Tra gli eventi degni di nota di quest’anno nel campo dell’arte è necessario segnalarne uno che è passato forse un po’ in sordina, ma che è interessante per diversi motivi. Si tratta dell’esposizione al pubblico, al museo di Palazzo Rosso a Genova, del nucleo di opere dell’originaria collezione di Maria Brignole-Sale che ancora giacevano nei depositi dei Musei di Strada Nuova. Anche noi ci arriviamo in colpevole ritardo, primo perché la presentazione al pubblico ha avuto luogo a metà dicembre 2015, e secondo perché, oltretutto, siamo andati a vedere le opere per la prima volta tre mesi fa, ma fino a oggi non eravamo ancora riusciti a scrivere qualcosa sul tema. Poco male: vorrà dire che ci giustificheremo (arrampicandoci un po’ sugli specchi, a dire il vero) dicendo che ci piace scrivere le cose con calma... !
Prima di vedere cosa è successo a dicembre occorre ripassare un po’ di storia: nel 1874, Maria Brignole-Sale, duchessa di Galliera ed esponente di una delle famiglie più in vista di Genova, e suo figlio, il marchese Filippo De Ferrari, donano al Comune il sontuoso Palazzo Rosso (oggi sede di uno dei musei più importanti della città oltre che d’Italia), unitamente ai suoi arredi, alla biblioteca e alla ricca quadreria, che include decine di opere d’arte di grandi maestri. La cessione è datata 12 gennaio 1874 e, leggiamo nell’atto, la duchessa di Galliera e il marchese De Ferrari effettuano la donazione con lo scopo di attestare pubblicamente i loro sensi d’amore alla Città di Genova, e di zelo per tutto ciò che può accrescere il decoro e l’utile dei suoi abitanti e la sua fama presso i forestieri. Il Comune di Genova apre dunque il palazzo al pubblico esponendo tutti i quadri della collezione dei Brignole-Sale. I bombardamenti della seconda guerra mondiale costringono però il direttore di allora a riallestire il percorso museale, che da questo momento in avanti rinuncerà a una dozzina di opere destinate a rimanere nei depositi. Si arriva così al 2015: il direttore dei Musei di Strada Nuova, lo storico dell’arte Piero Boccardo, progetta di esporre nuovamente le opere lasciate fuori dal riallestimento. Serve però un restauro, ed è necessario uno sponsor che si faccia carico dell’impresa (relativamente modesta, perché i lavori ammontano a circa trentamila euro). La “sfida” viene raccolta dallo Studio Legale Rubini, che peraltro nel 2016 festeggia i suoi venticinque anni di attività: l’azienda lega così il suo nome all’ultimo tassello che manca per rivedere “il nucleo di dipinti di Palazzo Rosso”, per usare le parole dello stesso Piero Boccardo, “esposto al pubblico e agli studiosi nella sua completezza”.
Alcune delle opere di nuovo esposte al pubblico nelle sale di Palazzo Rosso |
Le opere vengono dunque esposte in una mostra che apre i battenti a dicembre ed è allestita nelle ultime due sale del percorso di Palazzo Rosso. L’esposizione si intitola Mecenati di ieri e di oggi: quelli di ieri sono la duchessa di Galliera e il marchese De Ferrari, che con il loro atto munifico hanno arricchito la città di Genova di un patrimonio artistico di ragguardevoli dimensioni e di altissima qualità, e il mecenatismo odierno è invece pienamente rappresentato dallo Studio Legale Rubini la cui generosità ha permesso il completamento del progetto. Una generosità, è bene rimarcarlo, connotata da grande signorilità, dato che l’intento era quello di supportare un’operazione che non avrà lanciato il nome dell’azienda sulle prime pagine dei quotidiani nazionali, ma che ha avuto un alto valore culturale, per diverse ragioni. Intanto, perché ha permesso di restituire al pubblico l’intera collezione Brignole-Sale, così che i visitatori di Palazzo Rosso possano ammirarla nella sua integrità. Poi, perché diverse opere necessitavano, come anticipato, di restauri che avessero il fine di migliorarne la leggibilità e consentirne il recupero conservativo, dato che in certi casi i dipinti versavano in uno stato di conservazione non ottimale: è questa, peraltro, una delle ragioni per le quali alcune delle opere erano rimaste nei depositi. Infine, perché esporre pubblicamente opere fatte uscire dai depositi significa anche rendere la vita più facile agli storici dell’arte intenzionati a studiarle.
Va sottolineato che non si tratta certo di grandi capolavori: sono per la maggior parte di opere di artisti minori, e per alcune di esse neanche si conosce il nome dell’autore. Questo anche per “sfatare il mito” (e c’era addirittura scritto sul comunicato stampa: segno che evidentemente l’argomento è sentito!) secondo cui i depositi dei musei italiani custodiscono inimmaginabili capolavori di enorme pregio: la verità è che nei depositi ci sono quasi sempre opere che non possono essere esposte per ragioni conservative, oppure opere di rilievo minore che non vengono mostrate nei percorsi aperti al pubblico per ragioni di spazio (non sarebbe autolesionista un museo che lascia nei depositi i pezzi migliori per esporre quelli di qualità inferiore?). Le opere principali, del nucleo di quelle che “mancavano all’appello” per completare l’allestimento della collezione Brignole-Sale, sono due interessanti paesaggi di Carlo Tavella, una Madonna col Bambino di Cesare Corte e una Madonna col Bambino e san Francesco di Lazzaro Calvi. A completamento, troviamo due ritratti di altrettanti membri della famiglia Brignole-Sale (Ridolfo Brignole-Sale e Pellina Lomellini Brignole-Sale) eseguiti dal fiorentino Sigismondo Betti, un Tobia di Eustache Le Sueur, due opere di ignoto veneziano della fine del XVI secolo o degli inizi del XVII (una Ritratto e una Sacra conversazione), una Maddalena penitente di scuola veneta del XVI secolo, un’ulteriore Maddalena penitente di ignoto francese del Seicento, e una copia, anch’essa secentesca, del San Giovanni Battista di Leonardo da Vinci oggi al Louvre. A questo elenco si aggiungono un ulteriore Paesaggio di Carlo Tavella e una Sacra Famiglia con san Giovannino di Bernardo Castello. I restauri sono stati condotti da Franca Carboni ed Elisabetta Latini sotto la direzione di Piero Boccardo e di Paola Traversone della Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio della Liguria.
Bernardo Castello, Sacra Famiglia con san Giovannino (fine XVI sec. - inizio XVII sec.; olio su tela, 115 x 100 cm; Genova, Palazzo Rosso) |
Approfondiamo brevemente alcune delle opere. Di Cesare Corte (Genova, 1550 - dopo il 1619) ci eravamo già occupati in un articolo a lui dedicato: artista condannato dall’Inquisizione per eresia, fu in realtà un pittore la cui eterodossia è difficilmente rilevabile dalle sue opere, a maggior ragione da quella appartenente al nucleo della collezione Brignole-Sale. Si tratta di una Madonna col Bambino di puro carattere devozionale, quasi certamente destinata alla fruizione privata, che in nulla si discosta dall’ortodossia, tanto più che ci troviamo in epoca di Controriforma e le prescrizioni che la Chiesa impartiva agli artisti volevano opere di facile lettura, che muovessero il fedele a provare sentimenti pii e devoti. È il caso di questo dipinto, di semplicità estrema anche per lo stesso Cesare Corte che, dei pittori genovesi del tempo, era di sicuro tra i meno innovativi e tra i più vicini alla tradizione. Un dipinto così tradizionale che per molto tempo è stato considerato semplicemente come dipinto di “scuola genovese”, senza che qualcuno provasse a fornire un nome all’autore. Si tratta di uno dei quadri che hanno subito l’intervento di ripulitura e, con ogni probabilità dopo la Madonna di Lazzaro Calvi (perché non è possibile stabilire con certezza la datazione), è l’opera più antica del nucleo.
Cesare Corte, Madonna col Bambino (fine XVI sec.; olio su tela, 68 x 45 cm; Genova, Palazzo Rosso) |
Di Carlo Tavella (Milano, 1668 – Genova, 1738) si è detto che nel nucleo figurano tre paesaggi. I due principali, il Paesaggio boscoso con uno stagno e il Paesaggio lacustre, sono due opere complementari, in pendant, delle quali peraltro esistono anche i disegni. Tavella era un pittore abituato a raffigurare paesaggi come questi, scene arcadiche in cui i luoghi descritti sembrano più immaginari e ideali che veri (e infatti non si tratta di vedute reali): nella prima tela della raccolta Brignole-Sale vediamo, immersi in un suggestivo bosco lussureggiante, i membri di una famiglia di pastori, con la madre che allatta un neonato e il padre inginocchiato di fronte a loro per assistere alla scena. Più indietro, alcuni pescatori lanciano le canne in un placido laghetto e un paio di pastori conduce il bestiame per un sentiero nel mezzo di una radura. Sopra una collina, stagliandosi contro le nubi velate d’arancio per il sopraggiungere del tramonto, incombe un antico castello. Nell’altro dipinto, in primo piano una mamma col suo bambino conduce un gregge di pecore sulle rive d’un lago sul quale s’affaccia, a sinistra, un villaggio, e che viene solcato nello sfondo da alcune imbarcazioni. Più indietro, altri due pastori riposano all’ombra di un albero. Sono paesaggi luminosi, delicati, sereni, illuminati d’una luce tersa, che rimandano alle esperienze di Gaspard Dughet e ai paesaggi parimenti idilliaci del pittore romano ma d’origini francesi, le cui opere furono attentamente studiate da Carlo Tavella. Opere rilassanti, potremmo dire, di un pittore abilissimo nel raffigurare paesaggi in cui uomo e natura vivono in stretto e proficuo contatto.
Carlo Tavella, Paesaggio boscoso con uno stagno (1710-1720 circa; olio su tela, 99 x 137 cm; Genova, Palazzo Rosso) |
Carlo Tavella, Paesaggio lacustre (1710-1720 circa; olio su tela, 99 x 137 cm; Genova, Palazzo Rosso) |
Infine, merita un’ultima notazione la Maddalena penitente di scuola veneta del XVI secolo. Il dipinto è stato infatti presentato non a restauro completato, ma in fase d’avvio: questo per intenti didattici e divulgativi. I tasselli che osserviamo nell’opera e che sono marcati con numeri che vanno dall’1 al 3, indicano gradi diversi di pulitura, col numero più alto che indica il livello di pulitura più avanzato, e si può facilmente notare come, in corrispondenza dei tasselli marcati appunto col numero 3, i colori siano più luminosi, ma che la stesura della pittura presenti deterioramenti (si nota soprattutto in corrispondenza dei panneggi e delle nubi). Si è così scoperto che l’opera era stata completamente ridipinta per ovviare alla compromissione della pittura originaria: per tale ragione le restauratrici hanno deciso d’interrompere il lavoro, ovvero perché, eliminando la ridipintura, con ogni probabilità non si sarebbe potuta garantire la piena leggibilità dell’opera, dato lo stato in cui versava lo strato di pittura sottostante.
Scuola veneta, Maddalena penitente (fine XVI sec.; olio su tela, 124 x 110 cm; Genova, Palazzo Rosso) |
Per concludere, possiamo dire che il progetto che ha visto la collaborazione di Palazzo Rosso e dello Studio Legale Rubini è un bellissimo episodio che ha scritto un’importante pagina della cultura genovese (e non solo): ci sentiamo di dire che è la dimostrazione di come pubblico e privato possano creare sinergie senza sbilanciamenti, squilibri e clamori, e che da operazioni di questo tipo possano nascere opportunità davvero per tutti, ricordando che il vantaggio dei cittadini dovrebbe essere sempre il primo obiettivo da perseguire da parte di tutti gli attori chiamati in causa. In questo caso è stato proprio così e ci complimentiamo con chi ha reso possibile il “ritorno” dei dipinti nel percorso di Palazzo Rosso consentendo di mostrare al pubblico, per intero, tutte le opere della collezione Brignole-Sale donate alla città di Genova nel 1874.
Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
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