartolina del 1931
I Savoia in sella ai dromedari nel Parco di San Rossore
I Savoia in sella ai dromedari nel Parco di San Rossore
Elena del Montenegro, moglie di Vittorio Emanuele III di Savoia, tiene al guinzaglio un dromedario sulla spiaggia di San Rossore
Elena del Montenegro, moglie di Vittorio Emanuele III di Savoia, tiene al guinzaglio un dromedario sulla spiaggia di San Rossore

Naturalmente, i dromedari di San Rossore non potevano non affascinare gli artisti che frequentarono Pisa e i suoi dintorni. A cominciare dal più famoso pittore che ci abbia restituito un’immagine di un dromedario: Giovanni Fattori (Livorno, 1825 – Firenze, 1908), il grande macchiaiolo che dipinse un dromedario in una sua tavoletta, oggi conservata in una collezione privata, che figura tra i lavori lasciati in eredità all’allievo Giovanni Malesci (sarebbe stata poi pubblicata nel catalogo generale del 1961, compilato dallo stesso Malesci). Passato in asta nel 2022 da Farsetti, nel catalogo di quella vendita il Dromedario veniva definito un “unicum” da Leonardo Ghiglia che ne redigeva la scheda: “una presenza sorprendente, esotica e in apparenza lontanissima dal mondo di elegia popolare e contadina cara al grande pittore livornese”. Fattori aveva visto i cammelli a San Rossore, luogo che frequentava, e qui aveva dipinto il suo ritratto dell’animale, simile ad altri suoi lavori, come il più noto cavallo del Museo Fattori di Livorno, col quale il dromedario pare condividere tecnica e periodo: “Fattori”, scrive Ghiglia, “com’è suo costume, non si abbandona a un facile esotismo di maniera, ma elude il pericolo dell’aneddoto e dell’orientalismo da cartolina inserendo il sintetico volume dell’animale in una griglia geometrica di piani orizzontali, definiti attraverso un gioco di calibrati rapporti luminosi e tonali che richiama l’essenzialità formale delle tavolette dei primi anni Settanta”. La massa dell’animale, costruita con pennellate larghe e dense, racchiusa da un disegno sintetico reso evidente dal contorno, si staglia su di un fondo indefinito, come spesso avviene in queste tavolette dal sapore bozzettistico, eseguite in rapidità, forse direttamente in loco, per conservare un’impressione d’un soggetto, d’un motivo, d’un’ispirazione, e che costituiscono una delle anime più interessanti e vivaci del repertorio di Fattori.

Più meditato è invece un olio su tavola dell’ungherese Károly Markó il Vecchio (Levoča, 1793 – Firenze, 1860), uno dei migliori e più antichi dipinti che raffigurano i dromedari di San Rossore: Markó, nel 1832, s’era trasferito in Italia e non l’avrebbe più lasciata. Stabilitosi in Toscana, frequentò spesso Pisa e il suo litorale, e il suo dipinto oggi conservato alla Galleria Nazionale della Slovacchia di Bratislava, noto come Cammelli in un paesaggio meridionale, andrebbe forse meglio circoscritto e con un titolo diverso (magari un più appropriato Cammelli a San Rossore), dal momento che l’artista non poteva che vedere i “cammelli” tra i pini alle porte di Pisa. E quello che si vede nel dipinto è il paesaggio del litorale pisano, con i pini in lontananza, la spiaggia sulla quale abbondano quelli che paiono fiori di elicriso, tipico della macchia di queste terre, e tre dromedari sulla spiaggia, uno sdraiato, in atteggiamento quasi contemplativo, dato che viene colto mentre guarda il mare, e due raffigurati mentre rivolgono gli occhi alla pineta. Paesaggista tradizionale, di stampo accademico, ancora legato a un tardo neoclassicismo, eppure in grado di dipingere opere finissime, capaci d’incontrare il gusto della committenza altoborghese di metà Ottocento, Markó dipinge sulla sua tavola una scena gustosa, immaginata per incuriosire, concentrata proprio sugli animali, che prendono il sopravvento su tutto il resto, caso peraltro non così frequente nella sua pittura: Markó era solito concentrarsi sugli scorci, sulle vedute, sulla natura, piuttosto che sulle figure che popolavano i suoi paesaggi.

Rimase affascinato dai dromedari anche Odoardo Borrani (Pisa, 1833 – Firenze, 1905), tra i pochi macchiaioli che frequentavano il parco di San Rossore. Alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma si conserva una sua opera, Cammelli nella tenuta reale di San Rossore, della quale esiste anche una versione conservata oggi in una collezione privata fiorentina, che venne esposta nel 1883 alla Società d’Incoraggiamento delle Belle Arti di Firenze. Borrani produsse in quel periodo ventisette disegni a matita di vedute di San Rossore e il dipinto è una sorta di sintesi di quest’attività grafica: una scena del lavoro quotidiano nella tenuta, con tre dromedari che avanzano carichi dei loro bigonci, le campagnole che s’avvicinano forse per osservare la merce che portano, il contadino seduto sulla gobba del primo dromedario colto mentre guida la piccola carovana, i polli che razzolano sulla rena, zucche gettate a terra, un carretto rosso (presenza tipica dell’arte dei macchiaioli) trainato da un paio di buoi maremmani, più indietro qualche pagliaio a coprire la linea dell’orizzonte, e sul fondo il profilo verde della pineta. L’episodio che Borrani restituisce agli occhi dell’osservatore non ha alcun accenno d’esotismo, nonostante la presenza dell’insolito animale: è niente più che una scena campestre, una scena che doveva essere familiare a lui come a tutti coloro che vivevano nella Pisa del tempo, tanto che l’interesse del pittore è rivolto soprattutto verso la resa degli effetti di luce, dell’atmosfera chiara e tersa del litorale pisano, dei colori del cielo che occupa metà della composizione e offre una chiara indicazione di quali fossero gli elementi che più catturavano l’attenzione dell’artista, uno dei più talentuosi della compagine macchiaiola.

Non mancano neppure le incisioni in cui vengono rappresentati i dromedari: il dato curioso è che spesso questi animali compaiono davanti ai monumenti di piazza dei Miracoli, quasi fossero percepiti come simboli della città, al pari del Duomo, o della Torre pendente. La tradizione, del resto, vuole che queste bestie fossero chiamate “cammelli pendenti”. Eccoli allora, in lontananza, proprio in direzione della torre, in un’incisione del 1851, attribuita al disegnatore Ranieri Grassi e oggi conservata al Museo Nazionale di Palazzo Reale a Pisa: sono tre, e sono ancora guidati da un contadino, al bordo di un piazza dei Miracoli che ci appare esattamente com’è oggi, con il prato sul quale si stagliano i quattro monumenti e le persone a passeggio al suo limitare.

I dromedari erano tanto legati a Pisa da finire addirittura sulla copertina d’un libro pubblicato nel 1834: una Raccolta di XII vedute della città di Pisa, opera di Bartolomeo Polloni, incisore e disegnatore che s’occupò anche d’illustrare le sue tavole. Qui, gli animali compaiono in primo piano, immersi nella loro pineta, con il profilo della città, del Battistero e della torre che si staglia in lontananza. Loro sono lì, sulle rive dell’Arno, attenti e pacifici, quasi a far da guardia alla città.

Giovanni Fattori, Il dromedario (1870-1875 circa; olio su tavoletta, 13 x 23,5 cm; Collezione privata)
Giovanni Fattori, Il dromedario (1870-1875 circa; olio su tavoletta, 13 x 23,5 cm; Collezione privata)
Károly Markó il Vecchio, Cammelli a San Rossore (1835; olio su tavola, 37,2 x 47,2 cm; Bratislava, Galleria Nazionale della Slovacchia)
Károly Markó il Vecchio, Cammelli a San Rossore (1835; olio su tavola, 37,2 x 47,2 cm; Bratislava, Galleria Nazionale della Slovacchia)
Odoardo Borrani, Cammelli nella tenuta di San Rossore (1883-1887; olio su tela, 111 x 141 cm; Roma, Galleria Nazionale d'Arte Moderna e Contemporanea)
Odoardo Borrani, Cammelli nella tenuta di San Rossore (1883-1887; olio su tela, 111 x 141 cm; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea)
Ranieri Grassi, Piazza del Duomo di Pisa (1851; incisione; Pisa, Museo Nazionale di Palazzo Reale)
Ranieri Grassi, Piazza del Duomo di Pisa (1851; incisione; Pisa, Museo Nazionale di Palazzo Reale)
Bartolomeo Polloni, Raccolta di XII vedute della città di Pisa (1834; stampa, 190 x 257 mm; Collezione privata). Foto: Pandolfini
Bartolomeo Polloni, Raccolta di XII vedute della città di Pisa (1834; stampa, 190 x 257 mm; Collezione privata). Foto: Pandolfini
I dromedari oggi
I dromedari oggi
I dromedari oggi, impegnati nella pulizia della spiaggia del parco
I dromedari oggi, impegnati nella pulizia della spiaggia del parco
I dromedari oggi, impegnati nella pulizia della spiaggia del parco
I dromedari oggi, impegnati nella pulizia della spiaggia del parco

E poi, cos’è accaduto? È arrivata la guerra, la seconda guerra mondiale, e i dromedari, già decimati e ridotti a pochi esemplari, morirono quasi tutti durante il conflitto, abbattuti e ridotti a carne per sfamare le truppe tedesche. Qualcuno sopravvisse, ma era poca cosa. L’ultimo dromedario, Nadir, se ne andò negli anni Sessanta, e oggi lo scheletro di quell’ultimo discendente dei camelidi arrivati a Pisa dal deserto nel Seicento è conservato al Museo di Storia Naturale della Certosa di Calci. Poi, negli anni che seguirono, ci fu qualche tentativo di reintrodurre i dromedari a San Rossore, che però non ebbe seguito.

Soltanto in tempi recenti, nel 2014, i dromedari sono tornati a San Rossore: una donazione dell’AGESCI ha permesso a tre splendidi esemplari, un maschio e due femmine, di ripristinare quella presenza che era così cara e familiare ai pisani di una volta. Da allora sono tornati. L’ente che gestisce la tenuta di San Rossore ritiene che siano una presenza importante per valorizzare il parco. Anche questi dromedari, come i loro simili che abitarono il parco secoli addietro, vengono impiegati per lavorare: partecipano periodicamente alla pulizia della spiaggia di San Rossore e delle sue dune. E ogni volta questa operazione diventa una specie di festa, che viene promossa e adeguatamente comunicata. Si può partecipare come volontari e pulire la spiaggia assieme ai dromedari. E poi loro, di tanto in tanto, escono dalle loro stalle, nei terreni dell’azienda agrozootecnica del Parco di San Rossore, e si fanno vedere quando c’è qualche evento particolare. L’apertura di una corsa all’ippodromo, per esempio. Oppure una giornata di educazione ambientale. Certo, probabilmente stanno meglio rispetto ai loro antenati: devono sgobbare di meno, ma comunque anche a loro è chiesto di lavorare. E soprattutto, sono tornati a essere una gradita presenza. Una presenza che rende unico il meraviglioso parco che, da quattro secoli, è la loro casa. Chissà se sentiranno la nostalgia del loro deserto.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).




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