La crisi innescata dal coronavirus ha innegabilmente sconvolto ogni settore del fare umano, spesso costringendo a ripensare metodi e approcci. I luoghi della cultura non hanno fatto eccezione; e se nel periodo di lockdown l’esigenza è stata quella di riuscire a comunicare e divulgare il patrimonio culturale sperimentando nuovi metodi di mediazione, soprattutto attraverso la digitalizzazione, ora l’esigenza è invece quella di assicurare il proprio servizio culturale tutelando la salute di visitatori e lavoratori. La crisi ha portato un proliferare di riflessioni intorno al futuro incerto dei musei, poiché depauperato dai grandi flussi turistici e afflitto invece da nuovi sforzi economici da affrontare, in termini di tutela, manutenzione e adeguamento alle nuove norme sanitarie. Benché tornare ad un’apparente situazione di normalità sembra essere l’obiettivo principale, non sono pochi coloro che hanno evidenziato che ciò non basterà, poiché le istituzioni culturali sono chiamate ad affrontare nuove sfide che non è possibile prorogare. Già a marzo in un’intervista su Finestre sull’Arte, il direttore degli Uffizi Eike Schmidt aveva posto la retorica domanda se davvero fosse sufficiente tornare alla situazione precedente.
I musei erano già stati invitati da tempo ad affrontare le nuove sfide che il XXI millennio ha portato con sé: la digitalizzazione, contrastare il turismo di massa in favore di un turismo sostenibile non più a favore di poche città d’arte, la destagionalizzazione, nuove politiche culturali che coinvolgano le comunità locali, un’offerta che sappia far coesistere divulgazione e ricerca con momenti di intrattenimento; per citarne solo alcune. Se ovviamente non può esistere una soluzione univoca per rispondere a questi compiti, si rende comunque necessario vagliare nuove alternative ai concetti tradizionali di museo e monumento: ne sono un esempio gli ecomusei.
Uno straordinario contributo sul futuro dei musei fu postulato qualche anno fa dallo scrittore turco e premio Nobel Orhan Pamuk, che nel luglio del 2016 aprì la XXIV Conferenza dell’International Council of Museum (ICOM) con un discorso che si configurava come un decalogo di buoni propositi da adottare dai musei: “[…] il futuro dei musei è all’interno della nostra casa. La situazione è assai semplice: siamo stati abituati ad avere l’epica ma quello che ci serve sono i romanzi. Nei musei siamo stati abituati alla rappresentazione, ma quello che ci serve è l’espressione. Siamo stati abituati ad avere i monumenti, ma quello che ci serve sono le case. Nei musei avevamo la Storia, ma quello che ci serve sono le storie. Nei musei avevamo le nazioni, ma quello che ci serve sono le persone. Avevamo gruppi e fazioni nei musei, ma quello che ci serve sono gli individui”.
Nel suo decalogo, lo scrittore turco insiste sul termine casa, poiché si configura come un archetipo trasversale a praticamente tutte le culture, un luogo intimo e familiare.
A ben vedere, esiste una tipologia museale che si fa carico realmente di questi valori e che spesso risponde alle esigenze di innovazione richieste ai musei, ma al momento non pare godere di grande interesse, in particolare per quanto attiene gli studi. Mi riferisco alle case museo legate alla vita di personalità illustri, ovvero quelle case che assumono un valore simbolico per una determinata comunità, dopo che sono state abitate (anche per un breve tempo) da un personaggio riconosciuto meritevole e la sua memoria degna di essere tramandata alle future generazioni. Sovente, la loro specificità non viene riconosciuta e l’immaginario legato al termine casa museo è quasi totalmente catalizzato su quelle straordinarie case frutto degli sforzi collezionistici di alcuni facoltosi proprietari (ne sono un esempio il Museo Poldi Pezzoli, il Museo Stibbert e il Museo Bagatti Valsecchi).
Eppure, a fronte di questa indeterminatezza terminologica, le case museo legate a personalità illustri stanno vivendo, in Italia e all’estero, una fortunata stagione: sono infatti centinaia le case museo afferenti a questa tipologia aperte nel corso degli ultimi due decenni, inoltre sono sempre più spesso al centro della programmazione culturale dei territori, soprattutto in occasioni di importanti celebrazioni, divenendo teatri privilegiati delle commemorazioni di grandi personaggi, come la casa di Raffaello a Urbino quest’anno e la casa di Leonardo a Vinci nel 2019.
Ad oggi risulta difficile avere dei dati complessivi sulle case museo relative a questa tipologia, tuttavia da tempo alcuni soggetti sono impegnati nella promozione di circuiti che raccolgono le case di uomini illustri, con l’intento di valorizzarne la conoscenza, nonché di creare itinerari turistici e culturali, e ci permettono di avere un’idea sulla portata del fenomeno.
Il DEMHIST (demeures historiques) è un comitato ICOM nato nel 1997 con l’obiettivo di tentare una riorganizzazione sistematica dello sfaccettato mondo delle case museo. Nel tempo ha proposto nuove classificazioni individuando varie sotto-tipologie, tra cui proprio “case di personalità illustre”, “case di collezionisti”, “case del clero”, “case dedicate ad eventi storici”, e così via. Il DEMHIST si fece promotore anche della redazione di un repertorio di oltre 150 case museo nel mondo, di cui 26 appartengono alla tipologia “casa di personalità illustre” (mentre il portale Museo Italia enumera oltre 102 case afferenti a tale tipologia).
Spesso le case museo vengono raccolte in reti circoscritte sulla base delle professioni, delle virtù, delle vocazioni per cui il loro abitante è divenuto illustre. Si sono creati quindi studi, pubblicazioni e ricerche, repertori e itinerari di “case di scrittori”, “case di santi”, “case di politici” e altri.
Le case di scrittori sembrano essere in numero maggiore sia a livello Europeo che in Italia. Nel 2007 le maison d’écrivains in Francia erano oltre 203, mentre oltre 60 in Italia. Ad oggi il sito www.casediscrittori.it conta più di 150 luoghi musealizzati tra case e parchi letterari dedicati alla memoria di scrittori celebri.
In Italia, particolarmente attive sono “Le Case Museo dei poeti e degli scrittori di Romagna” e l’Associazione "Case della memoria". Quest’ultima si è costituita ufficialmente a Prato nel 2005, promossa dalla Regione Toscana e da Casa Boccaccio, e oggi conta 76 case sparse in 12 regioni, anche se non tutte sono però adibite a museo. Nel 2015 l’associazione ha sottoscritto a Firenze il Protocollo di collaborazione europea fra l’Associazione Nazionale Case della Memoria, e numerose case museo dando vita ufficialmente al Coordinamento Europeo delle Case della Memoria.
La casa natale di Raffaello a Urbino rappresentata dal pittore Jean Auguste Dominique Ingres è pubblicata sul giornale Gazette des Beaux Arts (1837) |
Nel disegno di Giuseppe Moricci Giotto parte dalla famiglia per recarsi a Firenze accompagnato dal suo maestro Cimabue (1876, collezione privata) la scena è ambientata con la casa natale dell’artista sullo sfondo. |
Ma come nascono le case museo di personalità illustre e quando nascono? Le “case di personalità illustri” sono meta di pellegrinaggi e interesse da tempo immemorabile, basti pensare ai luoghi legati alla vita di Cristo in Terra Santa o alle case dei santi in Italia. Per certi versi una sorta di devozione, anche se prettamente laica, coinvolge pure le case di personalità come letterati, drammaturghi, poeti, artisti, scienziati, e così via. Le case diventano infatti funzionali alla commemorazione e celebrazione delle personalità alla quale il visitatore porge omaggio con la sua presenza, cercando di entrarvi in contatto attraverso il suo spazio di vita.
Sono abitazioni, che talvolta coincidono con emergenze architettoniche di pregio, ma il più delle volte sono anonimi edifici che non spiccano per la loro architettura, né per eccellenze decorative. La loro conservazione è data quindi unicamente dal valore storico e simbolico di cui sono portatrici. Questi edifici smettono di essere spazi ordinari per diventare luoghi dall’alto valore simbolico solo attraverso “l’operazione della narrazione”, come la definisce la studiosa Antonella Tarpino. Le case, conservate dalla comunità, vengono segnalate con targhe, lapidi, epigrafi e busti, e successivamente possono essere riorganizzatein musei, cenotafi o luoghi pubblici.
Non necessariamente la casa deve essere appartenuta al personaggio per diventarne il monumento: può trattarsi di abitazioni dove egli è stato solamente ospite, come la casa di Goethe a Roma, ma che la comunità decide di commemorare, legando così l’illustre al territorio. Altre volte, è invece la famiglia dell’illustre a farsi carico del processo di musealizzazione, come è accaduto per la casa natale di Antonio Canova a Possagno, passata in eredità, come il resto dei beni dello scultore, al fratellastro Giovanni Battista Sartori, e riorganizzata trasferendovi mobilio, sculture e gessi provenienti dallo studio romano del Canova per divulgare e commemorare il grande scultore veneto, costruendovi accanto anche una gipsoteca.
Se il modello da cui sono desunte le case di personalità illustri è stato traslato dai luoghi legati alle personalità religiose, il culto laico della personalità sui luoghi da egli esso abitati è un fenomeno comunque molto antico.
Uno dei primi casi che si ricordi è legato alla memoria del Petrarca, che nel 1350, di ritorno da Roma, decise di fare una breve sosta nella sua città natale, Arezzo. Accolto con tutti gli onori, nella sua visita fu condotto davanti la sua casa natale, già posta sotto protezione dal governo municipale, che ne vietava modifiche.
La casa abitata dal poeta ad Arquà fu probabilmente il primo caso di musealizzazione di un’abitazione legata a una personalità laica. L’edificio, nel 1564, venne infatti acquistato da un nobile padovano che lo arricchì con affreschi e pitture dedicate alle opere del letterato. All’interno della casa si poteva visitare lo studio del poeta nel quale si trovavano, e si conservano ancora oggi, oggetti appartenuti a Petrarca, tra cui la curiosa mummia della gatta del poeta
In seguito, la pratica di visitare e ricordare le case appartenute a personaggi illustri si consolidò, soprattutto con il fenomeno del Grand Tour.
Il “laboratorio dei colori” nella casa di Giotto a Vespignano (Firenze) dedicato alle attività didattiche |
La casa dove Petrarca visse gli ultimi anni della sua vita ad Arquà (Padova) |
La casa natale di Leonardo da Vinci ad Anchiano (Vinci) |
La casa natale di Antonio Canova fa parte del Museo e Gypsotheca di Antonio Canova a Possagno (Treviso) |
La camera da letto con la culla appartenuta al poeta nel Museo Casa Pascoli a San Mauro Pascoli (Forli-Cesena) |
Questa pratica divenne sempre più comune negli ultimi decenni del XVIII secolo: nella stagione del Romanticismo e con gli echi nazionalistici, le case legate a personalità illustri assunsero una funzione pedagogica e propagandistica. La casa, come luogo dove si manifesta il genius loci, viene promossa dalle istituzioni che offrono la vita dell’uomo illustre come esempio morale e identitario di una nazione. Ne sono un esempio la casa di Raffaello ad Urbino e la casa di Dante a Firenze. In questa politica culturale fondata su un forte coinvolgimento, il valore documentario di autenticità passò in secondo piano, tanto che come nel caso del Sommo Poeta si individuò la casa attraverso ambigue fonti documentarie. Anche il Fascismo continuò questa politica culturale per imporre il proprio “arsenale simbolico”, aggiungendo all’itinerario nazionale nuove case museo, come la Casa di Benito Mussolini a Predappio, musealizzata quando il Duce era ancora in vita, con la ricostruzione degli ambienti famigliari e dotata di un catalogo e di un libro firme. In questo periodo molte case di patrioti e padri della patria furono nominate monumenti nazionali. Dal dopoguerra ad oggi, si è poi assistito ad un proliferare contro ogni previsione di questa tipologia museologica. Inizialmente, i nuovi eroi di cui muselizzare la casa furono i partigiani e gli oppositori al regime, ma a questi si aggiunsero nel corso dei decenni anche i nuovi idoli: sportivi, imprenditori, cantanti, e tanti altri. In una frazione di Firenze, Ponte a Ema, è possibile visitare il Museo del Ciclismo “Gino Bartali”, e altrettanto è stato fatto per l’altro leggendario ciclista Fausto Coppi, nella casa natale di Castellania in Piemonte; mentre ad Acqualagna nelle Marche è possibile visitare la casa museo del fondatore e Presidente di Eni, Enrico Mattei, a Modena invece è stato aperto il MEF (Museo Casa Enzo Ferrari) dedicato alla vita e al lavoro di Enzo Ferrari, fondatore della casa automobilistica.
Insomma, le case museo di personalità illustri hanno avuto un percorso lungo e sfaccettato, che si è fatto portatore di valori molto diversi nel corso del tempo, ma anche di un’idea di museo che ancora oggi resta immutata: la consapevolezza dell’alto valore simbolico dei luoghi, un tempo teatro di vita di personaggi benemeriti, e pertanto particolarmente vocati a coinvolgere il visitatore emotivamente attraverso la sensazione del contatto con l’illustre e con la sua intimità. In questo coinvolgimento basato sulle emozioni il valore documentario e storico talvolta scivola in secondo piano, e le case possono venire allestite con criteri più improntati alla soddisfazione dell’immaginario del visitatore che con criteri storici attendibili, come accadde con la ricostruzione della Casa di Giulietta a Verona, orchestrata da Antonio Avena, in cui furono inseriti arbitrariamente alcuni dettagli architettonici, come il balcone.
Un dettaglio del museo del tenore Enrico Caruso a Villa Caruso Bellosguardo a Lastra a Signa (Firenze) |
La casa natale di Fausto Coppi a Castellania (Alessandria) |
La scrivania di Enrico Mattei conservata nella casa museo (Pesaro-Urbino) |
La casa di Giulietta a Verona |
Il panorama delle case museo offre però interventi condotti in maniere molto diverse tra loro, dalla ricostruzione più o meno deliberata dei luoghi di vita, allo spazio lasciato quasi completamente vuoto con l’intento di valorizzare i pochi elementi rimasti originali, come accade per esempio con la casa natale del pittore Pontormo, nei pressi di Empoli.
Questi edifici spesso sorgono in piccole città, borghi e paesi non interessati da grandi flussi turistici, in luoghi peraltro sovente privi di altre istituzioni culturali, pertanto oltre all’obiettivo principale rivolto alla divulgazione e alla conoscenza della memoria dell’illustre, convivono altre finalità, legate alla valorizzazione del territorio e al divenire luogo di aggregazione e centro culturale per la comunità locale.
Ad esempio, nella casa natale del pittore Cima a Conegliano trovano posto anche un’esposizione archeologica e numismatica, mentre nella casa di Antonio Gramsci in Sardegna si organizzano dibattiti e incontri di vario genere, fra cui approfondimenti sulla condizione dei lavoratori sardi.
Sono musei la cui forza risiede nelle innate qualità narrative e simboliche di cui sono dotati, poiché consentono esperienze tanto diverse quanto differenti sono gli accorgimenti museografici messi in atto. Spesso fanno ricorso alle nuove tecnologie virtuali e multimediali come nella casa di Giuseppe Verdi a Busseto, dove l’ombra del Verdi bambino accompagna il visitatore negli ambienti della sua infanzia. Si fanno così portatori di valori diversi, che nei casi più riusciti riescono a far convivere insieme, il valore simbolico, quello ludico e quello documentario o educativo.
Per questi motivi le case museo di personalità illustri sono un’alternativa museale di grande modernità, infatti rispondono alla definizione di museo fornita dall’ ICOM nel 2007: “Il museo è un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società, e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che effettua ricerche sulle testimonianze materiali ed immateriali dell’uomo e del suo ambiente, le acquisisce, le conserva, e le comunica e specificatamente le espone per scopi di studio, istruzione e diletto”.
Le case museo riescono a veicolare esperienze su testimonianze materiali ed immateriali, quest’ultime spesso marginalizzate in altri generi di musei. Oltre a ciò, con i loro peculiari ambienti ricostruiti o evocati, si inseriscono in un periodo particolarmente fortunato per gli allestimenti storici, che nel XXI secolo vivono una sorta di nuova giovinezza, con il superamento della gerarchia dei saperi e offrendo un approccio multidisciplinare con l’obiettivo di offrire al pubblico contemporaneo una ricostruzione scientifica, ma più empatica, della Storia. Le case di personaggi celebri offrono poi innovative e inedite possibilità di valorizzare il territorio assecondando le richieste crescenti di un nuovo turismo culturale, esperienziale e soprattutto sostenibile, che porti ricadute economiche, culturali e sociali su tutto il territorio, andando a costituire parte di quel “museo diffuso” di cui l’Italia assurge a paradigma in Europa e nel Mondo. Tali musei partecipano a una ridistribuzione democratica dei flussi turistici, costituendosi come un’attrattiva turistica per i piccoli paesi e borghi in cui sono locati; si rivelano strumenti particolarmente duttili per la promozione del territorio, offrendo alla piccola realtà territoriale l’opportunità di avvalersi del richiamo dato dalla fama dell’illustre.
Questi musei portatori di un carico di storie quotidiane e memorie secolari sembrerebbero rispondere alla perfezione alle istanze sollevate dallo scrittore turco Orhan Pamuk nel suo “decalogo di un museo che racconti storie quotidiane”, e si pongono come una delle possibili alternative da cui ripartire per un nuovo turismo culturale sostenibile.
L'autore di questo articolo: Jacopo Suggi
Nato a Livorno nel 1989, dopo gli studi in storia dell'arte prima a Pisa e poi a Bologna ho avuto svariate esperienze in musei e mostre, dall'arte contemporanea, alle grandi tele di Fattori, passando per le stampe giapponesi e toccando fossili e minerali, cercando sempre la maniera migliore di comunicare il nostro straordinario patrimonio.