di
Federico Giannini, Ilaria Baratta
, scritto il 23/11/2018
Categorie: Opere e artisti / Argomenti: Ottocento - Max Klinger - Simbolismo
La serie di stampe 'Un guanto' di Max Klinger è una delle prime rappresentazioni di un sogno nella storia dell'arte e sarà destinata a influenzare l'arte del Novecento.
“Klinger si pone a cavallo tra mondi interiori e realtà, in un dialogo tra un dentro e un fuori che è motivo del suo genio creativo. Nelle sue incisioni l’inconscio irrompe nella realtà impadronendosene e divenendo così tangibile. Influenzato da artisti come Arnold Böcklin, dal quale mutuò quel dissidio tra amore e morte che è tra i temi privilegiati del suo percorso creativo, guardò con ammirazione all’arte sorella, la musica, nel tentativo di dare vita all’opera d’arte totale perseguita da Wagner”. Così scrivono, a proposito dell’arte di Max Klinger (Lipsia, 1857 - Großjena, 1920), i due curatori (Patrizia Foglia e Diego Galizzi) della mostra Max Klinger. Inconscio, mito e passioni alle origini del destino dell’uomo, che tra il 15 settembre 2018 e il 13 gennaio 2019, al Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo s’è posta l’obiettivo di illustrare l’importanza dell’arte grafica del pittore, scultore e incisore tedesco. Per entrare nell’immaginifica mente di questo straordinario artista, e per comprendere quanto fossero precoci gli interessi che avrebbero poi caratterizzato gran parte della sua intera produzione a stampa (il già menzionato dissidio tra amore e morte, ma anche l’interesse per il sogno, l’inconscio, le fantasie), è possibile partire da un suo capolavoro giovanile, nonché una delle sue opere più celebri, la serie di stampe intitolata Ein Handschuh (“Un guanto”). Klinger la pubblicò in prima edizione nel 1881 per i tipi di Friedrich Felsing a Monaco di Baviera, ma l’ideazione risale all’anno precedente, e le prime prove a penna sono ancora precedenti, dal momento che furono create nel 1878 (da un Klinger appena ventunenne) ed esposte lo stesso anno a Berlino. Dalla seconda edizione l’artista volle però cambiare il titolo, e la serie diventò così Paraphrase über den Fund eines Handschuhs (“Parafrasi sul ritrovamento di un guanto”). La serie, fin dalla sua prima esposizione nel 1878, ottenne un grande successo.
Protagonista della vicenda, raccontata in dieci incisioni, è lo stesso Max Klinger: Un guanto è una sorta di fantastico racconto autobiografico che prende avvio da una pista di pattinaggio dove il pittore si sta recando. Nella prima incisione, intitolata Ort (“Luogo”) l’artista si autoritrae in compagnia dell’amico Hermann Prell: è l’uomo in piedi a sinistra, con barba e cappotto scuro. Klinger comincia a pattinare sulla pista, quando una donna, davanti a lui, perde un guanto: l’artista si china per raccoglierlo, perdendo il cappello (seconda incisione: Handlung, “Azione”). Da questo momento però il guanto, che il pittore evidentemente non riesce a riconsegnare alla signora (il motivo della mancata riconsegna non viene però esplicitato), si trasforma in una sorta di feticcio che guida Klinger in un allucinato viaggio tra sogni e incubi (terza incisione: Wünsche, “Desiderî”): vediamo la scena d’una tempesta, con una barca che tenta di solcare il mare agitato nel tentativo di recuperare il guanto tra le onde (quarta incisione: Rettung, “Salvataggio”), subito seguita dalla scena del guanto che, da solo, guida un cocchio che procede sulla riva d’un mare adesso calmo e illuminato dal sole (quinta incisione: Triumph, “Trionfo”), un mare che, peraltro, addirittura arriva a riverire il guanto (sesta incisione: Huldigung, “Omaggio”). Nel frattempo, il pittore ancora si dibatte tra gli incubi, con strane creature che lo tormentano mentre dorme e il mare che arriva a lambire il letto nella sua camera (settima incisione: Ängste, “Paure”). Ora però il guanto è apparentemente al sicuro, su di un piedistallo, attorniato da diversi altri guanti (ottava incisione: Ruhe, “Quiete”), ma la pace è destinata a durar poco, perché in breve tempo sopraggiunge un mostruoso uccello che ruba il guanto (nona incisione: Entführung, “Ratto”). La visione si conclude con il dio Amore che osserva il guanto che giace su di una superficie piana (decima incisione: Amor).
La serie è una potente e visionaria narrazione che parla all’osservatore di desiderio e di perdita: il guanto, da feticcio, diventa un oggetto animato, dotato di vita propria, che causa tormento al pittore fin dai primi momenti, per esempio quando, nella terza incisione, Klinger si dispera nel letto della sua camera, col volto tra le mani, probabilmente perché la sua esitazione nel restituire il guanto lo ha separato forse irrimediabilmente dalla donna (che in questa prima visione, con la camera che assume i contorni d’un paesaggio, appare ormai lontanissima, minuscola). Quell’oggetto così comune diventa pertanto una specie d’allegoria amorosa (nel Trionfo si può leggere una sorta di allegoria della dea Venere, tanto che lo stesso carro che trasporta il guanto ha la forma d’una conchiglia: e secondo la mitologia greca, la dea dell’amore nacque proprio da una conchiglia) che lo attrae e lo soggioga allo stesso tempo. Gli storici dell’arte John Kirk Train Varnedoe ed Elizabeth Streicher, che hanno redatto una delle più corpose monografie sulla grafica di Klinger, hanno scritto che Un guanto è un’opera di straordinaria modernità: in particolare, la serie “anticipa di diversi anni gli studi di Freud e di Krafft-Ebing sulle patologie sessuali e sulle perversioni [...]. Il guanto stesso sembra vistosamente freudiano, dal momento che è contemporaneamente fallico (nelle dita) e vaginale (per il fatto che è un oggetto che copre, e ancor più perché sul dorso presenta fessure aperte)”. Sono molte le sublimazioni erotiche che s’incontrano nella storia: la bestia che ruba il guanto può essere interpretata come l’uomo divorato dal desiderio che si prende con forza l’oggetto della sua passione, il guanto che nella quinta incisione guida il cocchio trainato dai cavalli marini mostra un’evidente forma vaginale, e lo stesso guanto che, nell’ultima scena, al contrario assume una forma fallica (benché inerte, a terra, col dio Amore che, con insolite ali d’insetto, gli volge le spalle: forse un’allusione alla morte, o alla fine dell’amore, o alla fugacità dell’innamoramento?). E, come rilevato da Varnedoe e Streicher, sono anche molti gli elementi che anticipano la psicanalisi: gli oggetti inanimati che prendono vita, le naturali dimensioni degli oggetti stessi che s’alterano, il tentativo di dare una struttura a una visione onirica.
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Max Klinger, Ein Handschuh, Tavola 1: Ort (“Luogo”) (1881; acquaforte e acquatinta, 257 x 347 mm)
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Max Klinger, Ein Handschuh, Tavola 2: Handlung (“Azione”) (1881; acquaforte, 299 x 210 mm)
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Max Klinger, Ein Handschuh, Tavola 3: Wünsche (“Desiderî”) (1881; acquaforte e acquatinta, 316 x 138 mm)
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Max Klinger, Ein Handschuh, Tavola 4: Rettung (“Salvataggio”) (1881; acquaforte, 236 x 181 mm)
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Max Klinger, Ein Handschuh, Tavola 5: Triumph (“Trionfo”) (1881; acquaforte, 159 x 327 mm)
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Max Klinger, Ein Handschuh, Tavola 6: Huldigung (“Omaggio”) (1881; acquaforte, 159 x 327 mm)
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Max Klinger, Ein Handschuh, Tavola 7: Ängste (“Paure”) (1881; acquaforte, 143 x 268 mm)
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Max Klinger, Ein Handschuh, Tavola 8: Ruhe (“Quiete”) (1881; acquaforte, 143 x 267 mm)
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Max Klinger, Ein Handschuh, Tavola 9: Entführung (“Ratto”) (1881; acquaforte e acquatinta, 119 x 269 mm)
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Max Klinger, Ein Handschuh, Tavola 10: Amor (1881; acquaforte, 142 x 265 mm)
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Tra i più entusiasti ammiratori della serie dedicata al guanto, vi fu uno dei più grandi artisti italiani del primo Novecento, Giorgio De Chirico (Volos, 1888 - Roma, 1978), che le riservò parole d’elogio in uno scritto intitolato Max Klinger, composto nel 1920: “Nella serie di acqueforti che s’intitola: Parafrasi sul ritrovamento d’un guanto, Klinger al senso romantico-moderno aggiunge una fantasia di sognatore e di narratore, tenebrosa e infinitamente malinconica. Questa serie è un pezzo autobiografico, il racconto d’un episodio della sua vita“. Seguiva poi una minuziosa descrizione delle dieci tavole: ”Una sera, in una sala di pattinaggio su rotelle, Klinger che si trova tra i pattinatori trova per terra un guanto di donna; lo raccoglie e lo tiene. È la prima incisione. Sulla trovata di questo guanto l’artista tesse un racconto favoloso di meravigliosa fantasia lirica. Nella seconda acquaforte, intitolata II Sogno, egli è seduto nel suo letto con la faccia nascosta nelle mani. Il guanto giace posato sul tavolino da notte, presso la candela accesa e in fondo la parete s’è aperta come la scena d’un teatro e appare un lontano e nostalgico paesaggio di primavera. Nelle altre acqueforti seguono altre visioni. Il paesaggio primaverile s’è tramutato in un mare gonfiato dalla tempesta; i cavalloni giungono fino al letto e rapiscono il guanto ed ecco che il sognante sogna di trovarsi in alto mare, solo in un burchiello sbattuto dalle onde, e con un ronciglio cerca ansiosamente di riafferrare il guanto che galleggia sull’acqua schiumosa. Poi si vede ancora il guanto ingigantito, divenuto come uno strano simbolo dei misterioso e assillante amore, vogare in trionfo entro una conchiglia tirata da svelti cavalli marini, di cui esso regge le redini stringendo le lunghe e vuote dita di pelle. Nella seguente acquaforte il guanto è posato sopra una roccia liscia eretta come un’arca in riva al mare. Grandi lampade antiche ardono ai lati e le onde arrivano coperte di rose che riversano ai piedi della roccia. Ma ecco che il sogno diviene affannoso e si tramuta in incubo: il mare invade ancora la stanza del dormiente; i cavalloni giungono fino a lui; egli si rivolta pieno d’affanno e d’angoscia dalla parte del muro e sulle onde, oscurando la luna che scende all’orizzonte, appare il guanto gigantesco e gonfiato come una vela in cui soffia la tempesta; strani esseri marini sorgono dall’acqua e gesticolano ostilmente contro il sognante che vuol profanare l’amato guanto. Ma poi l’incubo del mare si dilegua e il dormiente vede il guanto, ridivenuto normale, posato sul tavolo d’un negozio elegante; dietro il tavolo una fila di rigidi e giganteschi guanti, appesi a una sbarra, forma una specie di barriera e di guardia d’onore. Ma ecco che tra quella barriera passa un uccello mostruoso che afferra col rostro il guanto e vola fuori dalla finestra; il sognante balza dal letto e si precipita, ma l’uccello è già lontano. Nell’ultima acquaforte si vede l’epilogo della favola. Il sognante s’è svegliato: il guanto è sempre posato sul tavolino, presso il letto, e il fanciullo amore s’approssima sorridendo, come per dire che tutto non è stato altro che un brutto sogno”.
Com’è facile notare dal testo di De Chirico, la sua attenzione si concentra soprattutto su due tavole, Wünsche (che l’artista di Volos traduce con “Il sogno”) e Ängste, peraltro le uniche due cui Klinger dà un titolo al plurale. Il critico Adriano Altamira ha notato come questo focalizzarsi, da parte di De Chirico, su queste due incisioni, probabilmente è un riflesso del suo interesse per il tema della stanza che s’apre all’esterno, che diverrà proprio dell’arte di De Chirico stesso (in particolare degli Interni cui il pittore avrebbe lavorato proprio negli anni Venti). Altamira s’inserisce inoltre nel solco di quanti ritengono che le stesse suggestioni possano essere giunte a Max Ernst (Brühl, 1891 - Parigi, 1976), che le avrebbe rielaborate per la scena della cantina presente nel film Dreams That Money Can Buy, una serie di sequenze oniriche ideate da diversi artisti surrealisti (ma ritroviamo il guanto anche in Les hommes n’en sauront rien e ne L’éléphant Célèbes). È stato del resto rilevato come il surrealismo abbia diversi debiti nei confronti delle visioni fantastiche di Klinger: la sua capacità di dare una forma ai sogni non poteva non esercitare un certo fascino. Anche perché le ricerche di Klinger, in tal senso, erano pionieristiche: pochi artisti prima di lui avevano deciso di rendere visibili le visioni oniriche (Grandville nel 1844 con Un autre monde, oppure Odilon Redon nel 1879 con Dans le rêve).
Ancora, De Chirico apprezzava di Klinger la sua capacità d’essere interprete allo stesso tempo del “senso mitico-ellenico” e del “senso romantico-moderno”. L’artista tedesco era, per De Chirico, animato da uno spirito che gli consentiva d’attribuire un corpo reale al mito greco: e per quanto fantastiche fossero le sue visioni, Klinger si basava comunque “sul fondamento d’una chiara realtà, potentemente sentita”, sottolineava De Chirico, che gli consentiva d’evitare d’errare in “delirii e vaneggiamenti oscuri”. L’originalità di Klinger sta nell’aver inteso le sue fantasie come accostamenti di elementi afferenti a mondi diversi, al contrario di quanto accadeva, per esempio, in Redon, artista che trasporta il riguardante in un universo ch’è già lontano dalla realtà, con la quale ha perso quasi tutti i contatti. Klinger, invece, spiazza l’osservatore con associazioni da contesti diversi, anticipando per certi versi anche Duchamp. Ed è forse anche sulla base di queste suggestioni che De Chirico descrive il “senso romantico-moderno” di Klinger come la sua capacità di trovare gli aspetti più profondi del romanticismo anche dal caos della moderna vita della società industriale, laddove per “romanticismo” De Chirico intendeva una sorta di senso di nostalgia che pervade le città europee, una malinconia che avvolge stazioni ferroviarie e porti di mare, la calma d’una notte estiva. È, in buona sostanza, un sentimento forte e profondo, antico e misterioso, che si nasconde tra le pieghe della vita quotidiana, e che troverà una rispondenza anche nelle opere di De Chirico stesso. Il guanto, poi, diverrà protagonista dei suoi dipinti: ne I progetti della fanciulla lo vediamo appeso a un muro di fronte a una serie d’oggetti e accanto a una riproduzione del Castello Estense di Ferrara (che assieme a Torino è per De Chirico la città metafisica per eccellenza: la compresenza d’antico e moderno, la sua storia esoterica, la sua tradizione alchemica) e nel Canto d’amore del 1914, il guanto è appeso a un muro vicino a una testa dell’Apollo del Belvedere. In virtù della sua capacità evocativa (un guanto è un oggetto che appartiene a qualcuno, è un oggetto che s’indossa, è un oggetto che copre), il guanto diviene una sorta d’autoritratto metafisico dell’artista (o un “autoritratto assente”, per utilizzare l’efficace espressione del summenzionato Altamira). Il fratello di Giorgio De Chirico, Alberto Savinio (Atene, 1891 - Roma, 1952), nell’Orazione sul tetto della casa del suo Ermafrodito descrisse una scena ch’è stata spesso accostata al Canto d’amore per tentare d’interpretarne il significato: “poco fa, come fui rientrato nella camera venduta, mi tolsi un guanto e l’inchiodai alla parete. Il guanto penzoloni conserva la forma della mano vuota: io guardo in quel cadavere di mano il mio destino, che non è più che una cotenna sgonfia”.
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Giorgio De Chirico, Interno metafisico (1926; olio su tela, 93 x 73 cm; Mart, Museo Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto)
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Max Ernst, Les hommes n’en sauront rien (1923; olio su tela, 80,3 x 63,8 cm; Londra, Tate Modern)
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Max Ernst, L’éléphant Célèbes (1921; olio su tela, 125,4 x 107,9 cm; Londra, Tate Modern)
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Odilon Redon, Germination, tavola della serie Dans le rêve (1878; litografia, 27,1 x 19,5 cm; New York, MoMA)
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Giorgio De Chirico, Canto d’amore (1914; olio su tela, 73 x 59,1 cm; New York, MoMA)
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Giorgio De Chirico, I progetti della fanciulla (1915; olio su tela, 47,5 x 40,3 cm; New York, MoMA)
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Tornando alla serie di Klinger, occorre sottolineare che, in origine, quando le tavole furono esposte nel 1878 a Berlino nella loro versione a inchiostro, la successione che l’artista aveva ideato era diversa rispetto a quella che avrebbe deciso per la redazione finale (mancava la terza tavola, Paure giungeva per terza, Amor arrivava subito dopo, la scena del Ratto era la terzultima, subito seguita dalla Quiete, e quindi la conclusione era il Trionfo). Tuttavia, per quanto si cerchi di trovare un’interpretazione diversa per l’ordine che Klinger aveva stabilito inizialmente, emerge sempre una natura “volutamente disgiuntiva” (così Varnedoe e Streicher) dove a scene di calma e tranquillità s’alternano immagini d’ansia e violenza, e alla sicurezza seguono visioni colme d’incertezza: sembra che dietro Un guanto ci sia sempre un qualcosa d’inafferrabile. Il mezzo della stampa in bianco e nero è peraltro funzionale a porre in rilievo il carattere eminentemente visionario della serie: nel suo saggio Malerei und Zeichnung (“Pittura e disegno”), Klinger scrisse chiaramente che le opere a colori, su tutte i dipinti, sono idonee a rappresentare il naturale e a restituire gli oggetti così come li vediamo nella realtà. Al contrario, le opere in bianco e nero (disegni e stampe: per Klinger, Zeichnung comprende anche la produzione a stampa) vengono ritenute adatte per dar forma a tutto ciò che è fantasia e immaginazione. E forse è anche per questo che di Klinger ricordiamo soprattutto le stampe: perché nella produzione grafica non si poneva limiti e riusciva a essere straordinariamente moderno e molto più originale che nella produzione dipinta. La storica dell’arte Beatrice Buscaroli, nell’evidenziare la modernità del capolavoro di Klinger, ipotizzava che probabilmente l’artista non conosceva testi psicologici: le sue visioni, riteneva la studiosa, s’accordano semmai allo Zeitgeist dell’epoca, comune ad altri grandi artisti che, come Klinger, furono tra i primi a fornire rappresentazioni dell’universo onirico (Odilon Redon, Ferdinand Hodler, Arnold Böcklin). Quegli stranianti accostamenti tra elementi del mondo reale ed elementi prodotti dalla fantasia sarebbero poi divenuti, come s’è anticipato, materia di studio della psicanalisi: e a tal proposito risulta interessante, continuava Buscaroli, “notare come la naturale fusione di finzione e di realtà, di creature inventate e paesaggi reali, perseguita da Böcklin, prima che da Klinger, fosse divenuta, per il padre della psicanalisi, una sorta di simbolo, personale e generale, da citare in un testo scientifico, come nelle lettere private”.
Dopo il successo di Un guanto, Klinger avrebbe continuato a puntare sulla tecnica della stampa, non soltanto come mezzo per dar corpo alle sue fantasie, ma anche come strumento per indagare la realtà (a titolo d’esempio, una serie come Ein Leben, “Una vita”, che affronta il dramma d’una donna umiliata e rovinata dalla società borghese). E possiamo tranquillamente affermare che le sue stampe, che continuarono ad avere una larga diffusione, contribuirono a orientare certi sviluppi dell’arte del ventesimo secolo.
Bibliografia di riferimento
- Marsha Morton, Max Klinger and Wilhelmine culture: on the threshold of German Modernism, Routledge, 2014
- Adriano Baccilieri (a cura di), Giorgio de Chirico e il segno, catalogo della mostra (Civitanova Marche, Auditorium Sant’Agostino, dal 13 luglio al 9 novembre 2008), Bora, 2008
- Adriano Altamira, De Chirico, Böcklin e Klinger in Metafisica. Quaderni della Fondazione Giorgio e Isa de Chirico, 5/6 (2005-2006), pp. 35-64
- Adriano Altamira, Miti romantici: simboli e inconscio dell’era industriale, Vita e Pensiero, 2004
- Beatrice Buscaroli (a cura di), Max Klinger, catalogo della mostra (Ferrara, Palazzo dei Diamanti, dal 17 marzo al 16 giugno 1996), Ferrara Arte, 1996
- Beatrice Buscaroli, Max Klinger, 1996
- John Train Kirk Varnedoe, Elizabeth Streicher, Graphic works of Max Klinger, Dover Publications, 1977
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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
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