Tra i capolavori preraffaelliti, l’Ofelia di John Everett Millais (Southampton, 1829 – Londra, 1896) della Tate Britain è a parere di chi scrive quello maggiormente inquietante, poiché raffigura una giovane e bella fanciulla, elegantemente abbigliata, annegata nelle acque di un ruscello, e per rendere con maggior verosimiglianza la scena il pittore fece immergere la modella nella stessa posa in una vasca da bagno. Cosa avrà condotto questa giovane ragazza a togliersi la vita? E chi raffigura? Il titolo stesso dell’opera lo rivela: è Ofelia, una delle protagoniste della tragedia di Amleto scritta da William Shakespeare tra il 1600 e 1602. Figlia del ciambellano alla corte di Elsinore, Polonio, e sorella di Laerte, Ofelia è l’amante di Amleto, ma quest’ultimo arriva a rinnegare i suoi sentimenti per lei in seguito a vari avvenimenti che si susseguono uno dopo l’altro: la dura scoperta dell’uccisione del sovrano di Danimarca, suo padre, per mano dello zio Claudio e fratello del defunto, il repentino matrimonio tra la regina Gertrude e l’assassino, e inoltre lo stesso “tradimento” da parte di Ofelia, spinta da Polonio, compiuto nei confronti di Amleto al fine di provare la pazzia del principe, pazzia da Polonio creduta d’amore per sua figlia. Amleto quindi per fare in modo che la fanciulla non si trovi coinvolta in questi inganni, le dice in faccia di non averla mai amata. Accade poi che il principe uccida per sbaglio Polonio, che si era nascosto per ascoltare una conversazione tra Amleto e sua madre Gertrude. Distrutta e fuori di senno per la perdita del padre e l’abbandono di Amleto, Ofelia fa la sua comparsa per l’ultima volta distribuendo sotto lo sguardo della corte e del fratello Laerte erbe e fiori e intonando un canto di dolore in memoria del defunto padre.
Si apprende dell’annegamento di Ofelia, avvenuto per disgrazia e non volutamente (è lecito tuttavia che ai lettori sorga il dubbio), dal racconto che Gertrude fa a Laerte per comunicargli la morte della sorella (di seguito nella storica traduzione di Carlo Rusconi): “Sulle sponde del vicino fiumicello sorge un salice che specchia le sue pallide foglie nel cristallo dell’onda. Ella era andata là, recando con sé fantastiche ghirlande di ranuncoli, di ortiche, di margherite e di quei lunghi fiori che le nostre donzelle chiamano diti di estinti. Nel momento in cui cercava di appendere la sua selvaggia corona alle fronde piegate, l’invidioso ramo a cui appoggiava il piede, si ruppe, e tutti i suoi trofei di verzura caddero con lei nell’onda. Le sue vesti aprendosele intorno la sostennero per qualche tempo sulle acque come una sirena; e allora ella cominciò a cantare squarci di antiche canzoni, come se non avesse conosciuto il pericolo che correva, o come se fosse nata in quell’elemento, ma la cosa non poteva gran pezza durare; in breve le sue vesti inzuppate dall’onda bevuta interruppero il canto melodioso, e trascinarono l’infelice in fondo alle acque, dove è spirata”. Così Shakespeare descrive la morte della fanciulla.
John Everett Millais, tra i fondatori del movimento preraffaellita (così denominato perché si ispirava all’arte italiana prima di Raffaello), ha rappresentato nel celebre dipinto della Tate il momento in cui Ofelia è già “caduta” nell’acqua e giace senza vita galleggiando distesa nel letto del fiume. L’incarnato pallido, gli occhi e la bocca aperti, i lunghi capelli sciolti che galleggiano intorno al delicato viso, il vestito impregnato d’acqua, le braccia aperte: tutto fa pensare a una tragedia ormai compiuta. Tra le mani e sul lungo vestito decorato galleggiano inoltre fiori recisi, di vario tipo e di diverso colore. Il fiumiciattolo scorre tra una rigogliosa vegetazione: un vero scorcio di natura che cattura lo sguardo dell’osservatore, il quale inevitabilmente cerca di riconoscere le specie raffigurate. Come affermato, il movimento preraffaellita, nato in Inghilterra nella metà dell’Ottocento, aveva come modello l’arte precedente a Raffaello, poiché il pittore urbinate aveva secondo i Preraffaelliti stravolto i principi di semplicità (troppo virtuosismo e pomposità) e di verità (mancanza di adesione alla verità di natura). Il movimento quindi si poneva come obiettivo da una parte il ritorno al primitivismo e all’arte medievale, dall’altra la rappresentazione della realtà e della natura esattamente com’erano. E tra gli scrittori preferiti vi era proprio Shakespeare. In linea con questi principî, Millais trovò ispirazione dunque nel celebre drammaturgo di Stratford-upon-Avon, noto per le sue storie di amore tragico (tra i temi prediletti dei Preraffaelliti), e vi aggiunse poi la rappresentazione della natura dal vero, per dipingere le foglie, i fiori, l’erba così com’erano.
L’opera risale al 1851-1852: l’artista cominciò infatti a dipingere il paesaggio naturale nel luglio 1851, a Ewell, nei pressi del fiume Hogsmill, nel Surrey: si trasferì lì per ben cinque mesi, per poter osservare il più attentamente possibile la vegetazione di quella zona, bagnata dall’acqua fangosa. Si notano nel dipinto fiori singoli, piante in piena fioritura, foglie spezzate: elementi che testimoniano la grande attenzione per i dettagli di Millais. Le specie vegetali raffigurate hanno tuttavia anche un significato simbolico: le rose alludono probabilmente a come il fratello Laerte chiamava Ofelia, ovvero “rosa di maggio”; il salice, l’ortica e la margherita alludono all’amore abbandonato, al dolore e all’innocenza; le viole del pensiero all’amore vano. E ancora, le viole che Ofelia porta a mo’ di collana intorno al collo rimandano alla fedeltà o alla morte in giovane età; il papavero rimanda alla morte, la fritillaria al dolore; galleggiano sull’acqua anche i nontiscordardime.
Millais dipinse invece la figura di Ofelia nel suo studio di Gower Street a Londra. Fece da modella la poetessa e pittrice Elizabeth Siddal (Londra, 1829 – 1862), la quale iniziò a posare per la confraternita preraffaellita da quando il pittore Walter Deverell la conobbe in un negozio di cappelli dove lei lavorava. Divenne poi moglie di Dante Gabriel Rossetti, un altro dei fondatori del movimento, nel 1860. Per rendere in maniera più veritiera possibile la fanciulla annegata, fece posare per ore, per un periodo di quattro mesi, Elizabeth in una vasca piena d’acqua, riscaldata da lampade ad olio sottostanti. Una volta le lampade si spensero e il pittore era talmente concentrato sul suo lavoro che non se ne accorse e la fece ammalare per il freddo; bisognosa di cure, il padre della ragazza fece poi pagare le spese mediche allo stesso Millais, minacciandolo anche di azioni legali. La questione venne comunque risolta e la giovane si riprese senza conseguenze. Il pittore voleva osservare con attenzione l’effetto dei capelli nell’acqua e l’abito che bagnato le aderiva al corpo. Per questo dipinto, Millais acquistò da un rigattiere per quattro sterline uno splendido abito da sposa ricamato d’argento finissimo, per farlo indossare ad Elizabeth durante le ore di posa. Scrisse il pittore all’amico tipografo e mecenate britannico Thomas Combe nel marzo 1852: “Oggi ho acquistato un abito antico da signora davvero splendido - tutto fiorito di ricami d’argento - e lo dipingerò per ’Ophelia’. Mi è costato vecchio e sporco com’è quattro sterline”.
Per questo capolavoro preraffaellita, Millais eseguì alcuni schizzi preparatori della figura di Ofelia: sia studi per la testa sia per la figura intera, oggi conservati al Birmingham Museum, alla Pierpont Morgan Library di New York e a Plymouth.
Millais vendette il dipinto al mercante d’arte Henry Farrer e, dopo vari acquirenti che gli succedettero, ne divenne proprietario nel 1892 sir Henry Tate, appassionato di opere del periodo vittoriano. Quest’ultimo, a cui si deve l’esistenza della Tate Gallery, presentò in dono alla nazione nel 1894 la sua collezione. Ofelia fa quindi parte di quell’originario nucleo di opere che sir Tate donò e che andò a costituire il museo, che venne inaugurato da re Edoardo VII nel 1897. Ancora oggi l’Ofelia di Millais è una delle opere più iconiche della Tate Britain e continua ad affascinare le migliaia di visitatori che vengono da tutto il mondo ad ammirarla, tra la prestigiosa collezione permanente del museo londinese.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.