“La lezione della performance è di estrema importanza: l’identità non è una camicia di forza. Disponiamo infatti di un kit di sopravvivenza composto da un repertorio di identità multiple” (Guillermo Gómez-Peña, In difesa della performance, 2001 in Chiara Mu, Paolo Martone (a cura di), Performance art. Traiettorie ed esperienze internazionali, Castelvecchi, Roma, 2018, pp.184-185). Queste parole, tratte da uno scritto dell’artista performer messicano Guillermo Gómez-Peña (Città del Messico, 1955), ben si prestano ad interrogare quale sia il valore di certe manifestazioni ascrivibili all’ambito della performance art, che avviene, sempre seguendo Gómez-Peña, nel corpo, luogo di creazione, materia prima e “contenitore di identità mutanti” (Ivi, p. 182).
Massima esponente di queste ultime è senza dubbio Mireille Suzanne Francette Porte, vero nome dell’artista francese nota a livello internazionale con lo pseudonimo di ORLAN (Saint-Étienne, 1947), scritto rigorosamente in lettere maiuscole come primo gesto di uscita dagli schemi e di creazione di nuove identità. Attiva fin dagli anni Sessanta, ORLAN conduce la sua ricerca direttamente sul suo corpo. Non a caso una delle prime serie da lei realizzate, attraverso il medium fotografico, ha come titolo Corps-sculptures (1964-67). Si tratta di scatti in bianco e nero in cui l’artista, indossando unicamente una maschera a coprire il volto, si immortala in pose poco naturali e talvolta in presenza di manichini (braccia, gambe, busti) che sembrano preludere anche ai lavori futuri, con l’impiego di protesi e, come si vedrà, oggi in una direzione sempre più robotica. Parti del corpo o sue riproduzioni compaiono anche in altri lavori e in alcuni casi lo spettatore è chiamato ad interagirvi: ad esempio nell’installazione Têtes à claques, jeu de massacre (1977), tiro al bersaglio interamente composto, dalla cornice fino alle sagome da colpire, dalle immagini del corpo di ORLAN; o ancora nelle performance intitolata Se vendre sur les marchés en petits morceaux (1976-77) e in Le Baiser de l’Artiste (1977). Nella prima azione, svolta a Caldas da Rainha in Portogallo, l’artista allestisce un banco al mercato e vende, secondo un tariffario e così come indicato da appositi e inequivocabili cartelli, il suo corpo, riprodotto ed esposto, garantito e senza coloranti o conservanti. La domanda che accompagna l’operazione è “Il mio corpo mi appartiene realmente?” (“Est-ce que mon corps m’appartient reellement?”).
La più nota performance Le Baiser de l’Artiste, invece, viene presentata a Parigi, in occasione della quarta edizione della Fiera internazionale di arte contemporanea (FIAC). Qui l’artista, nascosta dietro una sorta di armatura raffigurante il suo stesso corpo, bacia chiunque inserisca all’interno dell’apposita fessura cinque franchi. L’opera si compone anche in forma di scultura dove sono affiancate da un lato l’armatura poi indossata da ORLAN, dall’altro l’immagine dell’artista nei panni della Vergine. Alla sfera religiosa, in chiave femminista e per contrastare una visione binaria tra Maria, la santa, e Maria Maddalena, la prostituta, si richiama anche Strip-tease occasionnel à l’aide des draps du trousseau (1974-75) in cui ORLAN, passa dal mostrarsi come Madonna barocca, riccamente adornata da drappi, al presentarsi nuda, fino a scomparire.
ORLAN è principalmente ricordata per alcune performance particolarmente scioccanti, risalenti agli anni Novanta. Riunite tutte sotto il titolo The Reincarnation of Saint ORLAN o Image/New Image (1990-93), le azioni vedono l’artista sottoporsi volontariamente a sedute di chirurgia estetica, per le quali imbastisce veri e propri set fotografici al fine di documentare e talvolta trasmettere in diretta l’evento via satellite. Interrogata rispetto a questa pratica, l’artista rivela il suo desiderio di scolpirsi, di costruire un’immagine nuova che rompa il dogma del corpo come qualcosa di innato o di immutabile e che cancelli ogni stereotipo sulla bellezza. Le protesi solitamente installate sugli zigomi e posizionate invece all’altezza delle tempie dell’artista ne sono la prova. Questa volontà di superare il proprio stesso corpo compare in ORLAN in maniera precoce. Sul sito dell’artista possono infatti essere rintracciati interventi chirurgici che risalgono già alla fine degli anni Settanta: si veda a questo proposito la documentazione fotografica di Ouverture de corps sous anesthésie (1979). Sono questi alcuni dei momenti che più hanno segnato la carriera di ORLAN, definitivamente consacrata e consegnata alla storia dell’arte. Occorre, a questo punto, esplorare la temperie culturale dei decenni che ORLAN attraversa per comprendere la sua traiettoria. Da un lato, negli anni Sessanta, la corrente in cui meglio sembra iscriversi il suo lavoro è quella della Body art, che mette al centro dell’opera proprio il corpo dell’artista; dall’altro, nelle performance degli anni Novanta, ORLAN, che pure non partecipa alla celebre mostra Post Human (1992-93), curata da Jeffrey Deitch, sembra voler presentare un nuovo tipo di umanità, una nuova percezione del sé e anche dell’arte.
Proprio per questo, l’artista, da sempre immersa nel suo tempo ma autonoma rispetto ad altri movimenti e tendenze, redige nel 1989 un manifesto della sua arte: Art charnel (arte carnale). In questa sede ORLAN definisce in maniera programmatica i confini della sua arte, non dimenticando di mettere in luce le differenze con movimenti artistici coevi e in parte affini. L’arte carnale, scrive l’artista nelle primissime righe, è “un autoritratto in senso classico ma realizzato per mezzo della tecnologia odierna. Oscilla tra defigurazione e rifigurazione. La sua iscrizione nella carne è dovuta alle nuove possibilità inerenti alla nostra epoca. Il corpo è diventato un “ready-made modificato”, non più visto come l’ideale che un tempo rappresentava, non abbastanza pronto per essere rispettato e firmato” (ORLAN, L’art charnel, 1989, disponibile su http://www.orlan.eu/bibliography/carnal-art/). ORLAN è limpida nei suoi intenti e anche nell’individuare un genere classico, quello del ritratto o meglio dell’autoritratto, in cui inscrivere ogni suo intervento.
Ma se in passato la “defigurazione” o la “rifigurazione” in pittura aveva agito sul ritrattato sovrapponendogli significati simbolici, allegorici e mitologici, ora ORLAN fa ricorso alla tecnologia per modellare la sua identità. L’artista nelle sue performance estreme si affida in maniera completa alle scienze, opponendosi al concetto di dolore impiegato nel martirio della tradizione cristiana o nella stessa Body Art come fonte di purificazione e facendo ricorso ad anestesie locali. Tra gli altri temi esplicitati nel manifesto, ORLAN precisa che l’arte carnale ama le categorie del grottesco e del barocco; è femminista e anticonformista, contro ogni canone di bellezza e regola imposta. In questa direzione vanno le diverse serie di Défiguration-Refiguration, Self-hybridations précolombiennes (1998), Self-hybridations Africaines (2000-2003) e Self-hybridations Amérindiennes (2005-2008) in cui l’artista esplora anche il concetto di identità nelle culture non occidentali, sovrapponendo alla propria immagine quelle di icone precolombiane o africane e portando avanti una riflessione attorno alle pressioni sociali e culturali che insistono sul corpo.
L’arte carnale si interessa anche degli sviluppi della medicina e della biologia che mettono in discussione lo stato del corpo, ponendo inediti problemi etici legati alla realtà aumentata, alle intelligenze artificiali e alla robotica. È così che, storicizzate le azioni degli anni Novanta, troviamo ORLAN tra gli artisti coinvolti nel 2018 nella mostra Artistes&Robot del Grand Palais di Parigi. Qui viene presentato ORLAN-OÏDE (2018), robot umanoide che riprende, almeno nel volto, le fattezze di ORLAN. Perché la scultura robotica costituisca a tutti gli effetti un suo alter ego, l’artista ha registrato oltre 22 mila parole, donando la sua voce, oltre che il suo viso, all’intelligenza artificiale che è a tutti gli effetti in grado di interagire con lo spettatore e intrattiene, tramite due schermi installati in prossimità, conversazioni con ORLAN. Giusto un anno prima di trasferire parte di sé al robot, l’artista lancia una singolare petizione: Pétition Contre la Mort (2017). L’appello è rivolto a tutti, dal momento che nessuno è mai stato interpellato rispetto alla volontà o meno di morire. Questa raccolta firme, tuttora attiva sul sito Orlan.eu, mostra uno degli ultimi approdi del pensiero dell’artista che, dopo aver costituito “una gemella robotica”, si avvicina a una visione transumanista, opponendosi, sicuramente anche in maniera ironica, all’idea di morte.
Dalla panoramica appena tracciata, è evidente come il lavoro di ORLAN, in una ricerca che è quasi sessantennale, continui a insistere sul grande tema dell’ibridazione e delle identità nomadi. Dagli anni Sessanta del XX secolo agli anni Venti del XXI, ORLAN non smette di sorprendere, modificando il suo aspetto, avvalendosi delle tecnologie più avanzate e affermando, in ogni caso, la libertà dell’artista e del suo corpo.
L'autrice di questo articolo: Stella Cattaneo
Specializzanda in Storia dell'arte e valorizzazione del patrimonio artistico presso la Scuola di Specializzazione dell'Università degli studi di Genova. Attualmente curatrice di Casa Museo Jorn (Albissola Marina, Savona), ha partecipato a convegni e giornate di studio all'Università di Losanna e all'Università di Genova (2019) e a seminari internazionali di museologia (école du Louvre, 2018). I suoi interessi di ricerca si rivolgono prevalentemente all'arte contemporanea con particolare attenzione al periodo del secondo dopoguerra e all'opera di Yves Klein.