di
Giuseppe Adani
, scritto il 22/06/2020
Categorie: Opere e artisti / Argomenti: Arte antica - Rinascimento - Firenze - Quattrocento - Toscana
Assieme a Filippo Brunelleschi, Lorenzo Ghiberti e Donatello, Nanni di Banco può essere considerato uno dei padri della scultura rinascimentale. Un percorso attraverso i suoi meravigliosi capolavori.
Perché Nanni? Perché senza di lui l’aurora del Rinascimento mancherebbe di una luce splendidissima. Perché è necessario riequilibrare la conoscenza delle radici vere del rinascimento stesso. Perché il prossimo anno correrà il sesto centenario della sua morte e Firenze dovrà dedicargli l’anno intero, e occorre sin d’ora una preparazione intensa, a vera amplitudine popolare, affinché ogni italiano e ogni visitatore possa essere pervaso dalla lievitante e incancellabile gioia di conoscerlo. Non sarà necessaria una mostra giacché tutte le sue opere, scultoree, si trovano nel raggio di duecento metri in città, ma gli approfondimenti sono indispensabili. Per di più ora corre il momento storico nel quale (a seguito di accorate istanze dei decenni passati) quasi tutte le opere di Nanni hanno ricevuto un adeguato e luminoso restauro, a cominciare da quello, davvero trionfale, della Porta della Mandorla del Duomo di Firenze. Ricordiamo che Ilaria Baratta e Federico Giannini avevano già dedicato una attenzione particolare a questo Padre del rinascimento. Qui ora poniamo un contributo che è un piccolo racconto, ma pure una meditazione che speriamo utile.
Nanni aveva sposato la sua Nanna, e i due giovani si volevano bene, ma un male misterioso rapì l’illuminato artista nel febbraio del 1421, quando aveva oltrepassato di poco i suoi trent’anni. Fu sepolto accoratamente i Santa Croce, là dove riposano gli uomini amati e meritevoli della città del Fiore. In una piccola lapide egli ci parlò brevemente di se stesso: “Sculptor eram excellens claris natalibus ortus - me prohibet de me dicere plura pudor” (“Sono stato eccellente scultore, nato da chiara famiglia, il ritegno mi proibisce di dire molte cose su me stesso”).
Di suo nonno, che portava l’ardito nome di Banco Falco, sappiamo pochissimo, ma forse era già un distinto cittadino. Di suo padre Antonio sappiamo che fu soprattutto un imprenditore di opere in marmo e probabilmente un lavoratore della pietra in persona: egli fu più volte console dell’Arte dei Maestri di Pietra e Legname, e l’11 Aprile del 1414 giunse ad essere eletto capomastro dell’Opera del Duomo. Nanni dunque venne alla luce tra mazzette sonanti e martelli di rame, tra scalpelli e schegge di marmo, probabilmente nel 1390 o ben poco prima, e a sei anni entrò in bottega secondo il costume d’allora (“bottega come iscuola” si diceva in Toscana): lì succhiò il mestiere con occhi e mani (“tu ’à da rubar con gli occhi”, era la massima per i garzoncelli). Si trovò tra trespoli e cavalletti, tra seste e crocere, tra archipenzoli e manichini, tra bocciarde e violini da trapano; imparò a battere la terra, a impostare le figure, a salire sui balchi per soppesare i “pesi” delle figure libere; poi a mettere le ottonelle per i calchi e a gettare i gessi; infine a bagnare i blocchi del marmo da ogni parte per rapirvi le venature e i magroni, e insieme a capire le profondità delle ammaccature delle punte e delle gradine; a scapucciare gli spigoli e a porre l’affondo fitto delle subbie secondo l’andamento avvolgente del modellato. Divenne abile nel temperare i ferri alla fucina per tagli dolci e più vivi; colse tutte le grane delle finiture in superficie, tra smerigli e raspe. Si fece l’immancabile callo alla radice del mignolo della mano sinistra, sigillo di maestria.
Nel febbraio del 1405 fu immatricolato nell’arte del padre, con giuramento, e questo ci pone di fronte ad una maturità precoce, certo straordinaria in sé ma non unica e fortemente significativa. Due cose non ci dicono le fonti documentarie, ma ci vengono svelate dalle opere: la sua eccezionale vocazione di “statuario” e la sua formazione culturale, che dovette essere alta, di pari grado. Riguardo a quest’ultima dobbiamo pensare a una profonda capacità di giudizio sulle opere dell’antichità classica, e su quelle più recenti della magnifica scuola pre-umanistica pisana, e pure di Jacopo della Quercia. Una formazione che comprese la forte meditazione biblico-religiosa, lo studio anatomico di autentica novità e naturalezza, i viaggi di conoscenza e l’acuta facoltà selettiva nel gioco osservante dei continui confronti formali.
Se i Padri del rinascimento vengono considerati giustamente “geni dell’arte”, tra questi Nanni viene inserito a pienissimo titolo. Ricordiamo dunque i nomi dei tre compagni che ebbe sulla strada della sua giovinezza: Filippo Brunelleschi (Firenze, 1377 - 1446), Lorenzo Ghiberti (Pelago, 1378 - Firenze, 1455), Donatello dei Bardi (Firenze, 1386 - 1466). Siamo di fronte a quattro Padri, a quattro scultori, ciascuno con una specifica personalità ma tutti dotati di quella inseparabile sovra-vocazione per concepire i complessi inerenti alla scultura (le facciate, le porte, gli altari, le cappelle, i tabernacoli, i pulpiti, ecc.). Un gruppo formidabile che guardava all’antico e che simultaneamente sceglieva, con spirito modernissimo, il “ritrarre di naturale”. Filippo di preferenza ruminava le forme del costruire e i percepimenti oculari; Lorenzo s’immergeva in una dolcitudine estrema, di straordinaria capacità comunicativa; Donato era scosso dalle sue inquietudini che gli regalavano effrazioni e capolavori. Nanni (il più giovane, posseduto da una forza mirabile) si appuntò precipuamente sulla figura sola e sul marmo, sul corpo ricolmo di vita: l’Uomo!
Dobbiamo dare un veloce quadro esistenziale e lavorativo di Nanni. L’immatricolazione poteva avvenire a quindici anni, e questo lo si può riconoscere dai documenti; continuò a lavorare col padre e con i numerosi collaboratori dell’impresa, sempre necessari ad affrontare i blocchi del marmo. La sua mano e le sue opere si distinsero ben presto. Abbiamo poche note sulle committenze e questo ha dato luogo a datazioni a volte troppo diverse su stesse figure da parte di studiosi: ne diremmo quasi un segno di riconoscimento, almeno, sulla coerenza di stile nella continuità di Nanni. Tutto il suo corpus esecutivo rimane nei quindici anni tra il 1406 e il 1421. Fu persona socialmente assai attiva, e più volte Console dell’Arte dei Maestri della Pietra. Ebbe incarichi civici di seria importanza: fu eletto ripetutamente a podestà in alcuni centri esterni della Repubblica fiorentina; rivestì il ruolo di “ufficiale di notte” in città ed entrò pure fra “i sedici” che erano i Gonfalonieri di Compagnia (di grande autorità, dicono gli antichi Statuti). Ricevette pubblica stima e potè dare garanzie economiche per Donatello, suo amico. È documentata, con relativa ricompensa, la sua collaborazione con Brunelleschi per il modello della cupola del Duomo; notizia questa che lo assicura sul gradito più alto di quella “renovatio” che Firenze stava elaborando al cospetto del mondo. La morte precoce gli impedì uno sviluppo di opere e di fama: rimangono di lui i pochi capolavori marmorei.
S’impegnò in due fasi sulla solenne Porta della Mandorla, lunga opera strutturale del padre sul fianco sinistro del Duomo, di fronte all’arrivo della più tipica via dei pellegrini: nella sua primissima giovinezza, eppoi negli anni della piena attività. Mentre il padre sviluppava gli sguinci, o stipiti salienti dell’opera monumentale, Nanni si fece la mano negli intagli decorativi (decorativi sì, ma quantomai significativi in senso creaturale e storico) così virenti e tattili, e in essi osò con naturalità pungente inserire tra le altre figure la presenza mnemonica dell’eroismo ellenico (Heracle più volte) quale testimonianza del “tempo dell’attesa” nella vicenda alta e classica dei popoli “gentili”.
Con le figure seguenti siamo nella prima fase (anni 1406 - 1407). Cogliamo innanzitutto la visione generale della Porta, eppoi i particolari del fregio, e infine il celebre Profetino, al quale fece riscontro una analoga figura, più raccolta, di Donatello (oggi entrambi al Museo del Duomo).
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Firenze, Porta della Mandorla sul fianco sinistro del Duomo, già frequentatissimo accesso a Santa Maria del Fiore davanti all’attuale via Ricasoli, antico percorso dei pellegrini. Insigne opera marmorea di Antonio di Banco e del figlio Nanni (1391 - 1423). La veduta dimostra il recente restauro, curato soprattutto da mons. Timothy Verdon. Sui pilastrini di fianco alla ghimberga mancano i due profetini, ora tenuti nel Museo dell’Opera del Duomo.
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Queste due figurazioni di Ercole, oggi conservate nel Museo, testimoniano la pienezza dell’assunzione classica nella formazione e nell’animo di Nanni. Sono il primo magnifico stendardo posto precocemente a illuminare l’acerbitudine volitiva del rinascimento italiano.
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Nanni, Nudo di spalle nei fregi della Porta della Mandorla. Una sorprendente e quasi incredibile versione del lato morbido del corpo maschile (forse un Asclepio, dio delle guarigioni, con il suo serpente) che, sul limitar dell’occaso medioevale, ci ridona le dolcezze sensuali dell’ellenismo sereno.
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Il Cristo in pietà (o Uomo dei dolori) alla sommità del fregio della Porta della Mandorla. Figura stupenda che segna l’immediato raggiungimento armonico dell’anatomia in rilievo. Qui Nanni apre davvero il rinascimento. Da queste opere possiamo apprendere come Brunelleschi volle legarsi all’amico per le sue ricerche ideali e strutturali.
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I Profetini della Porta della Mandorla (1404 - 1407). Sono i celebri apriporta del rinascimento in Firenze, ora conservati nel Museo del Duomo. Primo compimento commovente dei due giovanissimi amici. Quello di sinistra è riconosciuto a Donatello, quello di destra unanimemente a Nanni: entrambi rivelatori della vocazione alla “scultura completa”, ossia alla statua. Infatti la figura marmorea sola e stante è, per gli uomini nuovi della rinascenza, la concentrazione compendiaria di ogni virtù esprimibile, e, nello stesso tempo, il dominio dello spazio attorniante, la sua qualificazione concettuale. Il profetino di Nanni si aderge con intima maestà sull’altissimo pilastro, segno di intemerato possesso della voce di Dio. La sua composizione è perfetta: nasce innervata come un virgulto che cresce, sospingendosi dal piede sinistro e roteando con misurata fermezza, per concludersi in una assialità dinamica, sublime. Il tutto è equilibrato dalle membra e dai panneggi. Ecco l’inviato da Dio, l’ispirato, il sereno profeta! L’amico Donatello, qualche anno più tardi sceglierà per il suo famoso San Giorgio a Orsanmichele, la postura precisa di questo assoluto prototipo.
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Vediamo adesso le tre grandi figure statuarie che furono richieste a Nanni immediatamente dopo il suo primo impegno alla Mandorla. È importante ed è significativo vedere come il 24 gennaio del 1408 da parte degli Operai del Duomo Nanni venga designato come autore dell’Isaia da porre sugli sproni della tribuna settentrionale, dunque all’aperto, in alto, e come un mese dopo venga interpellato Donatello “alle stesse condizioni di Maestro Nanni” per l’inconvincente David che ora sta al Bargello. Anche l’Isaia, terminato nel dicembre dello stesso anno, non raggiungerà gli sproni ma verrà posto in Duomo.
Il 19 dicembre 1408 gli stessi Operai deliberano l’esecuzione di tre Evangelisti per la facciata del Duomo, assegnati a Nanni, Donatello e Nicolò di Pietro Lamberti: il quarto sarebbe stato riservato in premio al migliore dei tre. Non andò così ed evitiamo di seguire l’intricata vicenda. Nanni terminò il suo San Luca alla fine del 1412 mentre Donatello, più svogliato e ripetutamente sollecitato, consegnò il San Giovanni due anni e mezzo dopo. Si trattò di un secondo confronto fra i due amici, dopo quello dei profetini della Mandorla.
L’immagine del San Filippo si inserì come incarico dell’Arte dei calzaturieri e fu occasione per Nanni di immedesimarsi nello spirito di quell’apostolo che, in rapimento mistico, chiese a Gesù di poter vedere il Padre. Il Vasari stesso, pur incline alle divagazioni cronachistiche, notò la “buona grazia e vivezza nella testa”. Si trattava per lo scultore di dare un’intenso moto di spirito ad una figura di destinazione monumentale: la prima che dovette comparire per lui in un tabernacolo ufficiale sull’esterno di Orsanmichele. E non fu una prova dimenticabile, dal deliziosissimo puttino del fregio della base del Tabernacolo allo straordinario Creatore della ghimberga: due immagini precoci, nettissime, tali da riempire il cuore all’alba del rinascimento italiano.
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Nanni di Banco, Sant’Isaia, dettaglio della testa (1408; Firenze, Duomo, navata destra). Un compito difficile che doveva tener conto della notevole altezza sul vuoto al quale la statua era destinata: una figura massiva e potente dunque, ma pure mossa, per giocare con la forte luce. Pare infatti che sia stata collocata sugli sproni della tribuna, ma poi ritirata in terra. Lo scontro ideale che ebbe Nanni fu quello col maggior profeta della storia divina, e come trarlo dal marmo; lo scultore si appuntò soprattutto sull’intensità del volto, che qui mostriamo, e lo volle teso nella premenza del messaggio di Dio da proclamare, e con l’occhio fiso agli sconcerti del mondo. Ecco il suo profilo impressionante.
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Michelangelo, David, dettaglio della testa di profilo (1501-1504; Firenze, Galleria dell’Accademia). Il giovane Buonarroti, che conosceva a memoria l’intera Divina Commedia, si era egualmente fornito di una cultura figurativa strepitosa, incisiva e selettiva al sommo grado. Con certezza aveva guardato a Nanni come ad un maestro ideale. Ed ecco il profilo del David, non immemore dell’assoluto porgersi dell’antico Isaia.
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Nanni, San Luca (1409-1412). È il primo grande monumento del Rinascimento italiano. Figura solenne, ampia, perfetta, simbolo totale della nuova concezione della persona terrena come si formò nel gruppo antesignano dell’umanesimo. Nanni ne fu il radioso interprete. L’Evangelista, scriba mansuetudinis Dei, è pienamente consapevole della sua missione, sereno nel suo volto indimenticabile. Nulla ha più dei vieti paludamenti gotici, delle barbe e dei riccioli. Egli è essenzialmente pensiero!
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San Luca di Nanni e San Giovanni evangelista di Donatello. La ripresa fotografica è precedente all’attuale sistemazione e definisce alcuni aspetti. A ciascuno scultore fu affidato un blocco marmoreo alto cm. 205 ma spesso soltanto cm. 52. Una difficoltà notevolissima in questo rapporto, tanto più che i profeti dovevano apparire a figura intera e seduti. Nanni definisce in pienezza ogni parte, mentre Donatello taglia le spalle del suo San Giovanni, lo piega in avanti e lo incruccia nelle sue cifre apocalittiche; così deve tenere innaturalmente in diagonale la sua barba. Qui Nanni è pienamente maestro!
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La testa e il volto del San Luca. Un capolavoro tenuto alto e isolato, ripreso stupendamente dal cànone di Lisippo. Qui l’Uomo di Dio è anche il cólto rètore latino, ed è il fiorentino protagonista della nuova, radiosa età civile.
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Nanni, San Filippo (1409 - 1411; Firenze, Tabernacolo di Orsanmichele). Tra il 1408 e il 1409 Nanni ricevette la doppia committenza del Tabernacolo dei Santi Coronati e del San Filippo: terminò prima quest’ultimo per l’Arte dei Calzaioli, e in questa immagine possiamo vedere interamente l’opera dell’artista: da quell’indicibile, tenerissimo puttino del fregio di base alla splendida figura eternale della ghimberga. Il santo corrisponde stupendamente a quanto scrive Giovanni nel suo vangelo (14, 8), quando Filippo, commosso dal desiderio chiede a Gesù: “Mostraci il Padre”. Leonardo, nei suoi disegni e nel Cenacolo riprenderà perfettamente tale rapimento dell’anima, che Nanni qui esprime in modo sublime.
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Al Tabernacolo dei Quattro Santi Coronati dobbiamo una riflessione particolare: fu una commissione eccezionale per la dimensione del lavoro (il più grande tabernacolo di Orsanmichele, ospitante ben quattro personaggi a figura intera) e per la scelta significativa di Nanni come autore da parte della sua stessa corporazione, quella dell’Arte dei Maestri della Pietra e Legname che vi vollero i loro Santi Protettori, martiri. Ma al di sopra degli altri nobilissimi lavori, tutti religiosi, qui Nanni esibì un pensiero potente che trascese la semplice celebrazione dei patroni; egli infatti concepì il sommo valore della solidarietà spirituale e s’impegnò figurativamente all’affermazione del concetto di unità nella chiesa e nella società umana.
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Nanni, Tabernacolo dei Maestri della Pietra e del Legname (1408 - 1413; Firenze, Orsanmichele). Il Tabernacolo diventa quasi una cappella, una spaziosa aedicula di carattere aulico, adornata sugli stipiti e su tutte le pareti dal drappeggio imperiale: un segnale d’altissimo onore. Vi si distende la mentalità vetero-classica di questo padre del rinascimento che s’impone vieppiù nella illibata maestà dei Santi scultori che rifiutarono per fede di servire agli idoli pagani.
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I Quattro Santi Coronati dopo il restauro (Firenze, Museo di Orsanmichele). La firmitas romana dei testimoni del Vangelo risalta totalmente nel colloquio che salda le loro menti in una unità indefettibile. Ecco un cenacolo di spiriti! Questa è la meraviglia monumentale dell’ineunte nuova stagione dell’arte. Al limite del primo decennio del Quattrocento la potenza del manifesto statuario di Nanni si riversa con forza nel gruppo, appunto, dei novi homines che l’accompagnano.
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La cupola di Santa Maria del Fiore, Firenze (1420-1436). La vediamo come sinus Virginis, come statuizione dell’unità della Chiesa. È stringente pensare che Nanni ha contribuito sin dall’inizio al progetto di questa cupola.
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Masaccio, la scena del Tributo, particolare (1424-1427; Firenze, Cappella Brancacci al Carmine). Qui gli Apostoli, significanti al Chiesa, fanno cerchio intorno a Cristo come idealmente lo fanno i Quattro Santi Coronati. La ripresa di Masaccio da Nanni è evidente ed emblematica, con eguale impeto storico.
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Particolare dei volti dei Protettori dei Maestri della Pietra. La possanza etica di Nanni si concreta nelle forme monumentali di piena virtù spirituale, laddove i santi convenerunt in unum! Un raggiungimento che si pone come cardine nella presenza artistica di tutti i tempi.
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Fregio di base del Tabernacolo dei Maestri della Pietra e del legname a Orsanmichele. Quasi un dono amorevole di Nanni e un documento di costume lavorativo. Ecco la bottega dei lavoratori del marmo.
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Il Sant’Eligio di Nanni è il paradigma di ogni figura statuaria, sola e stante. Un assoluto nel lavoro di uno scultore, che il giovane artista raggiunge in un momento ancora precocissimo per l’umanesimo rinascimentale. A parere di Paolo Vaccarino (al cui fondamentale volume “Nanni”, 1950, rimandiamo per ogni lettura) questo tabernacolo è l’ultimo dei tre eseguiti per Orsanmichele, probabilmente già iniziato nel 1414, prima del San Giorgio di Donatello, e portato avanti mentre era in gestazione effettiva il progetto della cupola di Santa Maria del Fiore. Una statua, un uomo, un santo protettore dei lavoratori del metallo: i maniscalchi e gli orafi. Parlare degli orafi a Firenze significa toccare la scaturigine di ogni maestrìa nelle arti, e di ogni raffinatezza e beltà. Questi scelgono Nanni per il loro Sant’Eligio che li dovrà rappresentare agli occhi di ogni visitatore, di ogni mercante, di ogni personalità che sarebbe venuta in Firenze! Siamo al vertice dell’impegno di rappresentanza, con ogni implicazione che esso comporta. E il Sant’Eligio dominerà con suprema dignitas sovra alle menti di ciascun riguardante.
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Il Tabernacolo del Sant’Eligio a Orsanmichele. Nettamente inserito nel concavo rimando della nicchia il santo vescovo si aderge con una vitalità di movenza e di presenza che scaturisce dal preciso, calibratissimo appoggio sul piede destro, dal leggero avanzamento dell’altro ginocchio e si raccoglie nella duplice torsione del corpo vivo. La limpida rotazione a perno, accompagnata dal corretto riunirsi delle pieghe sulla cintura, e l’arcatura maestosa del torso dal quale sboccia la testa mitrata, sono sostenute dal bilanciato muoversi delle braccia e accese infine dallo sguardo che copre una lontananza ideale. Nella sua ponderatio ascendente questa è la statua perfetta del primo rinascimento italiano.
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Il Sant’Eligio ripreso da vicino. Dove ogni cosa è essenziale e dove i ritmi si librano in chiasmi musicali.
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Il volto del santo (prima del restauro). Da questa intensità mentale di dominio dello spazio nasce tutta l’intrisione semantica della scultura onoraria italiana.
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Il grande frontone triangolare (ghimberga), fastoso e lavoratissimo, che corona l’architettura della Porta della Mandorla è l’ultima opera di Nanni, condotta dal 1414 al 1420 con le necessarie interruzioni per ultimare gli altri lavori e per le assenze dovute ai suoi incarichi civici. Impresa nobilissima e “rarissima” come dice il Vasari, compendia nella mirifica visione tutto il magistero creativo dell’artista, tutta la sua cultura teologale e fattuale, e certamente la piena emozione del suo cuore. Gli Operai di Santa Maria del Fiore valutarono questa realizzazione con una cifra oltremodo elevata, completando il pagamento a Nanna, unica erede. La scena rappresenta l’Assunzione di Maria, dunque la massima gloria e il massimo onore della Madre di Dio. La “mandorla”, dolce retaggio della simbologia antica, è il segno della celestialità del personaggio racchiuso e del fulgore di luce che da esso emana. L’ascesa al cielo di Maria, portata dagli angeli, avviene dunque fra terra e cielo ad opera di una osannante e musicale schiera di angeli, in un concerto di felicità, fra il vento che agita vesti e membra, e che concorre al richiamo di un trionfo spirituale che è pure un trionfo dell’arte. Il recente restauro ha ridato splendore alla meraviglia corale del precoce secolo XV.
La parte terrestre è rappresentata dall’estasiato san Tommaso, figura spontanea e complessa, che riceve il cingolo della Vergine, e dall’orso ignaro (ammonimento ai mortali) che si perde nelle dolcezze del favo di miele. Ma la meraviglia totale dell’opus magnum è data dall’intera energia sovrumana degli angeli, dalla freschezza incredibile di ogni corpo, di ogni movenza, e dalla luce che tutto vivifica. Qui Nanni celebra la sua amata scultura raggiungendo davvero il superamento temporale delle forme, ossia un’arte pienamente senza tempo.
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Il frontone sommitale (ghimberga) della Porta della Mandorla (1414 - 1420). Questo inno supremo alla vicenda umana di Maria, che asconde e certifica la vicenda di ognuno di noi armato di charitas, nasce creativamente da una divinazione che Nanni ha ottenuto dalla propria fede e dalla propria cultura: un incontro che trasfigura la imaginatio medievale in un pieno rinascimento che si sospinge oltre ogni confine temporale.
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Nanni, Il volto di Maria nell’Assunzione della Porta della Mandorla. Una creazione mistica e regale di una umanità viva e consacrata. Una cogitatio nuova per un volto umano di una purezza sublime, di Colei che “ad aethéreum thálamum” viene elevata.
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Michelangelo. Il volto di Maria nella Pietà vaticana (1497-1499). Lo sguardo balenante del giovane Michelangelo non mancò di rapire il modello al grande predecessore. Così il secolo XV si apre e si chiude con l’altissimo linguaggio dei due Maestri.
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L'autore di questo articolo: Giuseppe Adani
Membro dell’Accademia Clementina, monografista del Correggio.