di
Federico Giannini
(Instagram: @federicogiannini1), scritto il 12/02/2016
Categorie: Opere e artisti
Marco Goldin ultimamente si è improvvisato... insegnante di storia dell'arte. Ma in una sua 'lezione' ha commesso cinque errori in sei minuti.
Da qualche settimana, nella mia bacheca personale su Facebook, imperversano i post di Linea d’Ombra, l’azienda del mai domo Marco Goldin. Il curatore più prolifico d’Italia sembra aver dato il via a un pressante battage pubblicitario, anche sui social, al fine di portare quante più persone possibili alla sua ennesima mostra sugli impressionisti che si terrà prossimamente a Treviso. I post che compaiono nella mia bacheca sono infatti post sponsorizzati (e anche per questo motivo riescono a ottenere tantissime interazioni), dunque immagino che Goldin non stia badando a spese. Anche perché, dal tenore dei post, credo voglia veicolare qualcosa in più di una semplice pubblicità. In altri termini, Goldin tenta di ripetere il suo mantra anche su Facebook: emozionare il visitatore ancor prima che parta per il museo in cui si terrà la mostra.
Intendiamoci: ritengo che Goldin sia un vero fuoriclasse della scrittura creativa. Se qualcuno vuole imparare a scrivere un testo che riesca a far provare sensazioni a un lettore parlando d’arte, credo che gli scritti di Goldin siano sempre una buona lettura, tanto che io stesso talvolta faccio visita alla sua pagina social, o mi procuro i suoi testi, per trarne spunti. Penso sia normale che chi si occupa di divulgazione cerchi anche di studiare chi è più bravo a coinvolgere. L’altra faccia della medaglia, il lato negativo dei testi di Goldin, è che non ti lasciano niente. Limitandomi a leggere i suoi diari di viaggio su Facebook, le sue descrizioni dei luoghi sugli impressionisti, si ha come la sensazione che alla fine, sull’arte di Monet, di van Gogh e di tutti quegli artisti cari a Goldin, se ne sappia esattamente quanto se ne sapeva prima d’intraprendere la lettura.
Probabilmente anche Goldin si è accorto di questo suo limite, e ha pensato di colmarlo con una serie di "lezioni" (la definizione è sua) di storia dell’arte che ha tenuto nelle ultime settimane al Teatro Comunale di Treviso. Premurandosi di diffondere estratti, caricati su Youtube, sulla sua pagina Facebook. Mosso da curiosità, ho provato ad ascoltare la prima lezione, dedicata, come si legge dal titolo (includo qui il link al video), a Jean-Auguste-Dominique Ingres e al Salon. E ho trovato un Goldin completamente diverso rispetto a quello brioso e vivace dei testi “creativi”, chiamiamoli così: un Goldin davvero poco interessante, a tratti noioso, spesso confusionario, che snocciola una lezioncina farcita di date e nozioni, scarsamente incline all’approfondimento e al domandarsi il perché di certe situazioni. Goldin dichiara però di non voler proporre al pubblico una storia “da manuale”, e ritiene di raggiungere questo obiettivo semplicemente partendo “da lontano”, ovvero dal Settecento, per spiegare i processi che avrebbero portato alla nascita dell’impressionismo. Non credevo che per evitare una divulgazione “manualistica” fosse sufficiente allungare la cronologia dei temi affrontati, ma volendo concedere il beneficio del dubbio a Goldin mi son deciso ad andare avanti con la visione della sua prima “lezione” sull’impressionismo. Per farla breve, dopo le sue dichiarazioni d’intenti, Marco Goldin parte con la storia del Salon, la storica mostra espressione della cultura accademica francese, che prendeva nome dal Salon Carré del Louvre, sede della mostra dal 1699. Il problema di Goldin consiste nel fatto che fin dal momento in cui inizia a declamare la storia del Salon, commette una serie di errori e imprecisioni che davvero non ci si aspetterebbe da chi lavora seriamente con la storia dell’arte. Ne ho contati almeno cinque, che su sei minuti di esposizione della storia del Salon, non costituiscono un risultato propriamente esaltante.
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Goldin davanti a un dipinto di Van Gogh. Foto di Vicenza Report distribuita con licenza Creative Commons. |
- 1. Il Salon “prosegue e prosegue fino addirittura all’inizio del Novecento”. Il Salon, fin dalla sua origine, aveva ottenuto il patrocinio del governo francese. Questa “sponsorizzazione” venne meno nel 1881, quando l’incombenza di organizzare il Salon fu presa dalla Societé des Artistes Françaises, un’associazione che si costituì proprio nel 1881. E la cui attività continua ancora oggi, anzi: la società organizza ancora una mostra chiamata “Salon”, a proposito della quale si possono reperire informazioni anche sul sito stesso della Società. Dunque, quando Goldin dice che il Salon “prosegue fino addirittura all’inizio del Novecento”, commette un primo errore: se si riferisce al Salon patrocinato dal governo, la fine ha un anno preciso, il 1881. Se invece si riferisce al “Salon” in senso generico, la mostra che si può considerare un po’ come l’erede del Salon storico, continua a essere organizzata anche al giorno d’oggi.
- 2. Il Salon “è il luogo nel quale si forma e si fonda e si esprime e si espone la pittura francese a partire dal 1648”. Una lieve imprecisione, con Goldin che confonde le date: il 1648 non è l’anno in cui si tenne il primo Salon, come si potrebbe intendere dalla sua frase, ma è l’anno in cui viene fondata l’Académie Royale de peinture et de sculpture, che organizzò il primo Salon diciannove anni dopo, nel 1667. Non è grave, ma ci si aspetterebbe un po’ di precisione in più.
- 3. Il Salon “era l’unica opportunità per i pittori, ma anche per gli scultori, ma anche per gli incisori, di esporre le loro opere”. Non è chiaro a che periodo si riferisca Goldin, perché parlare del Salon significa parlare di una storia di almeno duecento anni, ma se il curatore si riferisce, appunto, all’intera storia del Salon, non è affatto vero che si trattava dell’unica opportunità che gli artisti avevano per esporre le loro opere. Una delle mostre più celebri era quella di Place Dauphine a Parigi, che si teneva ogni anno durante la processione del Corpus Domini. La processione è documentata almeno dal 1644, e sappiamo che già all’epoca i parigini facevano appendere, lungo il percorso su cui avrebbe avuto luogo la processione (che si teneva tra Place Dauphine e Pont-Neuf), manufatti, quadri, oggetti d’arte. Col passare degli anni, la tradizione divenne occasione, per gli artisti, di mettere in mostra le loro opere. E a tali esibizioni parteciparono anche diversi tra i più importanti artisti francesi, come Nicolas Lancret, Jean-Baptiste Oudry, Jean Restout e altri. Nel Settecento furono poi allestite mostre da un’altra istituzione che radunava gli artisti del tempo, la Académie de Saint-Luc, e si potrebbero poi citare anche le due esposizioni organizzate dal Duca d’Antin nel terzo decennio del Settecento. Insomma: il panorama espositivo della Parigi sei-settecentesca non era così restrittivo come Goldin crede. Il successo del Salon si doveva semmai al fatto che era la mostra più importante e prestigiosa, dati i nomi dei promotori.
- Una nota: poco dopo aver commesso l’errore di cui sopra, Goldin asserisce che il Salon “diventa il punto di mediazione tra lo sforzo che politicamente fa lo Stato centrale per esporre le opere degli artisti e valorizzare l’immagine della nazione, e l’interesse che i privati, siano essi gli stessi artisti, siano anche i possibili acquirenti, hanno. Quindi una sorta di sinergia tra il pubblico e il privato, che è uno dei grandi temi che noi sentiamo continuamente analizzare in questi momenti”. Più che un errore (e infatti voglio non considerarlo tale), si tratta di un ragionamento del tutto privo di senso: è un po’ come dire che le moderne Accademie di Belle Arti sono risultato di una “sinergia” tra pubblico e privato nella misura in cui valorizzano privati cittadini (gli artisti) a beneficio di altri privati cittadini (i possibili acquirenti delle loro opere). Le “sinergie” tra pubblico e privato, comprese quelle odierne, a cui allude Goldin quando parla dei “grandi temi” attuali, sono altre (per esempio quelle che coinvolgono i privati nella gestione dei musei pubblici). Insomma, se Goldin cercava qualche appiglio per giustificare l’uso che la sua azienda fa degli spazi che le vengono concessi dalle amministrazioni pubbliche, ha completamente sbagliato il metro di paragone.
- 4. “L’idea del Salon nasce da una sorta di istituzionalizzazione dell’idea dell’Accademia italiana. Quindi è un’idea che la Francia raccoglie da un qualcosa che era accaduto in Italia nel Rinascimento, con le Accademie, pensiamo per esempio alle Accademie in ambito fiorentino, e a quello che accade nei circoli neoplatonici, soprattutto i circoli di Marsilio Ficino”. Sorvolando su un’espressione priva di fondamento storico come “istituzionalizzazione dell’idea dell’Accademia italiana” (le Accademie italiane, al tempo in cui nacque il Salon, erano già istituti ufficialmente riconosciuti e dotati di ordinamenti), qui Goldin fa confusione tra le Accademie cinquecentesche, come l’Accademia delle Arti del Disegno fondata a Firenze nel 1563, e i cenacoli quattrocenteschi, che spesso amavano sì definirsi “Accademie” (lo stesso Marsilio Ficino avrebbe forse utilizzato l’espressione “Accademia”, anche se attorno a questa denominazione è nato di recente un dibattito, tanto che qualcuno ha addirittura proposto di non usare più l’espressione di cui sopra per indicare il circolo di Marsilio Ficino - o presunto tale, dato che c’è chi dubita della sua esistenza tout court), ma avevano una natura totalmente differente. Le cosiddette “accademie” del Quattrocento non perseguivano fini didattici, non avevano carattere ufficiale, ma avevano piuttosto l’obiettivo di diffondere un certo tipo di cultura: preferisco tuttavia non dilungarmi troppo e rimandare semmai a un prossimo articolo un approfondimento sul tema. Le Accademie come più o meno le intendiamo oggi nascono invece nel Cinquecento: sono proprio le accademie italiane del Cinquecento, soprattutto l’Accademia delle Arti del Disegno e l’Accademia di San Luca di Roma, quelle che ispirarono i fondatori dell’Académie Royale. L’“istituzionalizzazione dell’idea di Accademia” avvenne quindi non nella Francia del Seicento, ma nell’Italia del Cinquecento.
- 5. I “circoli neoplatonici” erano “dei luoghi nei quali gli artisti, che non sono solo pittori, ma sono anche incisori, scultori, disegnatori, riescono a sfuggire a quel potere centrale che in qualche modo li opprime”. Tanto per iniziare, i cenacoli quattrocenteschi non radunavano solo artisti, ma intellettuali di ogni sorta: poeti, storici, letterati, filosofi. Lo stesso Marsilio Ficino era un filosofo. Inoltre, non è affatto vero che gli artisti che frequentavano i consessi intellettuali dell’Italia quattrocentesca fossero “oppressi dal potere centrale” (ammesso che si possa paragonare l’esercizio del potere nella Francia seicentesca con quello nella Firenze medicea), anzi: spesso lavoravano proprio grazie alla protezione di un signore. Lo stesso Marsilio Ficino fu sovvenzionato da Cosimo de’ Medici per compiere i suoi studi, e pensiamo alla vasta schiera di artisti che, nella Firenze del Quattrocento, lavorarono grazie alle commissioni dei Medici.
Terminata la storia del Salon, ho deciso di interrompere la visione della “lezione” di Goldin: ne ho avuto abbastanza. C’è da domandarsi come sia possibile che una persona che parla di fronte a un pubblico così vasto (il teatro, si vede dalle inquadrature, era colmo) e che organizza mostre che richiamano migliaia di visitatori, riesca a riempire un intervento tutto sommato banale, lineare, quasi enciclopedico, con imprecisioni così grossolane. Bisogna però riconoscere che per riuscire a commettere cinque errori in sei minuti, su un argomento in fondo neanche troppo complicato come la storia di un’esposizione, sia necessario un certo impegno... ! Peccato che la cosa non faccia di lui un buon divulgatore. Benché io sia convinto che, anche dopo la lettura di questo articolo e magari anche dopo la visione della sua “lezione”, ci saranno ancora tantissime persone che continueranno a ritenerlo tale.
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L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).