Nel cuore del centro storico di Pistoia, in piazzetta Spirito Santo, a due passi dalla Cattedrale, si erge un monumento ottocentesco dedicato a Niccolò Forteguerri, cardinale pistoiese vissuto nel Quattrocento, noto per aver fondato nella sua città la Domus Sapientiae, un istituto che forniva un’istruzione ai bambini e ai ragazzi provenienti da famiglie bisognose. Venne realizzato nel 1863 dallo scultore modenese Cesare Sighinolfi e sul basamento reca un’iscrizione: “O Niccolò Forteguerri / Tu illustrasti la romana porpora / provvedendo all’istruzione dei pistoiesi / adesso l’orfanotrofio e l’asilo Puccini / t’innalzano questo monumento / a far noto ai ricchi / che i figli del popolo / non scordano i benefizi”. Il monumento, e anche la sua iscrizione, si devono a uno dei più illustri mecenati della storia della Toscana, Niccolò Puccini (Pistoia, 1799 – 1852), che nel suo testamento espresse la ferma volontà di far erigere la scultura dedicata al suo insigne concittadino vissuto quattro secoli prima, e dettò anche l’epigrafe da apporre alla base: le sue volontà vennero fedelmente rispettate.
Il testamento di Puccini è utile per farsi un’idea piuttosto completa di chi fosse questo personaggio che segnò in maniera indelebile la storia di Pistoia nel primo Ottocento: figlio di Giuseppe Puccini e Maddalena Brunozzi, proveniva da una famiglia di professionisti e proprietari terrieri che, col nonno Domenico, erano riusciti a entrare nella nobiltà cittadina. Il giovane Niccolò decise tuttavia di non seguire la carriera professionale, ma di interessarsi alle arti e alle lettere e soprattutto alla filantropia, che esercitò grazie alle ampie risorse economiche di cui disponeva per eredità (soprattutto rendite e partecipazioni azionarie) e che seppe gestire con intelligenza: a soli 25 anni, infatti, dopo la scomparsa dell’ultimo dei suoi fratelli maggiori, Domenico, Niccolò Puccini divenne amministratore unico di tutte le cospicue ricchezze della famiglia, uno dei patrimoni più grandi della Toscana dell’epoca. Dopo gli studi e dopo aver compiuto, all’inizio degli anni Venti, diversi viaggi tra Italia, Francia, Svizzera, Olanda e Inghilterra per completare la sua formazione, decise di dedicare l’intera sua esistenza al mecenatismo e alla filantropia, con un occhio anche per la politica: di idee liberali, poco più che ventenne elargì donazioni a sostegno della causa dell’indipendenza greca, e poi seguì con interesse le vicende risorgimentali arrivando a essere unico finanziatore della “Società degli onori parentali ai Grandi Italiani”, un’associazione patriottica nata nel 1821, e addirittura nel 1848 mise all’asta l’argenteria di famiglia per sostenere i toscani che partecipavano ai moti di quell’anno (per queste ragioni era anche attenzionato dalla polizia del granducato di Toscana).
I suoi interessi, tuttavia, si orientarono prevalentemente in due direzioni: il sostegno alla cultura e quello ai bisognosi. Il testamento, come anticipato, è utile per comprendere la forte vocazione altruistica che sempre caratterizzò l’azione di Puccini. Non ebbe eredi diretti, dal momento che, per scelta, decise di non sposarsi, e nominò suo erede universale l’orfanotrofio di Pistoia (“non valsero a rimuovermi da questa prepotente determinazione”, si legge nel testamento, “le inesorabili insinuazioni di quelli che mi consigliavano di chiamare altra persona a succedermi, avvegnachè io ho sempre disprezzata la nobiltà della nascita, apprezzando solo la nobiltà delle azioni, e mi chiamo fortunato di fermare ed assegnare la mia facoltà in opera che frutti al paese, anziché vada dispersa da qualche successore in vizii, viltà ed insolenze”). Nel testamento, Puccini dispose poi di destinare il suo palazzo in centro a Pistoia a nuova sede dell’orfanotrofio, incurante delle eventuali lamentele di “quelli che fanno niente per tutto biasimare” che potrebbero dire “non convenire un palazzo così magnifico ad un orfanotrofio”. Ancora, nel documento Puccini stabiliva anche le linee per l’amministrazione economica dell’orfanotrofio, da gestire con le rendite da lui messe a disposizione. Tra le altre volontà, Puccini lasciava alla Biblioteca Forteguerri le sue due raccolte librarie più cento lire all’anno per l’acquisto di libri, stabiliva un fondo per finanziare trentasei soggiorni gratuiti all’anno alle terme di Montecatini da destinare ai malati, e un ulteriore fondo (“cogli avanzi annuali del mio Patrimonio”) da assegnare alla città per far fronte alle necessità in caso di carestie (in caso di carestia talmente grave da far esaurire i fondi degli avanzi annuali, Puccini stabiliva di far cessare le altre opere di beneficenza disposte: “a molti”, si legge nel testamento, “non piacerà questa mia disposizione, ma egli è ormai impossibile che uno solo possa rimediare alla miseria di tutti; se quelli che la disapprovano sono ricchi, rimedino del proprio alla mia mancanza; se non lo sono, esortino i ricchi a venire in aiuto a questa Beneficenza Cittadina”). Infine, sul capitolo esequie, Puccini disponeva che una volta finito il funerale venisse fatto un discorso che riassumesse i principî che di fatto hanno guidato tutta la sua attività: “si ricordi agli astanti che la Beneficenza verso la Patria è obbligo del Cristiano e che è dovere di Cittadino, e che i ricchi non sono che Amministratori dei Poveri, e debbono colle loro ricchezze aiutare all’industria ed alla educazione nazionale”.
La sua attività di mecenate e filantropo aveva come base la sua residenza, la settecentesca Villa di Scornio a Pistoia, dove si stabilì, una volta tornato dal suo Grand Tour, per il resto della sua vita, salvo allontanarsi di quando in quando per andare a Firenze e frequentare il Gabinetto Vieusseux, fondato nel 1819 da Giovanni Pietro Vieusseux (amico di Puccini) come salotto in cui era possibile leggere riviste provenienti da ogni parte d’Europa e alle quali il Gabinetto sottoscriveva l’abbonamento (Puccini era abituale frequentatore). Ben presto la Villa di Scornio divenne centro della vita culturale e politica pistoiese di quegli anni: furono ospitate qui molte delle più importanti personalità italiane e internazionali del tempo (tra i tanti è possibile annoverare Giacomo Leopardi, Pietro Giordani, Massimo D’Azeglio, Vincenzo Gioberti, Niccolò Tommaseo, Gino Capponi, Enrico Mayer). Puccini, fin da giovanissimo, aveva dimostrato grande cura nei confronti della casa di famiglia: già nel 1820, infatti, dietro sua iniziativa le sue stanze vennero fatte decorare con immagini dei grandi italiani del passato e con quelle degli eroi della libertà. In seguito avrebbe fatto anche trasformare quelle che un tempo erano le stalle della villa (costruita dai suoi antenati nel Settecento) in grandi saloni affrescati da insigni pittori del tempo, come Giuseppe Bezzuoli, uno dei più illustri artisti italiani del primo Ottocento (Bezzuoli eseguì anche il ritratto di Niccolò Puccini), Luigi Sabatelli, Gaspare Martellini, Nicola Cianfanelli. Fu lo stesso Puccini a dettare il programma iconografico: la grande Sala delle Muse accoglieva dunque affreschi dedicati ai grandi artisti del Rinascimento (Raffaello, Michelangelo, Cellini e Andrea del Sarto), dei quali il mecenate intendeva onorare la memoria.
Poi, nel 1824, divenuto unico erede della famiglia, investì ingenti risorse per allargare il parco di Scornio, che circondava la villa: alla sua scomparsa era diventato una distesa verde di 123 ettari. Lo fece sistemare a giardino romantico, secondo il gusto del tempo (vi si trovano dunque ricostruzioni di edifici medievali e classici, giochi d’acqua, sentieri che s’inoltrano lungo intricati boschetti), facendo installare anche monumenti dedicati a grandi personaggi della cultura e della scienza italiane, con anche qualche presenza internazionale. Nel 1845, peraltro, Puccini fece pubblicare una guida ai Monumenti del giardino Puccini alla quale contribuirono letterati come Francesco Domenico Guerrazzi, Niccolò Tommaseo e Raffaello Lambruschini. Alcuni dei monumenti non sono sopravvissuti, ma ci rimangono diverse sculture: Dante Alighieri, Michelangelo Buonarroti, Carlo Linneo, le due colonne con i busti di Raffaello e di Antonio Canova, l’emiciclo di Galileo Galilei. Inoltre, su progetto dell’architetto Alessandro Gherardesca, vi venne innalzato il “Pantheon degli uomini illustri”, un tempietto neoclassico che andava ad arricchire le strutture del parco (che peraltro venne anche modernamente dotato di caffè, ristoranti e foresteria: a partire dal 1830 infatti il parco era stato aperto al pubblico).
Il parco, a partire dal 1841, ospitò un particolare “festival”, se così lo si vuol chiamare usando un anacronismo, inventato dallo stesso Niccolò Puccini, ovvero la Festa delle Spighe, una fiera che durava tre giorni e che, stando ai resoconti del tempo, vedeva un primo giorno dedicato alle celebrazioni religiose e in generale ai comizi e agli incontri pubblici, il secondo alle gare tra contadini (la festa aveva infatti lo scopo principale di incoraggiare la modernizzazione dei metodi dell’agricoltura) e alla mostra del bestiame, infine il terzo era dedicato alle scuole fondate da Puccini (e che avevano sede nello stesso parco della villa), con gli studenti che erano chiamati a dare saggi di ciò che avevano appreso durante l’anno. La festa rappresentò tuttavia, come ha notato lo storico Marco Manfredi, il segno più evidente dello spostamento delle convinzioni politiche di Puccini su posizioni molto più moderate rispetto a quelle che aveva tenuto in gioventù, in quanto “pregna di riferimenti devozionali e largamente aperta ai preti, nell’intento di esaltare l’utilità della religione per la tenuta dell’ordine sociale e politico”, e dunque esemplificativa di un’attenuazione “degli umori schiettamente laici precedentemente condizionati dall’influsso di figure quali Pietro Giordani oppure [Giovanni Battista] Niccolini”. La Festa delle Spighe proseguì sino al 1846, quando fu interrotta per le mutate condizioni politiche: Puccini, si legge in un articolo del 1908, aveva “rilevato che le lotte politiche avevano distolto la gioventù dalle arti della pace e da quella tranquillità senza la quale non può fiorire l’agricoltura”. È stata però fatta rivivere in tempi recenti: nel 2022 infatti è stato organizzato, proprio nel parco che fu della villa Puccini, un’omonima “Festa delle Spighe” ispirata a quella indetta per sei anni dal grande filantropo pistoiese.
Oggi, il parco non è più quello dell’epoca di Niccolò Puccini, perché dopo la sua scomparsa non tutto andò come aveva previsto. Come detto, il mecenate aveva lasciato tutti i suoi averi all’orfanotrofio di Pistoia, ma i suoi eredi legittimi impugnarono il testamento e ne sortì una vicenda giudiziaria che portò alla messa all’asta della villa e del parco nel 1862. Due anni più tardi, la tenuta fu frazionata fra trenta diversi proprietari, col risultato che il parco cambiò irrimediabilmente la sua fisionomia e gli edifici che ne facevano parte, come il castello, il tempio gotico, il Pantheon, furono destinati agli usi più disparati (il Pantheon per esempio diventò addirittura un fienile), diversi monumenti vennero rimossi, e negli anni successivi molti appezzamenti vennero abbandonati e lasciati nel degrado. Il colpo di grazia giunse negli anni Sessanta, quando la speculazione edilizia alterò in maniera definitiva il parco. Ad ogni modo, il parco, “fonte a suo tempo di ispirazione per il parco di Celle a Santomato”, come leggiamo nel sito (oggi infatti il giardino è tornato a rivivere proprio col nome di “Parco Puccini”), “soprattutto nella parte di proprietà privata del Dott. Guglielmo Bonacchi, è riuscito ad evitare il destino di tanti altri parchi storici, vivi solo nelle memorie letterarie, e ha potuto così godere del recupero del proprio linguaggio compositivo prima vegetale, poi architettonico. Lo stesso si può dire per l’opera di restauro del Pantheon, su iniziativa individuale dell’erede Guglielmo Bonacchi, tesa a recuperare in forma storico-filologica le strutture e le decorazioni dell’importante edificio neoclassico, nei limiti di una restituzione conservativa memore della necessità di consolidamento e di comfort moderno. È stato così recuperato nella sua essenzialità strutturale un neoclassicismo venato di palladianesimo con sensibilità vibratile di modanature e di proporzioni”. Purtroppo non è stato possibile recuperare “nella sua totalità il tessuto di busti, cippi, monumenti che all’interno e fuori [...] contribuiva a esaltare la memoria romantica del passato e l’ideale ‘sublime’ del bello per il dilatarsi della vita individuale nella più vasta sfera nazionale”. Il riassetto del parco ha altresì ridato evidenza ai percorsi e ai monumenti. In tal modo il sogno del generoso protettore degli studi e delle arti continua a vivere e il giardino è tornato a offrirsi come “dimora-rifugio di lontananze oniriche e di sensazioni cosmiche”.
Cosa ne è stato invece degli arredi della villa, e della villa stessa? La parte della collezione d’arte che non venne venduta dopo la scomparsa di Niccolò Puccini è pervenuta nel 1914 al Museo Civico d’Arte Antica di Pistoia: oggi è esposta all’ultimo piano del museo. Anche la villa, insieme a una parte del parco (quella che comprende il lago grande e l’isola con le rovine del tempio di Pitagora) è diventata proprietà del Comune di Pistoia e ai giorni nostri prosegue la vocazione educativa perseguita da Niccolò Puccini: è infatti sede della Scuola di Musica e di Danza “Teodulo Mabellini” e della Fondazione Accademia di Musica Italiana per Organo. In parte, dunque, l’animo del grande benefattore continua a sopravvivere tra le mura della sua casa.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERGli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
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