di
Federico Giannini
(Instagram: @federicogiannini1), scritto il 02/07/2020
Categorie: Opere e artisti / Argomenti: Novecento - Toscana - Parchi d'arte contemporanea
Era il 1988 quando a Seano aprì il Parco-Museo dedicato a Quinto Martini (Seano, 1908 - Firenze, 1990), importante scultore del Novecento che volle creare nel suo borgo natale uno splendido parco con le sue sculture.
Quando s’ammira una scultura di Quinto Martini, alle volte, a un primo sguardo disattento, si potrebbe esser sopraffatti dalla tentazione di ritenere la sua arte una sorta di coda di verismo ottocentesco, un’arte fortemente ancorata al dato naturalistico, un’arte di stretta mimesi, al più riattata secondo le modalità del gusto dominante. A ben vedere ci s’accorgerà però che quella di Quinto Martini è una figura alquanto complessa: intanto, è un artista in grado di trasfigurare la realtà in una poesia dagli accenti delicati, elegiaci, ancestrali. Non ci sarà poi da dimenticare che Martini è un toscano molto attaccato alla sua terra, e che per sua stessa ammissione non ha avuto altri maestri al di fuori della natura e di Ardengo Soffici. Aveva vent’anni, Quinto Martini, quando Vallecchi pubblicava, nel 1928, il Periplo dell’arte di Soffici: aveva conosciuto il più anziano pittore un paio d’anni prima, a Poggio a Caiano, a poche centinaia di metri di distanza dalla sua Seano, ed evidentemente quella lezione avrebbe segnato gran parte della sua futura produzione.
Uno dei capitoli del Periplo dell’arte è dedicato al binomio Chiarezza e realismo: “s’intenda per realismo”, scriveva Soffici, “il concetto di totalità, secondo cui materia e spirito sono inscindibili in ogni ente vivo, verità e fantasia si completano, e così il mondo esteriore e quello interiore, soggetto e oggetto. [...] Dal primo nascer delle arti fino a pochi anni fa, gli artisti, da quelli ignoti delle caverne fino a Degas, Renoir, Cézanne e Fattori, e cioè per più migliaia d’anni, non hanno fatto che ispirarsi alla natura nel creare le loro opere, ciascuno col proprio stile particolare, con l’accento caratteristico della propria anima”. Parole che, con tutta evidenza, Quinto Martini decise di far sue, dacché s’attagliano con perfezione alla sua arte, un’arte d’una chiarezza cristallina, quotidiana, che percorre secoli di storia dell’arte affondando le radici nella statuaria etrusca così magistralmente interpretata, per arrivare a un presente dove la presenza monumentale è riservata a un’umanità feriale e con la quale l’artista celebra la vita dei più umili, i loro affetti, le loro abitudini.
Era il 1988 quando a Seano veniva inaugurato il Parco-Museo “Quinto Martini”, sorto da un’iniziativa dell’allora sindaco di Carmignano, Antonio Cirri, e da un’idea dell’artista: il primo cittadino aveva chiesto a Martini un’opera da posizionare nella piazza del paese, piazza IV Novembre. Perché allora non estendere il proposito iniziale e aprire un parco dov’esporre un nutrito apparato di sculture in bronzo? Questa fu la controproposta di Quinto Martini, accettata di buon grado e con entusiasmo dal Comune: alla fine, trentasei opere, fuse da sculture realizzate tra il 1931 e il 1988, furono donate da Martini al Comune e finirono per essere installate nei trentaduemila metri quadri del grande parco che oggi porta il nome dello scultore e pittore, uno dei più grandi d’Europa dedicati all’opera d’un singolo artista. La donazione era vincolata a tre condizioni: l’inserimento delle opere in uno “spazio circostanziato”, una collocazione “connaturata al luogo” e la possibilità di far sì che la presenza delle opere potesse esser resa “a beneficio di tutti”. Per render concreta l’idea del grande giardino, che sarebbe sorto in luogo d’alcuni campi incolti che nessuno più usava, si chiamò uno dei migliori architetti toscani del momento, Ettore Chelazzi, e assieme a Quinto Martini s’immaginò la forma da dare al parco: tre vialetti alberati, dove abbondano lecci, pioppi, cipressi e altre essenze tipiche del luogo, conducono a un vasto piazzale centrale, dove s’arriva sempre accompagnati dalla presenza gentile e delicate delle opere, che mai abbandonano il visitatore che s’inoltra tra le fronde.
|
Il Parco-Museo Quinto Martini a Seano
|
|
Il Parco-Museo Quinto Martini a Seano
|
|
Il Parco-Museo Quinto Martini a Seano
|
|
Il Parco-Museo Quinto Martini a Seano
|
|
Il Parco-Museo Quinto Martini a Seano
|
L’integrazione tra scultura e spazio è l’anima che infonde vita a questo luogo magico, lirico, colmo di poesia, una poesia della semplicità: il parco è di per sé emblema del bene comune, della condivisione, tempio dello svago ma anche sito dove poter sostare e riflettere, ragionare. È la partitura sulla quale prenderà forma il racconto della terra di Toscana. Le colline che lo attorniano sono “luoghi di lavoro e di cultura”, secondo la formula adoperata dallo stesso artista. Scandiscono il ritmo della narrazione. Le sculture sono i versi di questo lungo carme dedicato alla vita semplice degli abitanti delle aree rurali della Toscana. “Le mie sculture”, aveva detto Martini in un’intervista alla Nazione del 1988, e riprodotta nel catalogo del Parco-Museo curato da Marco Fagioli e Lucia Minunno, “vogliono prima di tutto esprimere la semplice vitalità di questa terra. Non quindi la delimitazione di un museo, ma un appropriato inserimento in quella natura da dove sono state tratte e dove tutti possono avere le loro ore di libertà. Ognuna di queste statue risponde dentro di me con un suono diverso: diverso per il ricordo di una particolare situazione, di un particolare stato d’animo, di una diversa età. Quando vengo qui ciascuna mi parla con una sua voce, che è poi la mia del tempo d’allora. Ognuna di esse è figlia di un mio tempo diverso, che così alla distanza non riuscirei neanche più a mettere precisamente a fuoco, forse perché non ho mai dato importanza alla registrazione del tempo o di quanto mi accadeva intorno”.
In quella stessa intervista, l’artista affermava che le opere dovrebbero rimanere sempre nel luogo in cui nascono. Ed è tenendo a mente quest’idea che Martini marcava la differenza tra un parco e un museo: la scultura, quand’è inserita in una superficie aperta, attiva uno scambio diretto col paesaggio che la circonda e che con lei interagisce (si pensi solo alle condizioni di luce del parco, che possono presentarci una stessa scultura in centinaia di vesti differenti). La scultura diviene presenza sul territorio evocandone la storia, segno d’identificazione e di senso d’appartenenza, simbolo d’equilibrio, strumento di rinnovata conoscenza, lente attraverso la quale leggere le peculiarità della terra che la ospita, nastro che lega contemporaneamente la comunità, la sua cultura e il suo spazio instaurando un rapporto profondamente dialettico, oggetto che risponde a una funzione sociale. L’insieme delle opere del parco compone un percorso simbolico che si dipana per tappe evocative, capaci di condurre i visitatori attraverso un viaggio in una dimensione scomparsa, lungo la storia, nei ricordi d’una realtà contadina che l’odierna società produttiva ha pressoché del tutto cancellato. Non è però col piglio della nostalgia che ci s’imbarca in questo itinerario, non c’è traccia di malinconia: Martini sembra quasi voler ricordare che, per quanto le epoche possano avvicendarsi e le realtà modificarsi, l’essere umano ha sempre delle responsabilità inderogabili nei riguardi della sua storia e dell’ambiente che gli consente di vivere.
|
Quinto Martini, Martinaccio (1981; bronzo, 70 x 160 x 50 cm; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
|
Quinto Martini, Caccia al cinghiale (anni Ottanta del XX secolo; bronzo, 93 x 150 x 46 cm; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
|
Quinto Martini, Paperi in amore (1981; bronzo, 94 x 105 x 45 cm; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
|
Quinto Martini, Serpi in amore (seconda metà degli anni Cinquanta del XX secolo; bronzo, 120 x 50 x 104 cm; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
|
Quinto Martini, A mia madre (fine anni Cinquanta del XX secolo; bronzo, 195 x 61 x 44 cm; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
|
Quinto Martini, Torso di giocatore di bocce (1931; bronzo, 57 x 44,5 x 104 cm; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
|
Quinto Martini, Ragazza seanese dormiente (1933; bronzo, 80 x 53 x 77 cm; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
|
Quinto Martini, Cacciatore (anni Ottanta del XX secolo; bronzo, 230 x 105 x 78 cm; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
|
Quinto Martini, Ragazza che prende l’oca (1972-1978; bronzo, 75 x 37 x 148 cm; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
|
Quinto Martini, Primavera (1965; bronzo, 190 x 61 x 56 cm; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
Quattro sono i possibili ingressi al parco. S’entra dall’ingresso di nord-est, dove un doppio filare di lecci ci porta alla prima piazza, lungo la quale trovano spazio alcuni esempî della scultura animalistica che Quinto Martini praticò spesso dagli anni Sessanta fino alla fine della sua carriera, “in maniera naturalistica”, scrive Marco Fagoli, “ma con un margine di stilizzazione sempre volta in senso accattivante, in ciò palesando viva simpatia dell’artista verso il mondo animale”: a scortare il visitatore lungo l’inizio del percorso sono dunque un Martinaccio, ovvero una grande chiocciola (“martinaccio” è il nome con cui gli abitanti di Seano chiamano l’animale nel loro vernacolo), una Caccia al cinghiale con un cane che balza addosso allo spaventato suino per morderlo (in un formidabile saggio di scultura in movimento), e poi un paio di Paperi in amore. Gli animali (più avanti, verso la fine del percorso, s’incontreranno anche un Gallo e due eleganti Serpi in amore) sono un soggetto particolarmente avvertito dall’artista, dal momento che, nel colorato e multiforme mondo della natura, sono gli esseri più vicini e più simili all’uomo, e al contempo esprimono quei valori di semplicità e spontaneità che Quinto Martini aveva a cuore. Tra le sculture degli animali si cela poi un omaggio materno (A mia madre), tradotto nell’immagine quotidiana d’una madre che si reca a far la spesa col suo bambino in braccio.
Attraversare la seconda piazza, la più grande delle due che formano il parco, un grande ovale lastricato, equivale a immergersi in un brano di vita paesana: c’è un Torso di giocatore di bocce che è tra le più evidenti risultanze della cultura antiquaria d’un Quinto Martini affascinato dalle antichità etrusche (qualcosa di simile si può dire per la Ragazza seanese dormiente, divertito ritratto d’una popolana assopita), ci si para davanti un Cacciatore che, a braccia alzate, espone le sue prede inerti, c’è una Ragazza che prende l’oca, benché il titolo non renda giustizia alla caparbietà del pennuto che sfugge dalla giovane che a piedi nudi la rincorre, c’è la Primavera che reca in mano un mazzo di rose, c’è una Povera mendicante costretta a incedere con un cartone in testa, colta nell’atto di tendere la mano per chiedere la carità ai passanti, nel brano più toccante di tutto il parco. È tra queste sculture che si coglie appieno la poesia di Quinto Martini: la piazza s’anima con le figure dei suoi abitanti, non s’avverte mai il senso di solitudine che talvolta si prova in un museo, perché le sculture divengono presenze vive, che raccontano una vita ordinaria, umile, scandita dai ritmi rallentati, dolci e morbidi della campagna. Presenze vive che forse evocano volti che Quinto Martini conobbe davvero e nei quali i visitatori d’oggi forse si rispecchiano: per l’artista, del resto, l’identificazione tra statua e riguardante doveva esser totale. “Il pubblico”, aveva scritto nel 1953 in una lettera al Nuovo Corriere, “si è sempre avvicinato a quelle forme d’arte dove esso si riconosce, cioè a quelle espressioni di vita alle quali partecipa”. Impossibile non trovare, tra gli alberi del parco, un motivo in cui non riconoscersi.
Potrebbe esser semplicemente un segno d’affetto, come avviene ne Le amiche, due ragazze nude che s’abbracciano e s’accarezzano con un gesto innocente, di leggiadra, casta e ingenua finezza, e la nudità diventa condizione ch’esalta la purezza del loro sentimento. O come è nella tenera Paternità, col padre che guarda negli occhi il bambino che tiene in braccio. Oppure un ricordo, magari evocato da una delle tante figure femminili che abbondano nella produzione di Quinto Martini e che colmano il parco di classica e armonica venustà: si veda l’immediatezza dell’Alcea, una delle poche sculture datate (è del 1945), benché non sappiamo per quali motivi lo scultore le abbia voluto dare quel nome. Oppure la posa scomposta e procace della Bagnante, mirabile esempio del virtuosismo cui poteva spingersi il modellato di Quinto Martini, e dove non si fatica a scorgere echi d’un Aristide Maillol. O la musica che pare uscire dal Suonatore di chitarra, fortemente debitore della pittura di Picasso.
E c’è infine un gruppo di sculture dall’aura quasi mistica, metafisica, che rimandano a una dimensione altra, sospesa. Accade in un’Attesa quasi dechirichiana, dove si scorge una donna tra i battenti d’una porta: è “uno degli esempi più belli della scultura italiana di quegli anni”, ha scritto Marco Fagioli. E accade nelle sculture che interpretano gli elementi dell’atmosfera, la pioggia in particolare, che Quinto Martini amava, tanto da centrare su questo tema una sua mostra a Palazzo Strozzi. Le sue Figure nella nebbia, una madre che tiene per mano un bambino che si fatica a vedere per via della foschia che avvolge entrambi, sono tra gli esiti più informali della sua arte, ma questa concessione non perde di vista la bussola che indirizza l’arte di Quinto Martini, e diviene semmai mezzo per sperimentare possibilità ulteriori. L’apice si tocca forse con Pioggia, un bassorilievo rigato in obliquo (un’intuizione giunta all’artista nel 1964: l’opera è di tre anni dopo) dove, tra i fitti scrosci che attraversano la superficie del bronzo, s’intravede la sagoma d’una figura che tenta di ripararsi. È un Quinto Martini che non tralascia la ricerca dell’effetto ottico, che elabora nuove soluzioni per coinvolgere ancor di più l’osservatore, e che cerca qui di suggerire non soltanto un evento, ma anche uno stato d’animo, riguardando alla tradizione del tardo Ottocento. “La pioggia mi è sempre piaciuta”, aveva detto in un’intervista del 1988, “mi piace sentirla battere sui vetri perché sono nato, come sempre mi hanno raccontato, durante un forte temporale”.
|
Quinto Martini, Mendicante (1981; bronzo, 185 x 51 x 58 cm; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
|
Quinto Martini, Le amiche (1972-1978; bronzo, 145 x 33 x 44 cm; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
|
Quinto Martini, Paternità (prima metà degli anni Sessanta del XX secolo; bronzo, 187 x 61 x 50 cm; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
|
Quinto Martini, Alcea (1942; bronzo, 72 x 37 x 130 cm; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
|
Quinto Martini, Bagnante (prima metà degli anni Quaranta; bronzo, 71 x 96 x 132 cm; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
|
Quinto Martini, Suonatore di chitarra (1946; bronzo, 89 x 90 cm; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
|
Quinto Martini, Attesa (1981; bronzo; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
|
Quinto Martini, Figure nella nebbia (anni Ottanta del XX secolo; bronzo, 178 x 79 x 43 cm; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
|
Quinto Martini, Pioggia (1967; bronzo, 155 x 99 cm; Seano, Parco-Museo Quinto Martini)
|
Per Quinto Martini, arte voleva dire anche impegno civile (“un artista che ha un impegno con se stesso”, ha scritto, “ha un impegno con la società”): forse anche per questo si premurò, attraverso i suoi disegni, le sue pitture e le sue sculture, di comporre e modellare opere dimesse, prive di qualsiasi retorica, semplici ma capaci di rifuggire la banalità, di bollarla come il peggiore degli errori che ostacolano il cammino d’un artista. Ed è rilevante il fatto che per Quinto Martini l’impegno civile dell’arte non si risolvesse in un’arte di storia, o in un’arte dai sottili filosofici, men che meno in un’arte politica, peraltro negli anni in cui il ruolo politico dell’arte era al centro del dibattito culturale. L’arte di Quinto Martini è del tutto insensibile alla contingenza, ed è dietro quest’elemento che si cela l’impegno dell’artista.
Eppure, passeggiando per il parco, neppure s’avverte l’impressione d’un uomo avulso dal suo tempo, che ha deciso d’isolarsi nelle sue campagne e di trincerarsi dietro quell’apparenza di schiva modestia che le sue opere trasmettono. Anzi: è un artista perfettamente inserito nell’ambiente, è un uomo conscio dei problemi della sua epoca, è un intellettuale che conosce la portata delle avanguardie. Ma nella sua arte il presente assume le dimensioni assolute della poesia, toccandone le vette. E allora ci piace forse immaginare Quinto Martini dietro una finestra in un giorno di pioggia, quella pioggia che così tanto amava, a osservare le sue campagne, riflettere sulla poesia verbovisiva che avrà sicuramente conosciuto e provare a declinarla a modo suo, sui suoi fogli che alternano versi e disegni, per comporre liriche ispirate dai giorni della sua terra, dal tempo, dalla vita: “Mi piace la pioggia / la nebbia / il vento il giorno / la notte / freddo e gelo / d’inverno / l’arsa calura / d’agosto / il silenzio della neve / le vacche magre e grasse / chi nasce chi muore / gioisco a primavera / amo l’autunno / la fine dell’anno / l’anno che nasce / fiori e spine / lungo il cammino / tutto mi rende più viva / la vita che passa / camminare non stanca / né numeri né date / nella mia mente / tutta visiva / muoiono i giorni / l’immagini restano / a ricordarmi i ricordi / camminare non stanca”.
La consultazione di questo articolo è e rimarrà sempre gratuita. Se ti è piaciuto o lo hai ritenuto interessante,
iscriviti alla nostra newsletter gratuita! Niente spam, una sola
uscita la domenica, più eventuali extra, per aggiornarti su tutte le nostre novità!
La tua lettura settimanale su tutto il mondo dell'arte
ISCRIVITI ALLA NEWSLETTER
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).