Bolognese, artista di grande talento che seppe ritagliarsi un ruolo non secondario nella Bologna del primo Cinquecento, forte di un ingegno che Giorgio Vasari definì “capriccioso e destrissimo”. E donna: è Properzia de’ Rossi (Bologna, 1490 circa - 1530), la prima scultrice di cui si abbia notizia. La sua è una storia straordinaria, la storia di una donna che decide di cimentarsi in un mestiere fino ad allora riservato esclusivamente ai maschi, il mestiere della scultura, sfidando pertanto le convenzioni e gli ordini valoriali della sua società e, almeno stando a ciò che racconta Vasari, arrivando anche a irritare alcuni suoi colleghi maschi. Di lei, tuttavia, sappiamo molto poco: il primo documento che la riguarda è un atto d’acquisto, risalente al 1514, di un terreno poco fuori Bologna, che sarà poi rivenduto nel 1516. Della sua formazione non abbiamo alcuna notizia: sul suo percorso artistico tutto tace fino al 1525, anno in cui Properzia de’ Rossi cominciò a lavorare nel cantiere di San Petronio nella città emiliana, al fianco di alcuni dei maggiori e più stimati artisti del tempo, come Alfonso Lombardi, Girolamo da Treviso, Amico Aspertini, Niccolò Tribolo. Anche le opere riferibili a lei con un buon grado di certezza sono pochissime: soltanto tre.
È lo stesso Vasari a tramandarci l’immagine di una donna forte, convinta dei propri mezzi, intraprendente e indipendente: si tratta di un ritratto che non è solo un’invenzione letteraria del grande storiografo aretino, perché alcuni tratti del carattere di Properzia possono essere desunti dai documenti che conosciamo della sua vita. Vasari, nel presentare la sua figura, si concede un lungo topos letterario nel quale elenca dapprima tutte le donne eccellenti dell’antichità e della sua contemporaneità, per arrivare a dire che le donne non si son “vergognate, quasi per torci il vanto della superiorità, di mettersi con le tenere e bianchissime mani nelle cose mecaniche e fra la ruvidezza de’ marmi e l’asprezza del ferro, per conseguir il desiderio loro e riportarsene fama”. E tra le donne che non si vergognarono di mettersi a lavorare nelle “cose mecaniche”, figura Properzia de’ Rossi, che Vasari descrive come “giovane virtuosa, non solamente nelle cose di casa, come l’altre, ma in infinite scienze che non che le donne, ma tutti gli uomini gl’ebbero invidia”, e ancora come donna “del corpo bellissima”, che “sonò e cantò ne’ suoi tempi meglio che femmina della sua città”. Il racconto vasariano prosegue con un aneddoto, sul quale non abbiamo riscontri, ma che rientra in una tradizione di immagini sbalorditive che lo storiografo spesso adoperava per sottolineare la precocità del talento dei protagonisti delle sue Vite: pare infatti che Properzia avesse dimostrato le proprie doti sin da giovanissima dilettandosi a intagliare noccioli di pesche, arrivando fino a creare una Passione di Cristo con questo insolito e stravagante materiale, e riuscendo in quest’arte così bene “che fu cosa singulare e maravigliosa il vederli”, non solo “per la sottilità del lavoro, ma per la sveltezza delle figurine che in quegli faceva e per la delicatissima maniera del compartirle”.
La studiosa Vera Fortunati ipotizza che un così vivace ritratto potrebbe far supporre che Vasari abbia conosciuto Properzia di persona: l’occasione potrebbe essere stata l’incoronazione di Carlo V, avvenuta il 24 febbraio del 1530 nella basilica di San Petronio a Bologna, evento che richiamò nella città felsinea diversi artisti impegnati nell’allestimento delle scenografie. “L’incontro con una presenza femminile così fuori dalla norma”, scrive Fortunati, “è destinato a lasciare nella memoria vasariana una traccia indelebile, dove ammirazione e censura si amalgamano indissolubilmente”, e lo storico “non esita a mettere in evidenza la scelta trasgressiva dell’artista”. La scelta è proprio quella di dedicarsi a un mestiere precluso alle donne, tanto che anche in seguito, verso la metà del Cinquecento, all’apice del dibattito sul “paragone delle arti” (la discussione sulla superiorità della scultura o della pittura, cui presero parte molti artisti e teorici), alcuni, come il letterato Benedetto Varchi, l’architetto Francesco da Sangallo e il pittore Paolo Pino, come argomento a favore della scultura menzionavano l’assenza di donne scultrici, il che, secondo la mentalità del tempo, rendeva la scultura professione più difficile della pittura, ambito nel quale invece operavano già diverse donne.
Ritratto di Properzia de’ Rossi in Giorgio Vasari, Le vite de’ più eccellenti pittori, scultori ed architettori, Firenze, Giunti, 1568, p. 171 |
Ambito Bolognese, Ritratto femminile (Properzia de’ Rossi?) (XVI secolo; olio su tavola, 56 x 45 cm; Roma, Galleria Borghese) |
Nicolas de Larmessin, Ritratto di Properzia de’ Rossi in Isaac Bullart, Academie des Sciences, et des Arts contenant les Vies et les Eloges Historiques des Hommes illustres, Parigi, Louis Blaine Marchand Libraire à la rue S. Jacques, 1682 |
Joachim von Sandrart, Ritratto di Properzia de’ Rossi in Joachim von Sandrart, Academia nobilissimae artis pictoriae, Francoforte, Michaelis ac Johan Friderici Endterorum haeredes, 1683 |
L’intraprendenza di Properzia, come detto, è comunque confortata dai documenti, a cominciare da quelli che riguardano le compravendite delle sue proprietà. L’artista, del resto, veniva da una famiglia benestante. Vale la pena un breve affondo sulla sua educazione (che possiamo solo presumere, non essendoci giunto alcun documento in merito): il padre Girolamo di mestiere faceva il notaio (non abbiamo invece informazioni sulla madre), e probabilmente Properzia fu avviata agli studî che tipicamente seguivano le giovani donne di buona famiglia tra fine Quattrocento e inizio Cinquecento, che prevedevano l’educazione religiosa, l’apprendimento di elementi di letteratura e la pratica di attività creative che erano ritenute appropriate per il sesso femminile (principalmente ricamo e tessitura). Un’istruzione minima, in sostanza: Properzia non fece in tempo a essere educata secondo i principî che Baldassarre Castiglione elencò nel suo Cortegiano (la cui prima edizione è del 1528 e nel quale Castiglione fissa i valori secondo cui dovrebbe essere istruita una dama: “Voglio che questa donna”, scriveva, “abbia notizia di lettere, di musica, di pittura, e sappia danzar e festeggiare; accompagnando con quella discreta modestia e col dar bona opinione di sé ancora le altre avvertenze che son state insegnate al cortegiano”), ma il suo caso indica che, probabilmente, le nozioni da lei ricevute durante la sua infanzia e la sua adolescenza oltrepassavano, in certa misura, i confini che la società del tempo stabiliva per le donne, ed evidentemente denota che la posizione della donna nella società dell’epoca stava subendo dei cambiamenti molto rilevanti.
Tornando ai documenti che possono contribuire a darci un’idea del temperamento di Properzia, sappiamo per certo che, nel 1520, la scultrice fu citata in giudizio da un suo vicino di casa, il milanese Francesco di Stefano Crivelli, che la accusava di aver distrutto alcune piante (filari di viti e un ciliegio) nel suo orto, in complicità con il suo amante, il nobile Anton Galeazzo Malvasia (tanto che negli atti del processo Properzia viene definita “concubina” di quest’ultimo): il 25 ottobre del 1520 i due vengono accusati di aver abbattuto “viginti quatuor pedes vitium, et unum ciresum amarascum contra voluntatem dicti Francisci Velutarri Domini et Patroni dicti Orti” (“ventiquattro piedi di viti e un ciliegio marasco contro la volontà del detto signor Francesco vellutaro, proprietario del detto orto”). Il processo venne poi sospeso e non sappiamo come andò a finire, ma probabilmente le parti si vennero incontro, perché poco tempo dopo Properzia acquistò la casa in cui Crivelli abitava e gliela concesse in affitto (anche se in seguito, il 23 giugno del 1523, gli intimò lo sfratto). E ancora, c’è un ulteriore documento, che riguarda un processo per una lite tra artisti avvenuta nel 1525 (il pittore Domenico Francia veniva accusato di aver picchiato il collega Vincenzo Miola). L’unico testimone di cui ci sia giunta notizia è Amico Aspertini (Bologna, 1474 circa - 1552), il principale rivale di Properzia, almeno secondo il racconto vasariano: nella sua deposizione, Aspertini riferiva che la mattina dopo la rissa, sentito il chiasso provenire dalla casa di Miola, suo vicino, l’artista aveva chiesto a una donna che abitava nella casa di Miola cosa fosse successo la notte prima, e quest’ultima gli avrebbe risposto che “gli è stato Domenico depentore del Franza, che ha dato al mio cristiano et glia amachato gli occhij, et la Propertia glia sgraffignato el volto”. Ora, non sappiamo per certo se la “Propertia” di cui si parla nel processo sia la scultrice, ma dato il teste (l’Amico Aspertini suo acerrimo rivale), e dato che la lite era scoppiata nel quartiere degli artisti, è del tutto lecito supporre che la Properzia che aveva partecipato alla rissa, graffiando il volto del collega mentre Domenico Francia lo percuoteva, sia proprio la nostra artista.
Gli unici altri documenti che conosciamo di Properzia riguardano invece la sua attività nel cantiere di San Petronio. La donna cominciò a essere pagata per la sua attività nel cantiere a partire dal 1525: la critica suppone che a raccomandare Properzia al presidente della Fabbrica di San Petronio, il conte Alessandro Pepoli, sia stato proprio Anton Galeazzo Malvasia, che era amico di Pepoli. Vasari, del resto, riferisce che Properzia eseguì un ritratto in marmo di Guido Pepoli (padre di Alessandro), che piacque agli Operai di San Petronio al punto che la fabbriceria decretò l’ingresso della scultrice nel cantiere. Nel Museo di San Petronio si conserva effettivamente un ritratto in marmo del primo Cinquecento, la cui attribuzione a Properzia è però molto discussa anche in ragione della difficile identificazione del personaggio raffigurato. La donna lavorò nel cantiere della basilica fino al 1526 (è del luglio di quest’anno l’ultima notizia d’una sua attività in San Petronio, che coincide con l’ultima notizia sulla sua attività artistica): Vasari riferisce di una sorta di mobbing che Properzia avrebbe subito proprio da Amico Aspertini, dal momento che, secondo il racconto, l’artista rivale, invidioso di lei, avrebbe messo in giro cattive voci sul suo conto, col risultato che gli operai pagarono “un vilissimo prezzo” i suoi lavori. In realtà i pagamenti ricevuti da Properzia, almeno secondo le note che ci sono giunte, non palesano differenze di rilievo rispetto a quelli dei colleghi, tuttavia, argomenta lo storico dell’arte Massimo Giansante, il racconto di Vasari potrebbe non essere romanzato: “l’insoddisfazione sdegnata della scultrice e il suo allontanamento volontario dal cantiere”, spiega Giansante, “s’inquadrano assai bene, infatti, nell’immagine delineata finora dalle fonti documentarie, in particolare in merito alle intemperanze di Properzia e ai suoi rapporti prevalentemente conflittuali con altri artisti”.
Bologna, la basilica di San Petronio. Ph. Credit Fabbrica di San Petronio |
Una sala del Museo di San Petronio |
Come anticipato, sono solo tre le opere che si possono riferire con una certa sicurezza a Properzia de’ Rossi. La prima è una formella con Giuseppe e la moglie di Putifarre, che è peraltro centrale nel racconto vasariano, ed è pertanto la base per qualsiasi tentativo di ricostruzione dell’attività artistica della scultrice. Vasari parla infatti di un “leggiadrissimo quadro dove [...] fece la moglie del maestro di casa di Faraone, che innamoratasi di Giosep, quasi disperata del tanto pregarlo, all’ultimo gli toglie la veste d’attorno con una donnesca grazia e più che mirabile”. Secondo lo storiografo toscano, l’opera fu “da tutti riputata bellissima et a lei di gran sodisfazzione, parendole con questa figura del Vecchio Testamento avere isfogato in parte l’ardentissima sua passione”. L’episodio è quello raccontato nel libro della Genesi: il patriarca Giuseppe, da giovane, viene venduto dai fratelli come schiavo in Egitto, e acquistato da Putifarre, capo delle guardie del faraone. La moglie di Putifarre, attratta dall’avvenenza del ragazzo e innamoratasi di lui, cercò di sedurlo, ma lui si divincolò e fuggì: la donna, rifiutata, volle vendicarsi calunniandolo (raccontò che aveva voluto violentarla), ragion per cui Putifarre lo fece imprigionare. Nel suo rilievo in marmo, Properzia non si discosta dalla consueta iconografia dell’episodio, aderente alla narrazione biblica, e in base alla quale Giuseppe viene colto mentre fugge, e la moglie di Putifarre seminuda, seduta sul suo letto, è raffigurata nell’atto di stringere Giuseppe per la veste (ne strapperà un lembo). In antico il rilievo si trovava probabilmente sopra uno dei portali della facciata, ma Vera Fortunati e Irene Graziani ipotizzano che, dato l’eccellente stato di conservazione, l’opera non sia mai stata esposta in esterno. Fortunati ha anche messo in relazione la raffigurazione alle vicende personali di Properzia (un amore non corrisposto): “l’immedesimazione nella moglie di Putifarre”, scrive, “riflette un’interpretazione al femminile dell’episodio biblico che viene trascritto con un linguaggio aggiornato sui modelli della ‘maniera’ romana e insieme con un’attenzione a tratti riservata al dato naturale”. Il risultato è uno spazio “calibrato in una sequenza armonica di verticali e orizzontali”, dove il principale protagonista non è Giuseppe, bensì proprio la moglie di Putifarre, la figura femminile delineata secondo modelli michelangioleschi (al contrario del giovane che è invece esemplato su modi raffaelleschi). Fortunati parla dunque di una “raffaellizzazione di Michelangelo” che portò Vasari a dare quella definizione di “leggiadrissimo quadro”. E pare che anche il Parmigianino sia stato affascinato da questa formella, proprio per l’insolito punto di vista femminile.
Il rilievo è stato messo in relazione con l’episodio analogo che si trova raffigurato nella Loggia di Raffaello in Vaticano e che viene tradizionalmente attribuito a Giulio Romano (Giulio Pippi de’ Iannuzzi; Roma, 1499 circa - Mantova, 1546): Properzia poté conoscerlo attraverso la redazione grafica resa in un’incisione di Marcantonio Raimondi (Sant’Andrea in Argine, 1480 - Bologna, 1534), bolognese come lei. E sulla base di questo labile appiglio si è anche ipotizzata una formazione di Properzia presso la bottega di Raimondi: informazione tuttavia ancora impossibile da verificare.
La seconda opera è riferibile allo stesso incarico: si tratta infatti di un altro bassorilievo, che raffigura l’episodio dell’accusa mossa dalla moglie di Putifarre a Giuseppe. È un’opera che nella storiografia è menzionata molto meno di quella che raffigura l’episodio della tentazione, tanto che in passato è stata attribuita anche ad Amico Aspertini. Già in una guida Pitture, scolture ed architetture delle chiese, luoghi pubblici, palazzi, e case della città di Bologna, e suoi sobborghi del 1776, la formella viene accostata ad altre giudicate “di maniera più risentita” rispetto al bassorilievo da sempre assegnato alla mano di Properzia. La prima attribuzione a Properzia di questa formella risale al 1832 (si deve ad Antonio Saffi l’idea di avervi riconosciuto la sua mano), e dopo un dibattito proseguito per tutto il Novecento, la critica si è assestata su un’assegnazione a Properzia, anche se nel 1984 Maria Vittoria Brugnoli attribuiva il disegno ad Alfonso Lombardi, riconoscendo l’esecuzione come opera della scultrice: questo per ragioni di vicinanza stilistica al Mosè e la prova dei carboni ardenti che Lombardi scolpì per il portale sinistro di San Petronio. Del resto, i registri contabili della fabbriceria di San Petronio dimostrano che Properzia in certe occasioni fu impiegata per dar forma a disegni altrui (e tra gli scultori dei quali tradusse le idee ci fu anche lo stesso Lombardi).
La terza opera è un singolarissimo lavoro di oreficeria: si tratta dello stemma della famiglia Grassi, un’opera in filigrana d’argento, cristallo di rocca e legno di bosso (particolarmente adatto, quest’ultimo, a lavori di questo genere in virtù della sua durezza), nel quale sono incastonati dodici noccioli d’albicocca intagliati, con figure di santi, due per ogni lato del nocciolo. Proprio la stravaganza dei noccioli di frutta intagliati ha portato la critica ad ascrivere l’opera alla mano di Properzia de’ Rossi (eccezion fatta per la montatura: non sappiamo infatti di attività orafe eventualmente condotte da Properzia, ragion per cui si tende ad assegnare le parti in metallo ai fratelli Giacomo e Andrea Gessi, orafi bolognesi del primo Cinquecento che lavorarono per la famiglia Grassi), rammentando il racconto di Vasari circa la grande abilità di Properzia in questo tipo di lavori. La letteratura storico-artistica del XIX secolo ha riservato grande attenzione a quest’opera, oggi conservata al Museo Civico Medievale di Bologna. L’opera, scrive Fortunati, “appartiene senz’altro a una produzione di manufatti in filigrana destinati al culto per una committenza e un collezionismo aristocratico e di raffinata fattura: il trattamento vibrante e luministico della superficie, la materia avviluppata in un groviglio quasi a restituire l’effetto soffice del piumaggio fanno da cornice agli undici noccioli, in cui sembra riversarsi un gusto per l’‘antico’ debitore nei confronti di interessi collezionistici legati a reperti epigrafici e numismatici, diffuso a Bologna negli ambienti fra corte e Studio agli inizi del Cinquecento”. In questi rilievi, conclude la studiosa, “grazia calligrafica ed evidenze ottiche sembrano mescolarsi nella sperimentazione di un linguaggio che unisce la lezione del classicismo alle prime ‘trasgressioni’ formali della ‘maniera’”.
Properzia de’ Rossi, Giuseppe e la moglie di Putifarre (1525?; marmo, 53,5 x 54 cm; Bologna, Museo di San Petronio) |
Properzia de’ Rossi (attr. ), La moglie di Putifarre accusa Giuseppe (1525?; marmo, 53 x 54 cm; Bologna, Museo di San Petronio) |
Properzia de’ Rossi e Giacomo e Andrea Gessi (attr. ), Stemma della famiglia Grassi (s.d.; filigrana d’argento, parti fuse, cristallo di rocca, legno di bosso, noccoli, 39 x 22 cm; Bologna, Museo Civico Medievale, inv. 2135) |
Properzia de’ Rossi, Stemma della famiglia Grassi, dettaglio con la figura di san Pietro |
Properzia de’ Rossi, Stemma della famiglia Grassi, dettaglio con la figura della Madonna della Misericordia |
Le ultime notizie sicure su Properzia riguardano la parte finale della sua vita: nell’aprile del 1529 sappiamo che è ricoverata all’ospedale di San Giobbe, malata (risale a quest’epoca un suo documento in cui dispone il pagamento di un debito nei confronti di un notaio, Lorenzo da Massummatico). Properzia continuò dunque a seguire le sue attività economiche fino alla fine dei suoi giorni, che arrivò probabilmente nel febbraio del 1530 (questa la data fornita da Vasari). Giorgio Vasari ci ha anche tramandato la classica immagine di Properzia: “il suo ritratto”, scrive nelle Vite, “si è avuto da alcuni pittori che furono suoi amicissimi”. L’immagine di cui parla Vasari è quella che accompagna la “Vita” di Properzia, e che ce la mostra a mezzo busto, girata di tre quarti, e col capo velato, secondo una consuetudine piuttosto diffusa tra le donne di buona famiglia del tempo. Questa è l’immagine di Properzia più ripresa, e probabilmente si rifà a questo tipo anche il bel ritratto di ambito bolognese che oggi si conserva alla Galleria Borghese di Roma (non sappiamo però se si tratta davvero del ritratto di Properzia, dato che mancano attributi che possano identificare il mestiere della donna).
Ci sono però anche alcuni ritratti che forse comunicano meglio l’indole e l’orgoglio di questa donna così eccezionale, entrambi pubblicati a stampa, e a breve distanza l’uno dall’altro. Il primo è stato inciso da Nicolas de Larmessin (Parigi, 1632 - 1694) come illustrazione per l’Academie des Sciences, et des Arts contenant les Vies et les Eloges Historiques des Hommes illustres di Isaac Bullart, trattato pubblicato nel 1682. Qui, Larmessin, pur seguendo i connotati vasariani, offre di Properzia un’immagine decisamente più femminile, con la veste scollata, il manto bordato di pelliccia, il corpetto decorato, e soprattutto più orgogliosa, dato che la donna viene accompagnata dagli strumenti tipici del mestiere, ovvero lo scalpello, il martello e la squadra, oltre a una tavolozza e ai pennelli. La Properzia più femminile è comunque quella di Joachim von Sandrart (Francoforte sul Meno, 1606 - Norimberga, 1688), utilizzata per illustrare l’Academia nobilissimae artis pictoriae, scritta dallo stesso Sandrart: qui, Properzia si trasforma, come ha scritto Irene Graziani, “in una dama dell’aristocrazia atteggiata secondo il codice del ritratto internazionale [...]: le dita della mano intrecciate al vezzo di perle, la veste di stoffa leggera mossa nel gioco delle maniche rigonfie, il cappellino con falda a corolla aperta sull’acconciatura di capelli ondulati, raccolti sulla nuca, ma liberi in piccole ciocche attorno alla fronte”. Un volto “spigliato ed elegante” che, nella guida di Sandrart, ha anche un primato: a Properzia de’ Rossi spetta infatti il primo posto nella rassegna delle artiste italiane illustri. Alla testa di una valentissima schiera di donne che avrebbe incluso, negli anni e nei secoli a venire, personalità del calibro di Plautilla Nelli, Sofonisba Anguissola, Artemisia Gentileschi, e tantissime altre.