Il 10 novembre del 1816, a Vienna, furono celebrate le nozze solenni tra l’imperatore d’Austria, Francesco I (Firenze, 1768 - Vienna, 1835), allora quarantottenne, e la principessa Carolina Carlotta Augusta di Baviera (Mannheim, 1792 - Vienna, 1873), di ventiquattro anni più giovane: alla cerimonia partecipò anche una delegazione proveniente da Venezia, che dopo la caduta di Napoleone era divenuta parte del Regno Lombardo-Veneto, direttamente dipendente dall’impero austriaco. La missione della delegazione veneziana, composta da quattro illustri cittadini, aveva anche uno scopo politico: l’imperatore aveva infatti stabilito che ogni provincia dell’impero avrebbe dovuto elargire un sostanzioso tributo in denaro a titolo di regalo per gli sposi. Anche la sezione veneta del Regno dovette contribuire, con una somma decisamente consistente per le casse dell’ex Repubblica di Venezia. All’epoca il Veneto stava infatti attraversando una seria crisi economica: la stagnazione che, in Europa, seguì il decennio delle guerre napoleoniche, causò la diminuzione della produzione agricola e industriale col conseguente crollo dei prezzi agricoli, e comportando riduzione dei salari, impoverimento di molte persone, fallimento di aziende e banche. Venezia aveva dunque un grosso problema da risolvere: un’ulteriore tassa avrebbe minato i primi timidi tentativi di ripresa.
La soluzione al dilemma fu escogitata dal conte Leopoldo Cicognara (Ferrara, 1767 - Venezia, 1834), all’epoca presidente dell’Accademia di Belle Arti di Venezia, raffinato intellettuale e soprattutto personaggio che godeva di grande prestigio internazionale e di alta considerazione presso la corte austriaca. L’idea era semplice quanto geniale: fare in modo che l’emolumento potesse essere convertito, almeno in parte, in opere d’arte da regalare agli sposi, per i loro appartamenti viennesi. Cicognara avrebbe ottenuto così un duplice effetto positivo: da una parte, liberare Venezia dall’esoso esborso. Dall’altra, far circolare i nomi dei migliori artisti veneti del tempo a Vienna, così che i ricchi committenti locali avessero potuto notarli: una sorta di investimento pubblicitario. Così, il presidente, nel gennaio del 1817, prese carta e penna e scrisse subito all’amico Antonio Canova (Possano, 1757 - Roma, 1822), all’epoca l’artista più famoso, celebrato e richiesto del mondo, per coinvolgerlo nel progetto: “Debbo farvi una grandissima confidenza: sappiate che tutte le Provincie sono tenute a fare all’Imperatore un regallo per l’occasione del matrimonio — e che la sezione del Regno Lombardo già darà per questo oggetto 30 mila zecchini. La sezione veneta darà quello che potrà. Io non vorrei poi che desse tutto denaro, e vorrei erogare 10 mila zecchini in tanti lavori di pennello e scarpello tutto veneziano. Non dimenticherò Hayez certamente e Rinaldi, e tutti gli altri che qui sono capaci di lavoro. Ma tutto questo non val nulla se per prima parte di questo progetto non v’è un’opera vostra”. Cicognara, grazie anche ai suoi rapporti col cancelliere imperiale Klemens von Metternich (Coblenza, 1773 - Vienna, 1859), riuscì senza troppe difficoltà a convincere l’Austria della bontà dei suoi propositi, anche perché l’erario austriaco era già stato abbondantemente rimpinguato con i tributi versati dai lombardi e dagli austriaci stessi. La riuscita del progetto dipendeva però dalla presenza di Canova: probabilmente l’Austria non avrebbe accettato, se non fosse stata sicura che, tra le opere che i sovrani avrebbero ricevuto, ci sarebbe stata anche una scultura realizzata dalla mano del più illustre genio del tempo.
Ma anche per raggiungere questo obiettivo Cicognara aveva le idee ben chiare. Così prosegue la lettera del gennaio 1817: “qui ci vorrebbe la sicurezza d’una vostra statua, e sarebbe la Polinnia che potrebbesi battezzare anche per la Musa della Storia. Qualunque siino gli impegni, si potrebbe accomodare ogni altro in seguito, ma supposto il mio progetto voi sareste richiesto di finire il più prontamente che vi sia permesso una statua per la Provincia vostra che ne farebbe a voi formale domanda per offerirla all’Imperatore. A un tale non prevedibile caso non v’è risposta. Io tengo nel filo delle mie idee tre mille zecchini destinati per quest’opera a cui poco manca di vostro lavoro. Cosi cominciando dall’inviare senza gran ritardo una vostra opera può in seguito venire il restante come accessorio, e dar tempo. A me occorre una prontissima risposta, poiché a Vienna ieri fu scritto dal governatore cui piacque moltissimo la mia idea, e se sarà accolta, come son quasi sicuro, bisogna ch’io sia in misura con tutte le mie idee di dar effetto a ogni cosa il più prontamente possibile. Vedete che io non dormo più finché questa cosa non è esaurita”. La scultura di Canova cui Cicognara aveva pensato era la Musa Polimnia, la musa della danza e del canto sacro, che era stata commissionata nel 1809 all’artista di Possagno da Elisa Baciocchi, granduchessa di Toscana e sorella di Napoleone (la musa canoviana aveva, per ferma volontà della granduchessa, le sue fattezze): dopo la caduta di Napoleone, Elisa Baciocchi, non più in grado di pagare l’opera, l’aveva ceduta al nobile bolognese Cesare Bianchetti, che poi vi rinunciò (convinto anch’egli da Cicognara) per girarla all’Accademia di Venezia. Una volta tornatone in possesso, Canova si premurò di modificare leggermente il volto della musa, in modo che paresse più idealizzato.
Francesco Hayez, Ritratto della famiglia Cicognara (1816-1817; olio su tela; Venezia, Collezione privata) |
Antonio Canova, Musa Polimnia (1812-1817; marmo; Vienna, Hofburg, Kaiserappartements) |
Convinto Canova, occorreva stabilire chi dovesse prender parte al progetto. Cicognara, nella lettera sopra menzionata, dimostrò di avere già in mente almeno un paio di nomi: Francesco Hayez (Venezia, 1791 - Milano, 1882) e Rinaldo Rinaldi (Padova, 1793 - Roma, 1873), rispettivamente di ventisei e ventiquattro anni, e individuati dunque come i due più promettenti artisti veneziani, il primo in pittura e il secondo in scultura. I due giovani sarebbero stati affiancati da un gruppo d’artisti in cui figuravano autori più esperti, quasi tutti tra i trenta e i quarant’anni, e che erano pertanto in cerca d’affermazione. Per la pittura, oltre ad Hayez, avrebbero partecipato Lattanzio Querena (Clusone, 1768 – Venezia, 1853), Liberale Cozza (Venezia, 1768 - 1821), Giuseppe Borsato (Toppo, 1770 – Venezia, 1849), Giovanni De Min (Belluno, 1786 - Tarzo, 1859) e Roberto Roberti (Bassano del Grappa, 1786 - 1837). Per la scultura, Canova e Rinaldi sarebbero stati affiancati da Angelo Pizzi (Milano, 1775 - Venezia, 1819), Luigi Zandomeneghi (Colognola ai Colli, 1778 – Venezia, 1850), Antonio Bosa (Pove del Grappa, 1780 - Venezia, 1845) e Bartolomeo Ferrari (Marostica, 1780 - Venezia, 1844), mentre in un secondo momento si sarebbe aggiunto Giuseppe De Fabris (Nove, 1790 - Roma, 1860). Ai dipinti e alle sculture degli artisti si sarebbero poi sommate opere di oreficeria e artigianato di lusso.
Le vicende di quello che sarebbe passato alla storia come l’Omaggio delle Provincie Venete sono state puntualmente ricostruite in un recente saggio dello storico dell’arte Roberto De Feo, pubblicato nel catalogo della mostra Canova, Hayez e Cicognara. L’ultima gloria di Venezia (alle Gallerie dell’Accademia di Venezia dal 29 settembre 2017 all’8 luglio 2018), che per la prima volta, a distanza di duecento anni esatti, ha riportato in laguna le opere che Cicognara aveva radunato per l’invio in Austria. Il presidente dell’Accademia di Belle Arti fu l’abile regista di tutta l’operazione: le opere inviate a Francesco I e Carolina Carlotta Augusta dovevano sollecitare, come ha scritto lo studioso Fernando Mazzocca, “la riflessione sulle prospettive di un buon governo, nella continuità con l’età delle riforme legate al dispotismo illuminato”. Così, per la parte dei dipinti, tra i primi a mettersi al lavoro ci fu Hayez, che si occupò della Purificazione del tempo fatta da Ezechia: il protagonista è Ezechia, re del regno di Giuda le cui misericordiose gesta sono ricordate nella Bibbia, e che nel dipinto viene colto nell’atto di compiere sacrifici in onore di Dio rinsaldando così l’alleanza tra Dio e il popolo d’Israele. Si tratta di un’opera che rivela ancora una chiara impostazione neoclassica, e lo stesso vale per il quadro di Lattanzio Querena, che fu incaricato di dipingere Mosè che chiede al faraone la libertà per Israele, con il profeta biblico che, con gesto imperioso e alla testa del suo popolo, fa valere le proprie istanze al cospetto dell’oppressore. A Liberale Cozza toccò il compito di dipingere Il ritorno di Assuero nella sala del convitto, che De Feo definisce “il dipinto più misterioso dell’Omaggio”, perché non lo si è mai rintracciato, e perché non è mai stato oggetto di approfonditi studi. Il tema si riferisce a un episodio biblico in cui il re persiano Assuero, entrando nella sala di un banchetto, trova sua moglie Ester, ebrea, assieme al malvagio ministro Aman: la regina aveva infatti scoperto un piano di Aman per distruggere lei e il suo popolo, e Assuero ordinò di mettere a morte il ministro. Il senso dell’opera voleva dunque dimostrare ai sovrani austriaci la necessità di avere buoni consiglieri e di punire quelli cattivi. L’ultimo dei quattro dipinti a soggetto biblico era stato assegnato a Giovanni De Min: il tema prescelto era La regina di Saba di fronte a re Salomone, simbolo di conciliazione.
Il lotto di quadri era completato da quattro vedute di Venezia, genere particolarmente amato fuori dal Veneto, sulle quali Cicognara aveva voluto innestare anche temi d’attualità politica, facendo sì che Giuseppe Borsato e Roberto Roberti s’impegnassero nella realizzazione delle “quattro prospettive di Venezia con feste accadute durante il soggiorno dell’imperatore”: Borsato produsse dunque una Veduta di San Marco nel giorno che le Provincie Venete prestarono a Sua Maestà Imperiale il giuramento di fedeltà e un dipinto raffigurante lo Sbarco dei cavalli di bronzo alla piazzetta di San Marco, altro omaggio all’Austria che veniva celebrata come colei che aveva riportato a Venezia i cavalli di San Marco trafugati da Napoleone durante l’occupazione della città (evento che, per Venezia, aveva rappresentato un enorme smacco). Borsato, peraltro, disegnò anche il tavolo che fu realizzato dall’artigiano Benedetto Barbaria, di Murano. Roberti dipinse invece Il passaggio della corte imperiale sotto il ponte di Rialto, che celebrava l’ingresso di Francesco I a Venezia avvenuto il 31 ottobre 1815, e una Veduta della riva degli Schiavoni fino ai Giardini Reali, dipinto apparentemente privo di riferimenti storici, ma in grado di rappresentare “una delle ricordanze più chiare all’occhio e alla mente sovrana”, come recitava la descrizione del dipinto nel volume che accompagnò l’Omaggio delle Provincie Venete.
Francesco Hayez, Purificazione del tempo fatta da Ezechia (1817; Persenbeug-Gottsdorf, Castello di Persenbeug) |
Lattanzio Querena, Mosè chiede al faraone la libertà per Israele (1817; Persenbeug-Gottsdorf, Castello di Persenbeug) |
Giovanni De Min, La regina di Saba di fronte a re Salomone (1817; ubicazione ignota) |
Giuseppe Borsato, Veduta di San Marco nel giorno che le Provincie Venete prestarono a Sua Maestà Imperiale il giuramento di fedeltà (1817; Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, Gabinetto Stampe e Disegni del Museo Correr) |
Roberto Roberti, Veduta della riva degli Schiavoni fino ai Giardini Reali (1817; Collezione Castello di Artstetten, Bassa Austria) |
Di diverso segno erano invece i gruppi scultorei, coi quali Cicognara aveva voluto sottendere “un altro messaggio simbolico”, spiega De Feo, “sottolineando la temperanza dei sovrani nel rimando alla generosa e prudente educazione dei giovani, in grado di radicare i sentimenti più alti come l’amor di patria”. In tal senso appaiono dunque molto chiari i temi mitologici delle sculture, tutte raffiguranti giovani che vengono istruiti: Rinaldi scolpì Il centauro Chirone che insegna ad Achille a suonare la cetra, ad Angelo Pizzi fu assegnato Il giuramento di Annibale (dove Annibale bambino viene esortato dal padre Amilcare a giurare odio eterno ai romani, acerrimi nemici dei cartaginesi), opera poi completata da Bartolomeo Ferrari a causa della sopravvenuta scomparsa di Pizzi, mentre Ferrari s’impegnò in un argomento identico a quello toccato a Rinaldi, realizzando Chirone che ammaestra Achille nella musica (che sostituì, come si vedrà tra poco, l’opera di Rinaldi, che non partì per Vienna). Zandomeneghi e De Fabris si occuparono invece di due grandi vasi classicheggianti, che riproducessero la forma del Vaso Borghese (un grande cratere in marmo pentelico del primo secolo avanti Cristo, oggi al Louvre) e che fossero decorati con temi nuziali: le Nozze Aldobrandine per Zandomeneghi, le Nozze di Alessandro e Rossane per De Fabris. I temi dei due vasi erano stati scelti da Canova: Zandomeneghi doveva ispirarsi al dipinto su muro d’epoca romana che fu scoperto nel 1601 e che era conservato presso la villa Aldobrandini al Quirinale, mentre De Fabris si sarebbe cimentato sul tema dell’affresco di Girolamo Siciolante da Sermoneta a Villa Borghese (all’epoca si pensava fosse opera di Raffaello), e che a sua volta si ricollegava al dipinto d’omologo soggetto che il pittore greco Aezione aveva realizzato nel quarto secolo avanti Cristo, di cui abbiamo informazioni perché ne parla Luciano di Samosata nei suoi Dialoghi. A queste sculture s’aggiunsero poi un’Ara con baccanti scolpita da Bosa e un’Ara con fauni, opera di Ferrari.
Se per i dipinti era filato tutto liscio (solo De Min ebbe qualche rallentamento di troppo dovuto al fatto che si trovava più a suo agio con la pittura ad affresco che con quella a olio), lo stesso non si poté dire per le sculture, che conobbero diversi intoppi. Il primo problema fu il lutto che colpì il gruppo: Angelo Pizzi infatti non fece in tempo a terminare la sua opera prima della scomparsa, e la ricerca del sostituto che, come detto, fu poi individuato in Bartolomeo Ferrari, non poté non comportare un avanzamento lento del lavoro. Bisogna poi aggiungere che Ferrari si trovò di fronte a un’opera scolpita in un marmo di bassa qualità, particolare che rese alquanto difficoltosa la prosecuzione del gruppo scultoreo lasciato incompiuto da Pizzi. Ci furono problemi anche per Rinaldi, proprio lo scultore più giovane, quello cui Cicognara aveva pensato fin da subito: fu colpito da una non meglio precisata malattia che lo indebolì parecchio, tanto che, malgrado l’aiuto presente e costante di Canova (Rinaldi era uno dei suoi migliori allievi), anche la sua opera procedette a rilento e, una volta finita, non era della qualità che il presidente sperava. Rinaldi si rimise dunque all’opera, ma riuscì a consegnare la seconda versione del suo Chirone solo nel 1821. Tuttavia, anche quest’opera non partì alla volta di Vienna, e una nuova scultura sullo stesso soggetto fu assegnata a Ferrari, che però riuscì a completarla soltanto nel 1826. Ci furono problemi anche con i vasi, ma i loro autori riuscirono comunque a consegnarli entro il termine della primavera del 1818: per quella data, tutte le opere dovevano essere pronte a partire per Vienna. E alla fine l’impresa fu quasi del tutto riuscita, perché all’appello erano mancate solo le sculture di Pizzi e Rinaldi.
Cicognara volle poi che l’Omaggio delle Provincie Venete fosse celebrato nella maniera più acconcia: venne coniata una medaglia commemorativa con i ritratti degli sposi, disegnata da Angelo Pizzi (si tratta di uno dei più alti esempi di medaglistica veneziana del Settecento), e le opere furono riprodotte per mezzo d’incisioni, dotate di descrizioni redatte da letterati, e raccolte in un volume che fu stampato in un paio di esemplari speciali decorati con medaglioni, e in un’ulteriore preziosa copia, decorata con riproduzioni di rilievi di Canova, che fu regalata a Carolina Carlotta Augusta.
Bartolomeo Ferrari, Chirone ammaestra Achille nella musica (dopo il 1826; marmo; Artstetten, Collezione del Castello). Opera fotografata alla mostra Canova, Hayez, Cicognara (credit Finestre sull’Arte) |
Angelo Pizzi e Bartolomeo Ferrari, Giuramento di Annibale (1818-1821; marmo; Artstetten, Collezione del Castello). Opera fotografata alla mostra Canova, Hayez, Cicognara (credit Finestre sull’Arte) |
Rinaldo Rinaldi, Chirone ammaestra Achille nella musica (1821; marmo; Venezia, Gallerie dell’Accademia, in deposito al Polo Museale del Veneto – Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro). Ph. Credit Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’oro |
Giuseppe De Fabris, Vaso con le nozze di Alessandro e Rossane (1817; marmo; Vienna, Hofmobiliendepot, Möbel Museum). Opera fotografata alla mostra Canova, Hayez, Cicognara (credit Finestre sull’Arte) |
Luigi Zandomeneghi, Vaso con le nozze Aldobrandini (1817; marmo; Vienna, Hofmobiliendepot, Möbel Museum). Opera fotografata alla mostra Canova, Hayez, Cicognara (credit Finestre sull’Arte) |
Bartolomeo Ferrari, Ara con fauni (1818; marmo; Vaduz - Vienna, Liechtenstein. The Princely Collections) |
Omaggio delle Provincie Venete alla Maestà di Carolina Augusta Imperatrice d’Austria fatto dalle Provincie Venete. Seconda edizione (1818; Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, Biblioteca del Museo Correr) |
Angelo Pizzi, Luigi Ferrari, Medaglia per le nozze di Francesco I e Carolina (1816; bronzo argentato; Venezia, Fondazione Musei Civici di Venezia, Museo Correr) |
La sala della mostra Canova, Hayez, Cicognara dedicata all’omaggio delle province venete |
Prima di partire, le opere dovettero anche subire l’esame della rigidissima polizia austriaca, che doveva controllare che non ci fossero elementi passibili di censura. Furono dunque passati al vaglio i dipinti, le sculture ma anche i sonetti coi quali i letterati avevano voluto celebrare l’impresa, e ci furono anche alcune liriche che non passarono le maglie della censura. Tra queste, un sonetto di Melchiorre Missirini (Forlì, 1773 - Firenze, 1849), reo d’aver celebrato l’antica Repubblica Veneta nelle sue poesie. E anche molte descrizioni delle opere dovettero subire delle modifiche: in particolare, le illustrazioni di tre dei quattro dipinti a soggetto biblico furono respinte, dal momento che la censura non vedeva di buon occhio il fatto che si volessero suggerire regole di condotta morale ai sovrani, e a Cicognara fu dunque imposto di illustrare le opere con testi che avessero a che fare esclusivamente con l’arte. E anche per il dipinto con la Veduta della riva degli Schiavoni fino ai Giardini Reali, la censura ebbe qualcosa su cui ridire: “ella forse converrà meco”, scrisse a Cicognara il governatore austriaco di Venezia, Peter Goëss, “nell’opportunità d’inserirvi qualche breve cenno della presenza dell’imperatore”. In pratica, gli austriaci avevano chiaramente imposto a Cicognara e colleghi di descrivere solamente i soggetti delle opere. Così, per commentare la vicenda, il grande scrittore Pietro Giordani (Piacenza, 1774 - Parma, 1848) inviò il 20 dicembre 1817, al collega Gaetano Dodici, una lettera in cui, con sconfinata e amara ironia, suggeriva: “rallegriamoci dunque che gran riposo è dato e comandato agl’intelletti dell’età nostra. Napoleone, che era più valente, facea pagare il dazio ai pnesieri, bollando ogni foglio de’ libri. Questi più mansueti ci esimono dal pensare e dal pagare”.
Tutte le opere che erano pronte nella primavera del 1818 furono esposte, dal 24 maggio al 5 luglio, presso la sala del Capitolo dell’ex Scuola della Misericordia. La mostra riscosse un gran successo fin dai primi giorni, e Cicognara ne fu entusiasta, tanto da scrivere a Canova, in data 28 maggio, che “l’esposizione delle opere fa strepito grande, e tutto supera ogni aspettazione. Li quadri storici sono belli, Hayez si è fatto amirare sopra tutti e a qualche distanza viene anche De Min con una ragionevole e ben dipinta composizione. Lattanzio si è sostenuto con alcuni buoni tabarri e ben coloriti assai, e Cozza con una savia composizione. Ma il trionfo di Hayez è a pieni voti, e giustamente meritato. I quadri prospettici sono bellissimi, e di uno stile tra loro assai vario. Sono quattro opere da Regio Gabinetto. Li due vasi sono oggetto di meraviglia e di piacere, e il povero Zandomeneghi non cede in nulla all’opra eccelsa di Fabbris, che se non lo vince in bellezza, forse lo supera in accuratezza. Le are sono un prodigio di bella esecuzione, e partendo da un tipo bellissimo siamo andati al sicuro, e tutti gli oggetti si corrispondono e gareggiano nobilissimamente tra loro”. Gli artisti coinvolti nell’impresa furono poi tutti premiati con una medaglia d’argento. Dopo la mostra, il 13 luglio, le opere, diciannove in tutto, partirono per Vienna, accompagnate personalmente dal presidente dell’Accademia: dapprima esposte nel Palazzo Imperiale, furono poi sistemate negli appartamenti dei sovrani. L’accoglienza, tuttavia, fu deludente per Cicognara: l’unica a mostrare un riconoscimento fu Carlotta Carolina Augusta, che donò una medaglia d’oro per ogni artista, e per il presidente una scatola di brillanti. E al ritorno, Cicognara inviò parole profondamente amareggiate a Canova: “di Vienna ne ero sazio e nauseato; miseria di idee, povertà di gusto, nessun coraggio per un’impresa nobile e generosa, ignoranza molta, presunzione infinita: non vi è di buono che l’imperatrice”.
Delle opere inviate in Austria, ce ne sono soltanto tre rimaste al Palazzo Imperiale di Vienna, ovvero la Musa Polimnia di Canova e i due vasi. Quasi tutte le altre opere si trovano sempre in Austria, ma in località diverse, perché nel corso degli anni hanno conosciuto diversi passaggi di proprietà. Fuori dall’Austria si trovano soltanto il gruppo di Rinaldi (quello che non partì mai per Vienna: oggi si ammira alla Galleria Giorgio Franchetti alla Ca’ d’Oro, in deposito dalle Gallerie dell’Accademia di Venezia che ne detengono la proprietà) e il dipinto di De Min, che forse oggi è negli Stati Uniti. Sono invece solo due le opere che non sono state rintracciate: si tratta del Ritorno di Assuero di Liberale Cozza e del Giuramento di Giuseppe Borsato. Quasi tutte hanno però potuto far ritorno temporaneo a Venezia, come si ricordava sopra, per la grande mostra che celebrava il bicentenario delle Gallerie dell’Accademia. Un’occasione preziosa, nata dall’appassionato lavoro di Roberto De Feo, durato molti anni e ancora da terminare (del resto, ci sono ancora due opere da ritrovare... !) per ricordare e far conoscere una delle pagine più intense della storia dell’arte italiana.
Bibliografia di riferimento
Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo