Fra le opere che la ricerca storico-artistica ha legato al nome di Lorenzo di Credi (autografi, opere di scuole e di bottega, attribuzioni), molte sono perdute o non identificate: pertanto, quando qualcuna torna in luce, è opportuno proporla all’attenzione della critica. È il caso del tondo con un’Adorazione del Bambino citata nella History di Crowe-Cavalcaselle allorché si trovava a Londra in collezione Barker1, ma della quale sembrava si fossero perse le tracce dopo la vendita della collezione stessa (1874). In realtà l’opera è passata ripetutamente sul mercato, ed è transitata attraverso raccolte inglesi e americane; oggi, dopo un accurato restauro, mi è stata segnalata dall’antiquario Robert Simon di New York, al quale devo una serie di buone riproduzioni fotografiche e una scheda che documenta puntualmente le vicende dell’opera2.
La tavola misura poco più di 90 centimetri di diametro, e già questo dato risulta positivo, poiché i tondi che appartengono all’attività giovanile di Lorenzo di Credi sono di dimensioni affini; ma in ogni caso il riferimento al pittore è del tutto agevole, poiché la composizione, molto semplice, corrisponde a uno schema che l’artista elabora più volte verso la fine degli anni Settanta e nel corso del decennio successivo, riprendendolo anche in seguito: i personaggi, collocati all’aperto, sono la Madonna (una madre-bambina nelle soluzioni giovanili) in ginocchio e in preghiera, e il figlio neonato che giace in primo piano, appoggiato a un sacco rigonfio o a un fascio di spighe, un dito che sfiora la bocca; nella maggior parte dei casi, sul Bambino si china con sollecitudine un piccolo san Giovanni, anch’egli orante; nello sfondo è un paesaggio lacustre, dove si associano rocce, colli, alberi, e, nei piani più lontani, architetture variamente articolate, con qualche tratto che evoca tipologie transalpine. Rappresentativi della formula qui descritta, sono soprattutto i tondi di Berlino, Karlsruhe, Venezia, e quello già in collezione Casati, il più qualitativo e forse il più antico, al quale ho dedicato in passato particolare attenzione; tutti sono indiziariamente riferibili al decennio 1475-1485 (e la data 1485-1490 conviene anche al tondo di cui stiamo parlando), ma la formula sarà ancora valida per alcune soluzioni appartenenti all’attività tarda, dove peraltro si adotta per la Vergine una tipologia più matura3.
Lorenzo di Credi, Adorazione del Bambino (tavola; New York, collezione privata) |
Lorenzo di Credi, Adorazione del Bambino, stato di conservazione dell’opera prima del restauro |
Lorenzo di Credi, Adorazione del Bambino, dettaglio della Vergine |
Lorenzo di Credi, Adorazione del Bambino, dettaglio del san Giovannino |
Lorenzo di Credi, Adorazione del Bambino, dettaglio del Bambino |
Nelle Adorazioni e nelle Madonne giovanili compare spesso un fondale di dimensioni ridotte, ovvero uno schermo che vale come controfondo per la figura della Vergine, ma ciò non si verifica nel tondo oggi a New York, dove era necessario lasciare spazio a una componente specifica di cui dirò fra poco. Nel caso in esame lo schema sperimentato si articola con chiarezza: a sinistra un dosso erboso cinto alla base da una strada in salita (vedi il tondo ex Casati), sul quale compaiono un gregge e un pastore che alludono alla Buona Novella; al centro la visione si affonda verso lo specchio d’acqua seguendo lievi ondulazioni del terreno coperte da una vegetazione disciplinata, quindi, a destra, un altro sperone di roccia segnala, per l’osservatore, la conclusione del ‘percorso di lettura’. Gli elementi architettonici inseriti nello sfondo (una piccola chiesa, due casette addossate a due torrioni) sembrano appartenere a una stesura appena abbozzata, così come il tappeto erboso che risulta privo di dettagli se lo si confronta con le fitte trame di erbe e fiori che compaiono in altre opere dell’artista, come il tondo Querini Stampalia (Venezia) o come l’Adorazione dei Magi degli Uffizi eseguita per Jacopo Bongianni4. Peraltro il tondo di New York non mostra i caratteri propri di alcuni scolari del Credi, come il presunto Cianfanini o Giovannantonio Sogliani, e non rivela tracce esplicite di collaborazione: ritengo che sia stato impostato e dipinto per ampia parte da Lorenzo, al quale si devono sia il disegno di base, sia l’esecuzione dei personaggi; forse la necessità di consegnare il dipinto con urgenza costrinsero il maestro ad accorciare i tempi di esecuzione, lasciando definiti in forma approssimativa il piano di posa e lo sfondo; ma forse c’è un’altra spiegazione, alla quale giungerò nel concludere. La peculiare abilità del maestro si manifestano nell’ampia planimetria, nell’armonica connessione fra le parti, e nella cromia misurata che si registra nelle figure in primo piano, i due Bambini e la Vergine: soprattutto il modellato e la densità materica del drappeggio che caratterizza il manto azzurro della Vergine testimoniano l’intervento diretto del Credi, che vediamo confrontarsi spesso con lo smaltato splendore delle maioliche robbiane.
Nella descrizione della tecnica di Lorenzo, Vasari5 apprezza la levigatezza e l’impeccabile finitezza delle superfici, ma non nasconde una certa insofferenza per la lentezza e la pignoleria del pittore, e per il suo specialismo: ricordo che Lorenzo operava solo come disegnatore e come pittore su tavola, prediligendo la dimensione ridotta. Ma è scontato che Vasari si sentisse lontano da una sorta di medietas crediana, ovveroda un orientamento che tendeva a scegliere la moderazione e la sobrietà, rispetto alla complicazione e all’eccesso. Non è un caso che egli scelga di decorare la stanza della Vergine con mazzolini di fiori infilati in un bicchiere di vetro di rustica manifattura, scartando contenitori elaborati: l’unico vaso di un certo pregio eseguito da Lorenzo (Madonna di Magonza), evoca, ma non imita, la splendida caraffa di Leonardo (Madonnadel garofano, Monaco), sofisticata nella forma ma anche nella scelta dei fiori che compongono il bouquet.
Lorenzo di Credi, Adorazione del Bambino (tavola; Collezione privata, già in Collezione Casati) |
Lorenzo di Credi, Adorazione del Bambino (tavola, diametro 97 cm; Venezia, Fondazione Querini Stampalia) |
Lorenzo di Credi, Adorazione del Bambino (tavola; Karlsruhe, Kunsthalle) |
Lorenzo di Credi, Madonna col Bambino (tavola, 88 x 58 cm; Magonza, Landesmuseum Mainz) |
Lorenzo di Credi, Madonna col Bambino (olio su tavola, 71,1 x 49,5 cm; Londra, National Gallery) |
Lorenzo di Credi, Madonna col Bambino (tavola; Torino, Galleria Sabauda) |
Lorenzo di Credi, Madonna col Bambino e san Giovannino (tempera su tavola, diametro 88 cm; Roma, Galleria Borghese) |
Vengo infine alla componente insolita che caratterizza in forma determinante il tondo di New York: due querce, una integra e una mozzata a poca distanza da terra, che Lorenzo colloca presso la Madonna, a sinistra e a destra di lei, a diversa profondità e in spazi adeguatamente riservati; due querce che non trovano riscontro nel fitto catalogo dei dipinti dell’artista. Nei paesaggi introdotti nei ritratti e nelle opere di soggetto sacro e d’impianto tradizionale (Madonne, Adorazioni) Lorenzo propone infatti forme arboree tendenzialmente uniformi, alberi e cespugli dalla chioma espansa, dove il fogliame varia in rapporto alla luce, oscillando dal verde cupo all’oro, ma non nella tipologia, che allude in forma convenzionale al paesaggio toscano: agrumi, mirto e lauro nei giardini (con riferimento alla verzura simbolica di area ‘medicea’), faggi, pioppi e cipressi nelle campagne6.
Fino ad oggi c’era solo un dipinto autografo di Lorenzo in cui la vegetazione risultava specificamente caratterizzata, et pour cause: il Ritratto di una donna in nero (New York, Metropolitan Museum), il cui nome è evocato in forma esplicita dalla presenza, nel fondo, di alcuni cespi di ginepro: una scritta nel rovescio (caratteri del XV secolo) attesta l’identità dell’effigiata, “Ginevra d’Amerigo Benci”7. E non vedo per quale ragione dovremmo ritenere falsa questa indicazione, del tutto congruente con ciò che sappiamo della trama che lega i nomi del Verrocchio, di Leonardo e di Lorenzo di Credi sia fra loro, sia ai componenti della famiglia Benci, soprattutto Giovanni e Ginevra8; quest’ultima, riconosciuta nell’impegnativo Ritratto di Leonardo (Washington, National Gallery of Art) e nella verrocchiesca Dama col mazzolino (Museo del Bargello).
Il tondo riemerso dall’ambito delle collezioni private americane sembra ora doversi affiancare al Ritratto della donna in nero come opera contenente un elemento vegetale che allude al nome di un committente. La quercia dal tronco mozzato, dal quale spunta però un virgulto rigoglioso, è infatti l’emblema riconosciuto di un membro della famiglia di banchieri-mercanti fiorentini residenti a Bruges, i Portinari, e precisamente di Benedetto, figlio di Pigello (direttore della filiale milanese dei Medici) nonché nipote di Tommaso, committente del monumentale Trittico goesiano9. Lo stesso Benedetto è ritratto in uno dei tre pannelli che componevano un trittico minore di Hans Memling, diviso oggi fra gli Uffizi e la Gemäldegalerie di Berlino10, e la tavola con l’immagine del committente, datata in primo piano al 1487, conserva nel rovescio una splendida immagine del tronco di quercia del Portinari, attorno al quale si articolano le eleganti volute di un filatterio che reca inscritto il motto personale di Benedetto, “de bono in melius”.
Nel tondo di New York la nostra attenzione è attratta dall’emblematico tronco mozzato e dal querciolo intatto, la cui presenza si deve probabilmente all’esigenza di rendere meglio riconoscibile l’identità dell’altro: la definizione dei fusti nodosi e delle grandi foglie dorate spicca contro le tonalità brune del terreno e sui grigio-azzurri del paesaggio, testimoniando lo stile più alto del pittore e quella concentrazione che si rileva nei mazzetti di fiori senza pretese collocati presso alcune Madonne. Tutto ciò potrebbe giustificare, quindi, la mancanza di definizione dell’ambiente circostante: un modo per dare il massimo risalto alle querce e per collegare la devozione per la Vergine a una richiesta di protezione per il committente e per la sua famiglia, visualizzati attraverso l’emblema e l’alberello.
A completare la trama di notizie qui riunite, vale la pena di ricordare che Benedetto era ben conosciuto da Leonardo, condiscepolo di Lorenzo di Credi presso il Verrocchio: in un memorandum del Codice Atlantico, databile al 1489, il Vinci, ormai trasferitosi a Milano, lo cita come personaggio al quale avrebbe dovuto rivolgersi per avere informazioni sull’uso dei pattini da ghiaccio nei Paesi Bassi11.
Lorenzo di Credi, dettaglio della Madonna di Magonza, e Leonardo da Vinci, dettaglio della Madonna del Garofano |
Lorenzo di Credi, Ritratto di donna in nero (Ginevra de’Benci) (tavola, 58,7 x 40 cm; New York, Metropolitan Museum) |
Lorenzo di Credi, Adorazione del Bambino (Tondo Portinari), dettagli |
Hans Memling, Ritratto di Benedetto Portinari, pannello destro del Trittico Portinari, recto (1487; olio su tavola, 45 x 34 cm il terzo pannello, 45,5 x 100 cm il trittico; Firenze, Uffizi) |
Hans Memling, Ritratto di Benedetto Portinari, verso |
E infine un’ultima considerazione. Il trittichetto di Benedetto Portinari, pur eseguito da Memling in Fiandra, dovette tornare presto a Firenze, poiché all’inizio del Cinquecento si trovava presso lo Spedale di Santa Maria Nuova, una istituzione di grande rilievo nella vita della città, fondata a fine Duecento da un Portinari12. È possibile che la commissione del tondo a Lorenzo sia motivata, per qualche aspetto, da un legame con Santa Maria Nuova: egli infatti nel 1486 alloggiava come affittuario in un locale appartenente allo Spedale; ed è sempre allo Spedale che l’artista ultrasettantenne ‘si commette’ nel 1531, rinunciando ai suoi averi in cambio di un modesto vitalizio. In quel luogo il pittore morirà cinque anni dopo.
Un complesso di dati che conferma la datazione del tondo Portinari alla fine degli anni Ottanta, quando Benedetto, poco più che ventenne ma già ben inserito nel mondo degli affari che si svolgevano lungo il circuito Italia-Francia-Fiandra13, sosta probabilmente a Firenze, dopo aver lasciato Milano e prima di trasferirsi a Bruges.
1 J.A.Crowe-G.B.Cavalcaselle, A History of Painting in Italy, London 1914, 6, p.41. In seguito il dipinto è citato da A.Humphreys, Credi, Tommaso and a York Tondo, “Preview”, 86, 22, p.788.
2 Il tondo è eseguito su tavole di pioppo e dipinto a tempera, con parziali e circoscritti interventi a olio. Un recente restuaro ha eliminato le opacità dell’ultimo strato pittorico e ha emendato piccole cadute di colore; resta qualche traccia di logoramento superficiale nella parte sinistra.
3 G.Dalli Regoli, Lorenzo di Credi, Milano 1966, p.188; Eadem, Lorenzo di Credi e la pittura di devozione. Il tondo Casati, “Critica d’arte” 22, 2004, pp.75-88; Eadem, I ‘maltrattati delle Vite vasariane. Riflessioni e marginali risarcimenti, “Critica d’arte”, 33-34, 2008, pp.9-33. A questi ultimi testi rinvio per un aggiornamento della bibliografia pertinente, che non può trovare spazio in questa sede.
4 La grande tavola è agli Uffizi: vedi F.W.Kent, Lorenzo di Credi, his patron Jacopo Bongianni andSavonarola, “The Burlington Magazine” , 125, 1983, pp.539-541.
5 G.Vasari, Le Vite (1568),ed. a cura di P.Barocchi e R.Bettarini,, Firenze 1966-1987, IV (testo), pp. 299-303.
6 Solo nell’opera più impegnativa, che nacque nel contesto della vivace bottega di Andrea del Verrocchio, la pala d’altare conservata nel Duomo di Pistoia, Lorenzo adorna la nitida architettura ricorrendo a fronde di agrumi, di abete, e alla rosa selvatica
7 Rinvio all’attenta analisi di D.A.Brown, Leonardo da Vinci. Origins of a Genius, New Haven&London 1998, pp.101-121.
8 Ricordo che Leonardo, partendo per Milano nel 1482, lasciò a Giovanni Benci l’Adorazione dei Magi e due libri, probabilmente molto ingombranti e delicati, un ‘mappamondo’ e un ‘libro de’ diaspri’ (C.Vecce, La biblioteca perduta. I libri di Leonardo, Roma 2017, pp.72-73).
9 Per esigenze di brevità, cito Firenze e gli antichi Paesi Bassi, 1430-1530, dialoghi tra artisti, Catalogo della mostra (Firenze 2008), a cura di B.W.Meijer, Firenze 2008, pp.28, 182-185; e l’approfondita trattazione di F.Veratelli, I tratti del potere. I clienti italiani di Memling, in Memling. Rinascimento fimmingo, Catalogo della mostra (Roma, 2014-2015) a cura di Till-Holger Borchert, Milano 2014, pp.61-65, 218-219 (scheda di Till-Holger Borchert); il riconoscimento del trittico e del legame con i Portinari si deve peraltro ad A.Warburg. La rinascita del paganesimo antico, [1966], ed. a cura di M.Ghelardi, Torino 2004, pp.320-357.
10 Il trittico era composto dalla Madonna al centro (Berlino) e dalle effigi di S.Benedetto a sinistra, del Portinari a destra (Uffizi).
11 Veratelli 2014, cit., p.61.
12 Memling 2014, cit,,pp.218-219.
13 È lo stesso saggio citato sopra che illustra come i due fratelli Portinari, Benedetto e Folco, siano stati precocemente attivi come banchieri e imprenditori ma anche come committenti di opere d’arte.