Quando la formula si fa messaggio. Un nuovo punto di vista su una delle più celebri opere vinciane, l'Annunciazione


La perfetta proporzione dà forma all’Annunciazione degli Uffizi. Sicuro strumento per la definizione degli spazi e la disposizione delle figure, numeri e geometrie costruiscono anche il senso profondo dell’opera di Leonardo. Un viaggio appassionante nella “mente del genio” attraverso il percorso operativo da lui stesso utilizzato.

È il caso di proporre, oggi, nuovi punti di vista per analizzare un’opera di Leonardo ormai tanto percorsa, indagata e solo in tempi recenti attribuita? O è invece colpevole disattenzione non averne finora cercato, al di là della consueta lettura, le componenti matematiche, quando è noto che “il maestro inseguì per tutta la vita la risoluzione in numeri delle sue straordinarie immagini”1?

La tavola fiorentina esercita una vera e propria fascinazione sull’osservatore: non tanto per l’espressività dei personaggi, quanto per l’inedito taglio della scena che offre un’insolita e nuova proposizione del tema dell’Annuncio, per l’intreccio rigorosamente calibrato delle partiture, per la selezione degli spazi ponderatamente dosata secondo canoni geometrici. Le figure giocano su piani di equilibrio che tendono a dilatare ulteriormente il già accentuato sviluppo orizzontale; gli alberi (una lunga teoria di essenze diverse) si susseguono con passo accelerato: dodici (le tribù di Israele?), ma uno (la tribù di Giuda da cui nasce il Messia?) volutamente ed emblematicamente accanto alla dimora, a lasciare un varco aperto dove il paesaggio si allontana secondo la prospettiva aerea che verrà teorizzata da Leonardo. Qui, alla base della spaccatura della montagna, è il punto di fuga della prospettiva centrale, fissato all’incrocio delle due diagonali che determinano la scansione aurea del dipinto.

Il formato della tavola è ragione e occasione di un così virtuosistico comporre. Leonardo, con scelta particolarmente accorta, lo adotta per narrare il mistero dell’Incarnazione. Opzione non originale, se vogliamo: la stessa formula è usata un millennio avanti per la planimetria del Partenone e lo sarà cinque secoli dopo per la tela di Guernica.

Se è noto il profilo del rettangolo aureo che invera la divina proportione, non altrettanto conosciuta è, invece, questa formula che assomma due rettangoli aurei complementari e ne moltiplica le potenzialità attraverso tracciati proporzionali. Li rappresenterà con evidenza Pacini, traendoli dal trattato in cui Gino Severini descrive la composizione armonica del mosaico del Palazzo delle Poste ad Alessandria2. Li usa Leonardo per dare continuità, coerenza e unitarietà alla scena e ai protagonisti. Sottendendo, oltre l’immagine, un intreccio di segni e simboli, proposizioni e figurazioni, o anche provocatori enigmi che attraversano costantemente l’opera. Criptando, però, i valori numerici, di cui doveva inevitabilmente disporre per scandire i passi, i legami, le pause dell’orditura. Anche se una chiave di lettura la offre e, vedremo, coerente al tema.

Leonardo da Vinci, Annunciazione (1472-1475 circa; olio su tavola; Firenze, Uffizi)
Leonardo da Vinci, Annunciazione (1472-1475 circa; olio e tempera su tavola, 98 x 217 cm; Firenze, Uffizi)


Paesaggio, hortus e dimora si dispongono in una trama geometrica che ne definisce i rapporti secondo la perfetta proporzione.  Le due linee perpendicolari, bancale del muretto e spigolo della dimora, si incrociano in un punto focale che raccorda le partiture: al di sopra il messaggio dichiarato delle 5 pietre d’angolo
Paesaggio, hortus e dimora si dispongono in una trama geometrica che ne definisce i rapporti secondo la perfetta proporzione. Le due linee perpendicolari, bancale del muretto e spigolo della dimora, si incrociano in un punto focale che raccorda le partiture: al di sopra il messaggio dichiarato delle 5 pietre d’angolo

Il 5 del Pentateuco, visualizzato nei conci d’angolo

L’8 dell’octava die, celato ma misurabile nel tratto che segue

Il 13 del sacrificio e della redenzione, che li somma nell’altezza della tavola

Dove ha tratto Leonardo questa particolare formula? Dai segreti di bottega tramandati all’interno delle corporazioni, o dalla versione manoscritta del De re3che circola in quegli anni. Alberti la annovera tra le aree ideali con la dizione sesquialtera doppia o doppio diapente, per il sempre puntuale riscontro tra lunghezze e intervalli musicali. La si esprime più propriamente con il rapporto L/L √5 tra i lati. Quali fossero, nelle coeve unità di misura, le dimensioni della tavola, quali le quote dell’architettura costruita sul piano del quadro, quali i rapporti di distanza tra le figure, è stato per noi annoso rovello.

La consuetudine a intervenire professionalmente sulle fabbriche storiche, a rilevarne i valori, a trasporle nel locale sistema di misurazione ha portato a guardare con la stessa ottica questo lavoro vinciano che, già al primo impatto, suggerisce archetipi geometrici preordinati.

La vexata quaestio del gesto intuitivo che guida la mano nell’artefice o, viceversa, di un canovaccio a monte, non si pone per l’architettura: nella disciplina dove è ovvio l’impiego delle misure si avverte sempre un tracciato logico, lineare, conseguente, peculiare dell’artista e del suo tempo. Da ritrovare oggi a fronte delle complesse problematiche che afferiscono al recupero delle grandi opere del passato, dov’è richiesta la capacità di esprimere un lessico attuale in un contesto storicamente consolidato. Come a dire che (se si è smarrito nei secoli il modo del rectare inproportione) primo atto di un’esegesi responsabile sarebbe ricercarlo nella fabbrica stessa fino a intendere la sintassi, la norma, la regola che presiedono alla sua identità. Una metodologia di approccio che vale anche per le arti figurative, per questa opera vinciana, ad esempio.

Del resto anche Leonardo attende spesso con schizzi e disegni a proposte di architettura4 e le sue opere nascono proprio nel periodo storico in cui la scienza dei numeri è prerogativa degli artisti che si muovono sulla scia di Piero della Francesca, che si addottrinano sui trattati dell’Alberti e del Pacioli, che creano con l’ausilio pratico-applicativo dell’ormai codificata progressione di Fibonacci. Alla serie del matematico pisano attinge appunto questa opera giovanile, anche se i valori non possono essere che approssimati rispetto all’esattezza della costruzione geometrica.

Alla ricerca di questo ordine, misurando attentamente come l’agrimensore dell’Apocalisse5, si è mosso il nostro studio sull’Annunciazione6.

Sul piano della tavola due linee ortogonali (il bancale del muretto e lo spigolo della dimora, che lo sguardo allunga oltre il tratto dipinto) definiscono l’orditura essenziale. Visivamente dichiarate e oculatamente posizionate selezionano in rapporto aureo gli spazi cui competono; il loro incrocio è in un punto focale su cui convergono i tre piani della narrazione. Poiché la scena è classicamente tripartita (paesaggio, hortus e dimora) i diversi campi si dispongono secondo una trama puntuale e allusiva sulla quale dialogano i personaggi.

Fortemente segnati, i cinque conci angolari, “quelle bugne (così risentite, ma decorative, e non funzionali) quasi siano studiate apposta per guidare come frecce il nostro sguardo”7, assumono un rilievo inusitato, fuori scala rispetto al contesto architettonico. Un’effettiva anomalia, anche se tale non è per l’autore, che ne privilegia il numero e non la dimensione (“la pietra scartata dai costruttori è diventata testata d’angolo”, Salmo 118,22).

Solo molto tempo dopo il nostro iniziale approccio e con intuizione improvvisa, proprio la pietra d’angolo si è rivelata unità di misura, e quindi chiave di lettura dell’opera. Con l’acquisizione del riferimento metrico che pertiene alla scena è stato possibile dare entità di grandezza a tutte le parti. Emergono così, al di sopra del punto di raccordo, le 5 unità dichiarate dai conci; il loro numero si relaziona alle 8 unità del tratto sottostante e, necessariamente, alla somma 13 (altezza della tavola scelta dall’autore o più probabilmente imposta) secondo la successione fibonacciana.

Gli stessi valori sottesi al dipinto di Leonardo sono visualizzati in architetture: ricordiamo le 5 e 8 campate sui lati minore e maggiore nel chiostro del Real Collegio del Patriarca a Valencia e ancora le 5 e 8 campate per lato nei cinquecenteschi chiostri piccolo e grande di San Pietro a Reggio Emilia8. Scelta numerica ribadita, in questo caso, dal loro passo di 5 e 8 braccia.

Una sorta di “regola d’arte” dell’antico sapere, una prassi che trattiene, nella componibilità delle cifre, consonanze armoniche e, nell’entità dei valori, contenuti teologici. Ancora una terna di numeri compare nel percorso del dialogo. La linea opportunamente angolata tra le bocche dei protagonisti, pressoché pari all’altezza della tavola, si pone come diametro di una semicirconferenza che ha centro nel punto di fuga. Il vettore perpendicolare che la divide nei tratti 4 e 9 (tra i quali corre invece il rapporto √5) risulta di misura 6 e rimanda puntualmente ed emblematicamente al simbolo mariano della conchiglia sul fianco del portaleggio. Ma 4, 6 e 9 sono proprio le partizioni indicate dall’Alberti per comporre, dal quadrato con integrazioni successive, il formato di sesquialtera doppia.

Nel foglio 23r del Manoscritto K Leonardo propone un analogo triangolo rettangolo, identificato esattamente dagli stessi valori: una incoraggiante conferma di mano dell’autore.

La lettura della tavola vinciana, per chi ne affronta l’aspetto matematico, è dunque già orientata dalla stessa definizione perimetrale. Scomporla, o meglio smontarla, è stato come sbirciare tra i segreti del maestro e tentare di addentrarsi nella mente del genio.

Attraverso il ribadito impiego della formula √5 Leonardo concentra la Storia al momento dell’Annuncio, nelle parole dell’Angelo, che Maria accoglie dentro di sé e nello spazio della dimora: una nuova Arca dell’Alleanza, come quella biblica dell’Esodo9, definita, a sua volta, da relazioni auree. Geometria e numerologia si affermano quali nuovi insoliti parametri per una più ampia esegesi.

Leonardo da Vinci, Manoscritto K, f. 23r (Parigi, Istitut de France)
Leonardo da Vinci, Manoscritto K, f. 23r (Parigi, Istitut de France)


La semicirconferenza con centro nel punto di fuga, passa per le bocche dei personaggi e per la conchiglia sul fianco del portaleggio
La semicirconferenza con centro nel punto di fuga, passa per le bocche dei personaggi e per la conchiglia sul fianco del portaleggio


Il punto di fuga è alla base della spaccatura della montagna
Il punto di fuga è alla base della spaccatura della montagna

Note

1 E. Garin, Universalità di Leonardo, in Scienza e vita civile nel Rinascimento I, Roma-Bari, in A. Perissa Torrini, L’enigma dell’uomo armonico. L’Uomo vitruviano di Leonardo, Art e dossier n. 256, giugno 2006.

2G. Severini, Le nombre d’or et d’autres rapports d’harmonie dans l’art moderne (1951), in Dal cubismo al classicismo, ristampa a cura di P. Pacini, Firenze, 1972, p.229.

3L. B. Alberti, De re aedificatoria, libro IX, cap. V.

4 Sul tema C. Pedretti, Leonardo architetto, Milano, 2007.

5 Ap. 11,1.

6 F. Manenti Valli, Leonardo, il comporre armonico nella tavola dell’Annunciazione, Cinisello Balsamo, 2012.

7 A. Natali, Dubbi, difficoltà e disguidi nell’Annunciazione di Leonardo, in L’Annunciazione di Leonardo. La montagna sul mare, Milano, 2000, p. 45.

8 Cfr. dell’A. Oltre misura, il linguaggio della bellezza nel monastero benedettino di San Pietro a Reggio Emilia, Modena, 2008.

9 Es. 25, 10.


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