Tra i canti della Divina Commedia di Dante Alighieri, il quinto dell’Inferno, in cui si racconta la storia di Paolo e Francesca, è uno dei più celebri. Dopo aver incontrato Minosse, mostro e giudice infernale che attorciglia la coda intorno al suo corpo tante volte quanto il cerchio in cui i dannati che gli si trovano di fronte devono scendere, Dante e Virgilio giungono nel secondo cerchio infernale: qui vengono travolti da una violenta bufera, con venti contrari che si incrociano trascinando le anime dei dannati davanti a un precipizio, e ogni volta quelle anime dannate urlano, gridano, piangono, bestemmiano. Sono i lussuriosi, “i peccatori carnali / che la ragion sommettono al talento”, costretti a farsi trascinare violentemente dai venti come nella loro vita si sono fatti trascinare dall’istinto invece che dalla ragione. Tutti morti di morte violenta per loro stessa mano o da mano altrui a causa dell’amore a cui non hanno saputo resistere durante la loro esistenza. Tra le anime si riconoscono personaggi famosi della storia e dei miti, quali Semiramide, Didone, Cleopatra, Elena di Troia, ma in particolare Dante è attratto da due anime che si muovono l’uno accanto all’altra, leggere, e perciò domanda a Virgilio di poter volgere loro la parola perché gli raccontino la loro storia: sono Francesca da Rimini e Paolo Malatesta. Una tragica storia d’amore resa celebre da alcuni dei versi più noti della letteratura italiana: “Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende, / prese costui de la bella persona / che mi fu tolta; e ’l modo ancor m’offende. / Amor, ch’a nullo amato amar perdona, / mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m’abbandona. / Amor condusse noi ad una morte. / Caina attende chi a vita ci spense". È Francesca a parlare e a raccontare che la loro morte è stata causata dall’amore che hanno provato l’uno per l’altra, anche se entrambi erano legati già a un altro vincolo d’amore: lei a Gianciotto, fratello di Paolo, e lui a sua moglie. Amore non perdona a nessuno di amare chi è già amato da un’altra persona, tanto più se i due innamorati sono cognati.
Dante, ancora più desideroso di conoscere la loro vicenda, domanda a Francesca come Amore abbia concesso loro di conoscere il desiderio e la passione, e mentre Paolo piangeva, lei confida che galeotto fu il libro che narrava l’amore proibito di Lancillotto per Ginevra (moglie di re Artù) e che arrivati al punto del bacio tra i due, Paolo la baciò sulla bocca. A scoprirli fu però Gianciotto che trafisse entrambi con una spada. Per questo sono condannati a essere trascinati da furiosi venti nel secondo cerchio dell’Inferno, ma nonostante ciò continuano ad amarsi e a stare l’una accanto all’altro.
Quello di Paolo e Francesca è uno degli amori più celebrati di tutti i tempi, non solo in letteratura, ma anche in ambito artistico. Nell’Ottocento in particolare molti artisti, in Italia e all’estero, spinti dall’interesse a rappresentare temi legati alla letteratura e ai classici, hanno trasposto sulle loro tele la storia dei due innamorati, nei vari momenti del racconto. Sostanzialmente tre: l’intimo incontro della lettura con il conseguente bacio, la scoperta del tradimento da parte di Gianciotto e l’uccisione degli amanti, e infine Paolo e Francesca nell’Inferno.
Attraverso alcuni capolavori artistici, è possibile ripercorrere i vari episodi della narrazione.
Il pittore tedesco Anselm Feuerbach (Spira, 1829 – Venezia, 1880) trattava molto spesso temi della letteratura italiana e in un dipinto del 1864, oggi appartenente alla Collezione Schack di Monaco, raffigurò Paolo e Francesca intenti nella lettura della storia di Lancillotto, come raccontato nel V canto dell’Inferno dantesco: “Noi leggiavamo un giorno per diletto / di Lancialotto come amor lo strinse; / soli eravamo e sanza alcun sospetto”. In una scena ancora molto casta, anche se l’avvicinamento da parte del giovane verso la fanciulla sia con il viso che con il braccio appoggiato sullo schienale della seduta fa presagire qualcosa, i due sono immersi in un ambiente quasi bucolico, tra la vegetazione; lei ha il libro tra le mani e tiene con le dita il segno delle pagine, ma non si nota ancora, soprattutto da parte sua, alcun desiderio amoroso. È una scena intima e raccolta, ma senza abbandono ai sentimenti.
“Quando leggemmo il disiato riso / esser basciato da cotanto amante, / questi, che mai da me non fia diviso, / la bocca mi basciò tutto tremante”. L’abbandono al desiderio amoroso con il bacio sulla bocca tra i due giovani è raffigurato da Amos Cassioli (Asciano, 1832 - Firenze, 1891): rispetto al dipinto di Feuerbach cambia anche l’ambientazione, poiché in un ambiente interno e domestico, in cui predomina l’arredamento in legno. I due cognati sono seduti l’uno accanto all’altra; Francesca è colta di sorpresa dal bacio appassionato che Paolo le dà sulle labbra, sfiorandole con le dita il mento. Che tutto sia avvenuto all’improvviso si percepisce dalla postura della ragazza, rimasta impietrita con le braccia distese sulla gonna, e soprattutto dal libro caduto semiaperto a terra. Una scena intima e passionale.
Anselm Feuerbach, Paolo e Francesca (1864; olio su tela, 137 x 99,5 cm; Monaco, Sammlung Schack) |
Amos Cassioli, Paolo e Francesca (1870; olio su tavola, 21 x 31 cm; collezione privata) |
Ambientato su una terrazza da cui si vede il paesaggio circostante è invece il quadro dello scozzese William Dyce (Aberdeen, 1806 – Londra, 1864). Quella raffigurata nell’opera custodita alle National Galleries of Scotland è una scena d’amore cortese: vi è un sentimento, ma rappresentato con assoluta compostezza; il bacio non è dato sulla bocca, ma sulla guancia e la fanciulla volge timidamente il volto dall’altra parte. Non vi è neanche lo stesso impeto del dipinto di Cassioli, in quanto il libro rimane ben saldo sulle ginocchia. Anche lo strumento musicale appoggiato al muretto e la presenza della luna rimandano a una scena cortese. Sulla sinistra si intravede una mano: è quella di Gianciotto che ha sorpreso gli amanti; in origine infatti il pittore aveva incluso anche la sua figura.
Il pittore vittoriano Sir Frank Dicksee (Londra, 1853 - 1928) raffigurò in una sua opera del 1894 il momento successivo al bacio tra i due cognati: lo si comprende dal fatto che il libro con la storia di Lancillotto è già caduto sul pavimento di un ambiente alquanto lussuoso. Francesca appoggia la testa sulla spalla di Paolo, il quale la stringe verso di sé e le bacia teneramente la mano. Nella scena, caratterizzata da una certa ricchezza sia negli arredamenti che negli abiti, sembra aleggiare un senso di colpa, un’irrequietezza dell’animo che, anche se ancora i due non lo sanno, presagisce la loro tragica morte.
Da preraffaellita qual era, Dante Gabriel Rossetti (Londra, 1828 – Birchington on Sea, 1882) era affascinato dalla letteratura e concepiva la sua arte come un qualcosa che avesse una qualità simile alle opere letterarie dei suoi scrittori prediletti, in particolare di Dante Alighieri: l’artista tradusse le opere del Sommo Poeta e anche suo padre era uno studioso di Dante (tanto che chiamò il figlio come il suo scrittore preferito). Tra le sue opere incentrate sull’amore tragico e romantico, Dante Gabriel Rossetti realizzò nel 1855 un dipinto diviso in tre parti, oggi custodito alla Tate Britain di Londra, che racconta l’amore illecito tra Paolo e Francesca: il bacio terreno dei due amanti, Dante e Virgilio che si stringono la mano, l’abbraccio infernale tra i due giovani.
Il momento in cui Gianciotto scopre il tradimento è ben rappresentato dal pittore francese Jean-Auguste-Dominique Ingres (Montauban, 1780 - Parigi, 1867) almeno in sette versioni, molto simili tra loro, ma la cui versione più completa è considerata quella conservata al Musée des Beaux-Arts di Angers. In una composizione che rimanda al Rinascimento nordico, Paolo e Francesca si trovano in un ambiente stretto, a cui si accede da una porta coperta da una spessa tenda. Il giovane si allunga in una posa quasi in diagonale verso il volto della bella Francesca e le dà un bacio sulla guancia; quest’ultima arrossisce mentre le cade dalle mani il piccolo libro. Da dietro la tenda però Gianciotto è già pronto a sguainare la spada per compiere il suo tragico gesto.
William Dyce, Francesca da Rimini (1837; olio su tela, 142 x 176 cm; Edimburgo, National Galleries of Scotland) |
Frank Dicksee, Paolo e Francesca (1894; olio su tela, 130 x 130 cm, collezione privata) |
Dante Gabriel Rossetti, Paolo e Francesca da Rimini (1855; acquerello su carta, 25,4 x 44,9 cm; Londra, Tate Britain) |
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Paolo e Francesca (1819; olio su tela, 50 x 41 cm; Angers, Musée des Beaux-Arts) |
Gustave Dorè (Strasburgo, 1832 – Parigi, 1883), pittore e incisore, illustrò nel 1861 l’Inferno della Divina Commedia e tra le immagini più suggestive e quasi oniriche che compì si conta la raffigurazione delle due anime di Paolo e Francesca che si lasciano trascinare “quali colombe dal disio chiamate / con l’ali alzate e ferme al dolce nido / vegnon per l’aere, dal voler portate”. Il corpo nudo e sensuale di Francesca è aggrappato alla figura di Paolo che le sta dietro e la guarda in segno di protezione. I due si completano in una figura unica, sottolineando l’amore profondo e forte da cui sono reciprocamente legati.
In una visione estremamente evocativa, Gaetano Previati (Ferrara, 1852 – Lavagna, 1920) raffigurò nel 1909 in un dipinto presentato alla Biennale di Venezia e oggi conservato a Ferrara, presso le Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea, il tormento delle anime nel cerchio dei lussuriosi, tra cui si vedono abbracciate quelle di Paolo e Francesca. Un intreccio di forme che ascende a vortice rese con pennellate ondulate e a tratti sfumati. Una scena che denota pienamente la vena simbolista e decadentista propria dell’artista.
I corpi nudi e abbracciati dei due amanti avvolti in un drappo sono protagonisti dell’opera dell’artista olandese naturalizzato francese Ary Scheffer (Dordrecht,1795 – Argenteuil, 1858): la loro è una posa quasi teatrale, in particolare quella di Paolo che, con la bocca semiaperta e gli occhi chiusi, solleva il braccio portandosi la mano alla fronte in un gesto di disperazione. I due, illuminati da una forte luce, si contrappongono alle figure di Dante e Virgilio nell’oscurità: questi ultimi osservano incuriositi le anime dei due amanti condannati.
“Mentre che l’uno spirto questo disse, / l’altro piangëa; sì che di pietade / io venni men così com’io morisse. / E caddi come corpo morto cade”. Proprio come avviene nella scena del dipinto di Nicola Monti (Pistoia 1780 – Cortona 1864), prima opera documentata dell’artista compiuta nel 1810 per il negoziante livornese Luigi Fauquet, suo principale mecenate. Entrata nelle collezioni degli Uffizi lo scorso anno in occasione del Dantedì, l’opera rimanda alla fine del V canto dell’Inferno dantesco, quando il tragico racconto di Paolo e Francesca riempie così tanto di compassione il cuore del Sommo Poeta da fargli perdere i sensi e farlo cadere a terra come morto, accanto a Virgilio.
Gustave Doré, Paolo e Francesca all’Inferno (1861; inchiostro e guazzo bianco su carta, 38,7 × 29,2 cm; Strasburgo, Musée d’Art Moderne et Contemporain) |
Gaetano Previati, Paolo e Francesca (1909; olio su tela, 230 x 260 cm; Ferrara, Gallerie d’Arte Moderna e Contemporanea) |
Ary Scheffer, Francesca da Rimini (1835; olio su tela, 166,5 x 234 cm; Londra, Wallace Collection) |
Nicola Monti, Francesca da Rimini nell’Inferno dantesco (1810; olio su tela, 168 x 21 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi) |
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.