Certamente il pittore valsesiano più importante del Seicento è Antonio d’Enrico, meglio conosciuto come Tanzio da Varallo (Alagna Valsesia, 1582 circa – Borgosesia?, 1633), artista che fu fortemente influenzato dall’arte di Caravaggio e dei caravaggeschi, ma che a questo bagaglio aggiunse una sua inclinazione verso il secondo manierismo lombardo-piemontese, di cui esponenti furono Camillo Procaccini, il Cerano, il Morazzone. A Tanzio è dedicato un intero salone all’interno della Pinacoteca di Varallo, secondo comune più esteso della provincia di Vercelli, situato in Valsesia. Ma oltre alle sue opere, a quelle di Gaudenzio Ferrari che lo precedette e di altri artisti, pittori e scultori, che lavorarono sul territorio nel corso dei secoli, Palazzo dei Musei ospita una collezione che racconta la varietà della tradizione artistica locale e che è utile per comprendere quanto sia stata eterogenea attraverso i secoli. Un viaggio dal Quattrocento al Novecento che il visitatore compie in tre sale in cui si succedono dipinti, sculture, oggetti di arti decorative, suppellettili liturgiche e mobili.
La collezione conta centocinque pezzi ed è stata donata a Palazzo dei Musei dal medico borgosesiano Mario Remogna, tra il 2002 e il 2013. La donazione al museo e all’Ente di cui quest’ultimo è tuttora Presidente (la Società di Incoraggiamento allo Studio del Disegno e di Conservazione delle Opere d’Arte in Valsesia - Onlus) è testimonianza di mecenatismo e amore per la cultura. Il prestigio della Pinacoteca di Varallo, nonché la ricchezza delle sue collezioni, hanno condotto il medico a lasciare all’istituzione varallese l’eredità storico artistica raccolta con passione dal padre, Giovanni Remogna, medico anch’esso. Il primo nucleo della raccolta è stato donato nel 2002 e comprende una scultura lignea e tre dipinti: la Madonna con il Bambino in mandorla e il Cristo in Pietà entrambi del secondo Quattrocento, riferiti ad artisti anonimi di cultura lombardo-piemontese, la tela con il San Francesco d’Assisi in preghiera sulla Verna (1613-1614 circa) di Tanzio da Varallo e la Roggia sotto il Sassello (1885) del pittore valsesiano Pier Celestino Gilardi. Questa prima donazione si completa in più fasi fino al 2013, portando all’arrivo in museo dell’intera raccolta, allestita in tre sale inaugurate nel 2015 e parte del percorso espositivo permanente di Palazzo dei Musei.
Sala della Pinacoteca di Varallo |
Sala della Pinacoteca di Varallo |
Originario di Crevacuore, in provincia di Biella, Giovanni Remogna cominciò a collezionare queste opere negli anni Venti del Novecento e in particolare si concentrò su pezzi compresi tra il Seicento e l’Ottocento: nel scegliere le opere da acquistare, si lasciò guidare dal suo gusto personale. Sembra che la sua passione per l’arte sia nata a Firenze, città frequentata da giovane, ai tempi del corso da ufficiale medico. Trasferitosi in Valsesia, Giovanni Remogna seppe individuare le opere di maggior pregio che i suoi pazienti possedevano nelle loro case e da loro le acquistò: si tratta probabilmente di opere che in origine appartenevano a chiese o che erano legate alla devozione privata, oppure arrivate presso le famiglie valsesiane a seguito di eredità o acquisti presso gli artisti. Sei dipinti sono invece acquistati presso le sorelle Billotti, residenti a Genova ma di origini biellesi, e sono riconducibili al mercato milanese.
Le opere della collezione Remogna, sia quelle di ambito valsesiano, che quelle che varcano i confini di questo territorio, dialogano strettamente con il patrimonio della Pinacoteca, con una predilezione per la cultura artistica lombardo-piemontese.
Tra le opere più prestigiose della collezione si contano dipinti di Camillo Procaccini, Guglielmo Caccia detto il Moncalvo, Gian Giacomo Inchiocco detto il Barbelli, Giambettino Cignaroli e Pier Celestino Gilardi.
A Camillo Procaccini (Parma, 1561 - Milano, 1629) sono riferiti il Sacrificio di Isacco e la Strage degli Innocenti: entrambi furono acquistati dal collezionista presso le sorelle Billotti e precedentemente erano appartenuti al restauratore milanese Nicodemi. L’artista eseguì il Sacrificio d’Isacco tra il 1585 e il 1590 circa, a cavallo tra le sue ultime opere emiliane e gli esordi in Lombardia: il dipinto denota una combinazione tra il tardomanierismo della sua formazione e un’inedita osservazione del vero, influenzata forse dalla suggestione esercitata sul pittore dalle prime opere di Annibale Carracci e dalla frequentazione dello scienziato bolognese Ulisse Aldrovandi. Nella grande tela è stata colta una somiglianza compositiva con la Creazione di Eva affrescata nel ciclo della Basilica di San Prospero a Reggio Emilia, che Procaccini realizzò tra il 1585 e il 1587, al termine della sua prima attività emiliana. Più tarda è invece la Strage degli Innocenti, compiuta con aiuti della bottega tra il 1605 e il 1610 circa: si tratta di una replica, anche se non completamente fedele all’originale, del grande dipinto che gli era stato commissionato dai monaci di San Sisto a Piacenza e che il pittore aveva eseguito entro il 1605. Rispetto alla versione piacentina, quella nella collezione Remogna è caratterizzata da una maggiore violenza e potenza espressiva: si veda il morso che la madre raffigurata sulla destra dà all’assassino di suo figlio.
Camillo Procaccini, Sacrificio di Isacco (1585 – 1590 circa; olio su tela, 226 x 174 cm; Varallo, Pinacoteca, Collezione Remogna) |
Camillo Procaccini, Strage degli innocenti (1605 – 1610 circa; olio su tela, 145 x 218 cm; Varallo, Pinacoteca, Collezione Remogna) |
Guglielmo Caccia detto il Moncalvo, Caduta di san Paolo (1605 – 1610 circa; olio su tela, 131 x 163 cm; Varallo, Pinacoteca, Collezione Remogna) |
Antonio d’Enrico detto Tanzio da Varallo, San Francesco d’Assisi in preghiera sulla Verna (1613 – 1614 circa; olio su tela, 55 x 38 cm; Varallo, Pinacoteca, Collezione Remogna) |
Anche La caduta di san Paolo, opera del Moncalvo (Montabone, 1568 – Moncalvo, 1625), è tra i dipinti acquistati da Giovanni Remogna presso le sorelle Billotti di Pollone. L’opera è vicina ad altre realizzate dal pittore prima della fine del primo decennio del Seicento, poco distante dalla sua partecipazione ai lavori per la Grande Galleria di Carlo Emanuele I a Palazzo Reale di Torino. La tela varallese, che corrisponde al registro inferiore di un dipinto di dimensioni maggiori, è infatti databile tra il 1605 e il 1610 circa: in secondo piano compare un gruppo di cavalieri, dipinto in terra d’ocra molto chiara, l’intonazione di base della tela, sulla quale spiccano il blu della corazza del santo e il rosa del mantello. Un decennio dopo l’artista riprese il soggetto nell’opera che realizzò per la chiesa di San Paolo apostolo a Casale Monferrato.
Giovanni Remogna acquistò il San Francesco d’Assisi in preghiera sulla Verna di Tanzio da Varallo negli anni Sessanta del Novecento. Nel quadro è rappresentata l’attesa della visione celeste da parte del santo sul Monte della Verna, ovvero il momento che precede la stigmatizzazione di san Francesco. L’angelo serafino è annunciato dal bagliore che si vede nell’angolo in alto a destra e che provoca spavento nel frate Leone. Secondo le interpretazioni critiche, l’attesa dà occasione al pittore di lavorare sul paesaggio, dandogli un senso di sublime e di impervio, grazie al colore grigio-azzurro delle rocce. All’interno della veduta sono inoltre raffigurati due frati che stanno camminando verso il santuario che verrà costruito in memoria del miracolo ma che al momento della stigmatizzazione non era ancora stato eretto. Data la profonda spiritualità di Tanzio da Varallo, è possibile che abbia visitato personalmente il santuario della Verna.
Il Ritratto di Alessandro Zanchi è dipinto dal cremasco Gian Giacomo Inchiocco detto il Barbelli (Offanengo, 1604 – Calcinato, 1656) tra il 1646 e il 1656 circa. Per l’identificazione della figura maschile rappresentata è stata fondamentale l’iscrizione presente sul documento appeso alle spalle dell’uomo: si tratta del cavaliere bergamasco Alessandro Zanchi; lo stemma sopra il documento attesta la casata dell’anziano militare. In quegli anni il Barbelli intensificò i suoi contatti con la città di Bergamo, dove si occupò della decorazione di Palazzo Moroni tra il 1649 e il 1654, e le poche notizie biografiche disponibili sullo Zanchi fanno supporre che quest’ultimo possa essere venuto a contatto con il pittore quando ricopriva la carica di governatore della città padana. La croce che porta sulla casacca ne indica il titolo di cavaliere di Malta, mentre sullo sfondo si intravede una scena di battaglia.
Gian Giacomo Inchiocco detto Barbelli, Ritratto di Alessandro Zanchi (1646 – 1656 circa; olio su tela, 235 x 138 cm; Varallo, Pinacoteca, Collezione Remogna) |
Giambettino Cignaroli, Madonna con il Bambino in trono, san Giovanni Battista e san Zeno vescovo assistito da un chierico (1732; olio su tela, 249 x 140 cm; Varallo, Pinacoteca, Collezione Remogna) |
Pier Celestino Gilardi, Veduta del Monte Rosa alla estremità della Valle Sesia (1892 circa; olio su tela, 36 x 48,5 cm; Varallo, Pinacoteca, Collezione Remogna) |
È settecentesca la Madonna con il Bambino in trono, san Giovanni Battista e san Zeno vescovo assistito da un chierico realizzata da Giambettino Cignaroli (Verona, 1706 - 1770). Fu lasciata in eredità a Giovanni Remogna per testamento dall’assicuratore e suo paziente Cesare Corti. La composizione è costruita secondo lo schema della sacra conversazione, con la Vergine e il Bambino sul trono e le restanti figure disposte su un piano inferiore. Il Battista adolescente è vestito solo del mantello rosso (la pelle di cammello si intravede appena), san Zeno è seduto in abiti pontificali a leggere il testo sacro e il chierico sulla destra è l’unico a volgere lo sguardo all’osservatore. La tunica bianca del Bambino fa già presagire il tema della Passione ed è lui stesso a tenere il cartiglio dell’Agnus Dei, mentre la Vergine poggia la mano sulla spalla del Bambino per accompagnarlo consapevolmente alla sua morte.
Di soggetto totalmente diverso dai dipinti menzionati finora, poiché paesaggistico, è la Veduta del Monte Rosa alla estremità della Valle Sesia eseguita dal valsesiano Pier Celestino Gilardi (Campertogno, 1837 – Borgosesia, 1905). L’opera raffigura il Monte Rosa con gli abitati di Alagna e Riva Valdobbia ripresi plausibilmente da un punto di vista compreso tra le cime di Alzarella e della Cona. Il pittore conosceva molto bene questi luoghi per la vicinanza a Campertogno, suo paese natio, dove possedeva una casa di famiglia e dove tornava spesso da Torino. Inoltre ebbe molte occasioni di contatto con il Club Alpino Italiano, che promuoveva la pittura ad alta quota.
Conoscere la collezione Remogna è un’opportunità per comprendere la tradizione artistica locale, ma anche per un viaggio più ampio, fuori dai confini della Valsesia, che tutti possono fare grazie al grande gesto di condivisione che il donatore ha scelto per questa raccolta.
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