30 agosto 2018 la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami a Roma, situata nelle vicinanze del Campidoglio, subì un grave danno: a seguito di un crollo della copertura, lo splendido tetto cassettonato secentesco dell’edificio cadde, andando completamente distrutto. Un capolavoro in legno dorato con intagli progettato dall’architetto e scultore Giovanni Battista Montano (Milano, 1534 - Roma, 1621) e realizzato intorno al 1611, che i fedeli e i visitatori potevano ammirare in tutta la sua ricchezza di dettagli lungo la navata centrale: una Natività campeggiava esattamente al centro, circondata da quattro angeli collocati agli angoli della cornice centrale, mentre nelle cornici laterali, di dimensioni più ridotte rispetto alla scena precedente, erano visibili altre due scene in altorilievo, che raffiguravano san Giuseppe con il Bambino e la Sacra Famiglia (la prima verso la parete di fondo, la seconda verso la controfacciata). Tuttavia, a spiccare su tutte, era la Natività, in cui i personaggi apparivano sotto il tetto di una capanna sovrastato da un coro di angioletti con cartiglio. Su un giaciglio di paglia era Gesù Bambino, a vegliarlo la Madonna, san Giuseppe, il bue e l’asinello e un pastorello in ginocchio.
Fortunatamente e miracolosamente illesa fu invece l’Adorazione dei pastori o Natività di Carlo Maratta (Camerano, 1625 - Roma, 1713), realizzata nel 1650 e collocata in una delle cappelle laterali della chiesa. Un cedimento tuttavia definito inaspettato dallo stesso soprintendente di Roma Francesco Prosperetti, che avrebbe potuto causare una vera tragedia se ci fossero state persone al suo interno (per fortuna al momento del crollo era chiusa), ma con un ammontare dei danni considerevole, di circa un milione di euro.
La chiesa di San Giuseppe dei Falegnami venne costruita tra la fine del Cinquecento e la metà del Seicento su progetto del celebre architetto Giacomo della Porta (Porlezza, 1532 - Roma, 1602). Originariamente l’edificio venne costruito sopra il carcere Mamertino, il carcere più antico di Roma, che si trova nel Foro romano. Qui vennero imprigionati personaggi illustri dell’antica Roma: secondo la tradizione gli apostoli Pietro e Paolo trascorsero proprio qui gli ultimi giorni prima di essere martirizzati. Tra i personaggi più celebri a essere qui rinchisi e che sono morti per strangolamento o per decapitazione, Giugurta re della Numidia nel 104 a.C. e Vercingetorige re dei Galli nel 46 a.C.
La Confraternita di San Giuseppe dei Falegnami, fondata nel 1499, divenuta successivamente Compagnia, aveva preso in affitto nel 1540 la chiesa di San Pietro in Carcere al di sopra del carcere Mamertino per riunirsi e per svolgere le funzioni religiose, ma necessitava di un edificio più ampio e più adeguato. Nell’ultimo decennio del Cinquecento la Compagnia decise quindi di costruire una nuova chiesa dedicata al loro patrono san Giuseppe, da erigere sempre sul preesistente edificio di San Pietro in Carcere e il progetto venne commissionato, come detto, a Giacomo della Porta e a Giovanni Battista Montano; quindi entro la fine del 1602 risultavano concluse la facciata e la copertura dell’edificio. Alla morte di Montano, la Compagnia nominò come suo architetto di fiducia Antonio del Grande per occuparsi del completamento della chiesa e la consacrazione dell’edificio avvenne nel 1663.
Un luogo dunque antico che è parte della storia della città e che custodisce al suo interno vere meraviglie artistiche e architettoniche: il soffitto cassettonato, i dipinti, le cappelle, la splendida cantoria che cattura inevitabilmente lo sguardo di tutti i visitatori. Il crollo aveva distrutto una considerevole parte di un luogo simbolo di Roma, luogo di culto ma anche luogo sede di una corporazione, quindi antico luogo di aggregazione. È grazie al lavoro e alla cura del team di restauratori se ora la chiesa di San Giuseppe dei Falegnami è di nuovo visitabile per poter ammirare i suoi tesori, compreso il soffitto cassettonato, rovinosamente caduto a terra, che fa alzare lo sguardo con assoluta meraviglia. Tutto è stato ricostruito nel rispetto di quello preesistente, con metodi antisismici per proteggere il patrimonio; il restauro del cassettonato e la ricostruzione della parte mancante sono stati compiuti seguendo le più innovative metodologie di restauro e la copertura ricostruita mantenendo le antiche capriate ma con soluzioni strutturali più adatte. A dieci mesi dal crollo il cantiere era già avviato e lo scorso Natale, nel dicembre 2020, si giungeva alla conclusione dei lavori nella quasi totalità: un regalo di Natale per tutta la cittadinanza. E il 19 marzo 2021, giorno in cui si celebra san Giuseppe, si è tenuta con grande gioia la prima celebrazione nella chiesa dopo il crollo e il cantiere di restauro.
Come sottolineato, dal cedimento si era salvata l’Adorazione dei pastori o Natività di Carlo Maratta del 1650: un brano secentesco di delicatezza, di poesia e di dolcezza che tuttora (fortunatamente) incanta tutti coloro che l’ammirano nella sua cappella. Al centro della scena la Madonna dal brillante velo azzurro cinge con il braccio destro, sorreggendogli la schiena, Gesù Bambino e con l’altro solleva con raffinata delicatezza da un lato il bianco tessuto su cui il piccolo è poggiato. Il neonato guarda teneramente sua madre e agita le braccia come per volerla accarezzare e da lui s’irradia una luce intensa e calda che illumina la composizione dal centro verso i personaggi attorno: san Giuseppe sulla destra del dipinto, in piedi con il tipico bastone, i pastori sulla sinistra di cui uno in primo piano di spalle e un altro, più in secondo piano, che porta una cesta sulla testa. Dall’alto, appoggiati su nuvole, guardano la scena puttini alati che vegliano e proteggono il Bambino. La scena rappresentata sembra fermare un attimo della notte santa: è infatti una scena in movimento, tutt’altro che statica, sottolineata dai gesti degli stessi personaggi raffigurati, come il gesto della mano di san Giuseppe che pare proprio voler fermare ogni movimento e ogni sussulto, le manine del Bambino, la Madonna che sembra voler sollevare il tessuto per prendere tra le braccia suo figlio, il pastore con la cesta sta camminando e la stoffa di cui è vestito viene mossa, gli angeli in cielo che stanno volando e uno di questi ultimi agita un ostensorio. Elementi che richiamano tutti l’originale pittura di Carlo Maratta, originario di Camerano, paesino delle Marche nei pressi di Ancona, che fu in grado di fondere la tradizione del classicismo e la teatralità del barocco: è infatti considerato uno degli ultimi grandi esponenti del classicismo secentesco, affascinato tuttavia dall’arte barocca soprattutto romana, dove lui stesso fu molto attivo.
Spesso la Natività di San Giuseppe dei Falegnami viene confusa con un’altra Natività che invece deriva dall’affresco della lunetta nella prima cappella a destra della chiesa di Sant’Isidoro a Capo le Case o degli Irlandesi, nel rione Ludovisi, anch’essa a Roma (in effetti Carlo Maratta dipinse agli inizi della sua carriera la cappella di San Giuseppe nella chiesa di Sant’Isidoro tra il 1651 e il 1656 per volontà del gentiluomo romano Flavio Alaleona), La notte santa conservata alla Gemäldegalerie di Dresda. Secondo alcuni però il dipinto di Dresda sarebbe precedente all’affresco: tuttavia le tre opere (quella di Sant’Isidoro, quella di Dresda e quella di San Giuseppe dei Falegnami) risultano legate. Il pittore, nel periodo della sua formazione, sentiva forte l’influenza di Raffaello, ma in particolare per quel luminismo che tanto caratterizza le sue Natività si ispirò decisamemente all’arte del Correggio e soprattutto alla suggestione creata dall’Adorazione dei pastori, o meglio, dalla Notte, anche questa conservata alla Gemäldegalerie di Dresda: tra i notturni più belli della storia dell’arte. Elemento in comune è il Gesù Bambino cullato tra le braccia della madre che irradia luce e che diventa fulcro dell’intera composizione, attorno al quale le figure che circondano madre e figlio, teneri angioletti alati, sembrano sospese. Nel Vangelo secondo Giovanni, Gesù disse: “Io sono la luce del mondo; chi segue me non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita”; una luce che appare già dalla nascita di Gesù Bambino.
Le Natività della chiesa di San Giuseppe dei Falegnami, ovvero quella rappresentata da Maratta e quella al centro del soffitto cassettonato, sono dunque ora visibili entrambe in tutto il loro splendore, salve per miracolo o grazie al prezioso lavoro dei restauratori. Opere che hanno rischiato di essere distrutte per sempre in un luogo ricco di storia e di tradizioni.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.