La Pastorella di Luigi Bienaimé: una dolce e delicata opera neoclassica


La Pastorella dello scultore carrarese Luigi Bienaimé è una delle più delicate opere del neoclassicismo. Cerchiamo di conoscerla da vicino.

Luigi Bienaimé, Pastorella (1837)
Luigi Bienaimé, Pastorella (1837; San Pietroburgo, Hermitage)
“Una gentil Pastorella vagamente acconcia in simmetrico gruppo le chiome, ha sulla fronte il più leggiadro pensiero. Ella meditando studiosa e tranquilla inclina alcun poco da un lato la testa a rimirare una vaghissima ghirlanda di fiori, che tiene sospesa da una mano; e guarda, e squadra, e pensa ove abbia a collocarvi in bella armonia un altro fior novello, che tiene fra le sue dita. Le scorre a terra il manto, cui più non bada (tutta intenta nell’opera), e sul bel cinto si arresta ov’ella sovra un ginocchio sollevato il trattiene. Le sta a fianco, posando al suolo le terga, e ritto ne’ due piè d’avanti il fido cane, che ergendo il muso, cui fanno nobile contrappeso i lunghi orecchi, par che chieda alcuna carezza dalla tenera padrona”. Così il poeta Angelo Maria Ricci descriveva, nel 1837, la splendida Pastorella di Luigi Bienaimé, in un libello dedicato alle sculture dell’artista carrarese, che Ricci aveva visto nell’atelier romano di Bienaimé.

Esistono due versioni di questa delicata statua. La prima risale proprio al 1837: è firmata e datata, ed è quella che Ricci descrive nella sua opera. La committenza era prestigiosa: fu infatti scolpita per il granduca Michail Pavlovic Romanov, fratello degli zar Alessandro I e Nicola I di Russia. Il “tramite” ideale probabilmente fu proprio Nicola I, che fin dall’epoca del suo insediamento sul trono russo (nel 1825) aveva manifestato una grande passione per l’arte italiana del tempo, tanto che anche i critici d’arte russi decisero di approfondire i rapporti con l’Italia: negli anni successivi, il “Giornale dell’Arte” (Chudozestvennaja gazeta) dedicò ampi approfondimenti agli scultori neoclassici e puristi, e grande attenzione fu dedicata ai giovani che si erano inseriti sul solco di Antonio Canova e di Bertel Thorvaldsen. Tra questi figurava anche Luigi Bienaimé, nato a Carrara nel 1795.

Luigi Bienaimé, Pastorella (1854-1855)
Luigi Bienaimé, Pastorella (1854-1855; San Pietroburgo, Hermitage)
I rapporti con la Russia si intensificarono anche a seguito delle numerose visite che i maggiori esponenti dell’aristocrazia russa compivano in Italia. Nel 1845 fu la volta dello stesso zar Nicola I, che nel dicembre di quell’anno sbarcò a Civitavecchia per spostarsi a Roma, dove ebbe modo di visitare gli atelier di tutti gli artisti che operavano nella città. E la visita si traduceva quasi sempre in occasione di commissioni per gli artisti: Bienaimé fu probabilmente il più fortunato, in quanto ottenne quattro commissioni. È questo il contesto storico e culturale in cui si inserisce la realizzazione delle due versioni della Pastorella.

Non ci sono grandi differenze tra le due opere: la più vistosa, se escludiamo la differenza nelle dimensioni (più alta di circa mezzo metro la versione del 1837), è il cane che accompagna la pastorella, presente nella versione più antica, che rispetto a quella più recente ha anche un panneggio con pieghe leggermente più fitte all’altezza delle cosce. La posa, invece, è identica. La ragazza è completamente nuda, eccezion fatta per un velo che le cinge le gambe, e sta intrecciando una ghirlanda di fiori. È colta in un’espressione attenta, concentrata sul suo lavoro. È una ragazzina, ce ne accorgiamo dai lineamenti del volto, e il suo meraviglioso corpo nudo è pervaso da una freschezza giovanile che colpisce chi la osserva, con le sue forme esili, eleganti e non prive di una certa sensualità. Bienaimé ha profuso molta attenzione nella resa delle mani, affusolate e con dita allungate che paiono quasi accarezzare i fiori, e dei piedi, delicati e femminili, che si appoggiano con naturalezza l’uno a terra e l’altro sulla roccia sulla quale la ragazza si è appoggiata. Queste caratteristiche fanno della Pastorella di Bienaimé una delle realizzazioni più interessanti del neoclassicismo, di cui l’artista carrarese fu uno dei più convinti sostenitori, essendo lui allievo del più “puro” degli artisti neoclassici, Bertel Thorvaldsen: possiamo dunque considerare la Pastorella come una sorta di inno al bello ideale, alla leggiadria, alla grazia e anche alla grande semplicità che erano tra i valori fondanti del neoclassicismo.

Particolare del volto della Pastorella del 1854-55
Particolare del volto della Pastorella del 1854-1855
Nella sua descrizione, Angelo Maria Ricci tenta anche di donare alla Pastorella un’identificazione: “In questa giovine pastorella volle forse effigiar lo scultore l’antica Glicera, che Plinio collocò tra le inventrici delle Arti Belle pel meraviglioso artifizio, onde soleva disporre le sue ghirlande offerte ai templi de’ Numi”. Secondo una storia che mescola elementi di realtà a elementi leggendari, Glicera (il cui nome in greco significa “la dolce”: nome che sarebbe molto indicato per la nostra Pastorella, data la sua grande tenerezza) era una ragazza d’animo nobile a cui si attribuiva l’invenzione dei fiori artificiali, e delle ghirlande di fiori intrecciati. Sarebbe stata l’amata del pittore Pausia di Sicione, vissuto nel IV secolo avanti Cristo, e che avrebbe lasciato, tra le sue varie opere, un ritratto della stessa Glicera.

Particolare della Pastorella del 1854-1855
Particolare della Pastorella del 1854-1855
Abbiamo parlato a proposito delle circostanze in cui fu eseguita la prima versione. Sulla seconda si è potuto far luce solo di recente: si pensava che anche la Pastorella senza cane risalisse alla fine degli anni Trenta, o tuttalpiù agli inizi degli anni Quaranta dell’Ottocento, quindi che fosse di poco successiva alla realizzazione del 1837. Sono stati poi scoperti dei documenti che attestano che la Pastorella fu eseguita tra il 1854 e il 1855 per il giovane principe Nikolaj Borisovic Jusupov, che faceva parte dell’entourage di Nicola I e che fu uno dei più importanti collezionisti d’arte e mecenati della corte zarista del tempo. Anche Jusupov era stato in visita all’atelier romano di Luigi Bienaimé e gli aveva richiesto due opere: oltre alla Pastorella, anche la Baccante danzante. Sia quest’ultima opera che le due pastorelle sono oggi conservate al Museo dell’Hermitage di San Pietroburgo.

Il pubblico italiano, per alcuni mesi, ha l’opportunità di vedere dal vivo la più recente versione della Pastorella (oltre alla Baccante danzante e ad altre opere di Luigi Bienaimé) alla mostra Canova e i maestri del marmo (a Carrara, Palazzo Cucchiari, fino al 4 ottobre 2015): un’occasione davvero interessante per vedere queste e altre opere di straordinaria bellezza e di altissimo interesse storico e artistico, oltre che per approfondire i fecondi rapporti culturali tra Carrara e la Russia nel corso dell’Ottocento.

La Pastorella del 1854-1855 all'Hermitage
La Pastorella del 1854-1855 all’Hermitage di San Pietroburgo


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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