Il Liber Maiolichinus, un codice del XII che racconta l'impresa dei pisani alle Baleari


Tra il 1113 e il 1115, i pisani, assieme a catalani, occitani e sardi, organizzarono una spedizione per cacciare i musulmani dalle isole Baleari: l’impresa è raccontata in un poema, il Liber Maiolichinus, il cui manoscritto è conservato alla Biblioteca Universitaria di Pisa.

La Biblioteca Universitaria di Pisa conserva un vero monumento della storia della città, il Liber maiolichinus de gestis Pisani populi, il più antico codice che ci ha tramandato l’impresa compiuta dai pisani e dai catalani tra il 1113 e il 1115 contro i musulmani alle isole Baleari, da cui il nome del volume (“Libro maiorchino delle gesta del popolo pisano”). Si tratta di una cronaca in latino, scritta con tutta probabilità tra il 1117 e il 1125, che racconta nei dettagli la spedizione militare che pisani, catalani, sardi e occitani compirono contro la taifa musulmana delle Baleari (con il termine taifa s’intendeva uno dei tanti piccoli Stati che gli islamici avevano istituito in Spagna dopo la conquista).

I pisani organizzarono la spedizione per esercitare la loro sovranità sulle isole, concessa a Pisa da papa Gregorio VI nel 1085. La spedizione, invocata dall’arcivescovo Pietro Moriconi di Pisa, assunse presto i caratteri di una crociata contro gli infedeli: i cristiani, guidati dallo stesso Moriconi, da Raimondo Berengario III di Barcellona, dall’occitano Ugo II di Empúries, da Guglielmo V di Montpellier, da Aimerico II di Narbona, da Raimondo I di Baux e dal nobile sardo Saltaro di Torres, ottennero da papa Pasquale II l’autorizzazione a inviare la flotta alle Baleari, e si presentarono davanti alle isole con 300 navi pisane e 120 catalane e occitane che imbarcavano un esercito capace di radunare aiuti dalle varie parti d’Italia, dalla Sardegna e dalla Corsica. L’impresa partì da Ibiza, che fu conquistata nel giugno del 1113, e si passò quindi all’assedio di Palma di Maiorca, durato fino all’aprile del 1115, quando la città cadde, la popolazione fu resa schiava e il reggente musulmano della taifa fu portato a Pisa come prigioniero. Fu tuttavia una vittoria di breve durata, dal momento che nel 1116 gli almoravidi riconquistarono le isole, ma ottenne comunque l’effetto di cancellare la pirateria musulmana, un altro degli obiettivi della spedizione.

Anonimo, Liber maiolichinus de gestis Pisani populi, coperta (1117-1125; pergamena, 330 x 220 mm; Pisa, Biblioteca Universitaria, Ms. 723)
Anonimo, Liber maiolichinus de gestis Pisani populi, coperta (1117-1125; pergamena, 330 x 220 mm; Pisa, Biblioteca Universitaria, Ms. 723)

Non sappiamo chi sia l’autore del Liber maiolichinus, ma è possibile, secondo l’ipotesi di Paolo Tronci, che la stesura del libro possa essere attribuita a un “cappellano dell’Arcivescovado”, data la prevalente cultura ecclesiastica dell’epoca in cui fu scritto. Il Liber è un poemetto composto da 3.544 esametri suddivisi in otto libri che celebrano con accenti trionfalistici, un evento che, all’epoca della realizzazione del codice, doveva essere ancora vivo nella memoria di Pisa, rievocando con grande e circostanziato realismo l’impresa. Il poema raccoglie infatti il punto di vista di un cittadino pisano, soddisfatto dell’esito militare, e peraltro polemico con le città rivali, in particolare nei confronti di Lucca, che si era ritirata dalla spedizione, e di Genova, il cui antagonismo stava già emergendo con evidenza, e che al pari di Lucca non partecipò alla spedizione, da un lato perché riteneva le convenisse rimanere neutrale, dall’altro per non aiutare la città rivale.

Il Liber è introdotto da un breve proemio in cui l’anonimo autore invoca il sostegno di Cristo per cantare l’impresa, spiegando le ragioni della spedizione, procedendo poi con un singolare e quanto meno ardito parallelo tra Pisa e Roma, con le Baleari che assurgono al ruolo di nuova Cartagine, e augurandosi che Pisa potesse ripercorrere i fasti di Roma, in un’epoca in cui la città toscana viveva una stagione di grande splendore testimoniata dai cantieri artistici della piazza del Duomo (la Cattedrale fu consacrata poco dopo la spedizione delle Baleari, nel 1118). Sul piano letterario, l’autore mostra una padronanza della stilistica antica, trasmessa dalla precettistica retorica e recepita nell’espressione moderna, tanto che, pur non essendo un capolavoro letterario, può essere considerato “notevolissimo quale indizio del forte amore e della tenace conservazione del classicismo in Italia e del suo già sensibile rinascimento”, come scrisse nel 1904 Carlo Calisse che ne curò un’edizione a stampa.

Il codice posseduto dall’Universitaria di Pisa è conosciuto come “P”, ed è uno delle tre copie di codici esistenti, insieme a quello della Biblioteca Laurenziana di Firenze, “R” e al Britannico “B” conservato al British Museum di Londra. Il codice “P” è stato legato nella coperta in pergamena di un’altra opera, il De re militari di Vegezio, al cui testo segue a partire dalla carta 16, e si compone di 37 carte scritte in recto e verso con una nitida minuscola carolina, scrittura nata nell’VIII secolo ma, per la sua praticità e la rapidità con cui permetteva di compilare manoscritti, ancora in vigore nel XII, a differenza dell’opera di Vegezio, che presenta invece notevoli alterazioni ed evanescenze. La legatura è stata rifatta nel XIX-XX secolo.

Anonimo, Liber maiolichinus de gestis Pisani populi, carta 16r (1117-1125; pergamena, 330 x 220 mm; Pisa, Biblioteca Universitaria, Ms. 723)
Anonimo, Liber maiolichinus de gestis Pisani populi, carta 16r (1117-1125; pergamena, 330 x 220 mm; Pisa, Biblioteca Universitaria, Ms. 723)

L’opera fu commissionata dal Comune di Pisa ed ebbe fine preminentemente politico: si trattò infatti dell’ultimo prodotto della strategia memoriale che i pisani portarono avanti dopo l’impresa verso i due poteri universali, ovvero prima verso l’imperatore Enrico V, e poi presso i papi Gelasio II, Callisto II e Onorio II. Nei confronti di Enrico V i pisani perseguivano l’obiettivo della conferma di alcune concessioni di terre pubbliche che l’imperatore voleva richiamare sotto la sua autorità insieme a quelle di Matilde di Canossa, morta nel 1115; nel caso dei papi, invece, l’obiettivo era il rinnovo, sempre messo in discussione ad ogni nuovo pontificato, del privilegio metropolitico sulla Corsica che il vescovo di Pisa aveva ottenuto nel 1092 da Urbano. Il Liber Maiolichinus era dunque stato realizzato come strumento di pressione dei pisani verso Onorio II, che doveva accompagnare altre azioni di persuasione, per esempio elargizioni di denaro, per convincere il papa dell’opportunità di rinnovare il privilegio metropolitico, contro il parere ripetutamente espresso alla Curia dai genovesi. L’obiettivo fu raggiunto, anche con la guerra combattuta nel 1119 tra Genova e Pisa.

La fortuna del Liber maiolichinus era già scemata nel Quattrocento, dato che a quell’epoca il notaio pisano Lorenzo de Sanctis raschiò l’incipit della carta 16 e lo riscrisse in scrittura capitale e in inchiostro rosso, aggiungendo sopra la seconda colonna la variante “Pisanorum illustribus” all’originale “Pisani populi”. A quell’epoca il codice apparteneva alla nobile famiglia pisana dei Rosselmini, come emerge da alcune note che si trovano nel manoscritto, e da questa passò nel XVII secolo alla famiglia Roncioni, da cui lo Stato acquisì la raccolta delle pergamene e la biblioteca dei manoscritti nel 1912. Tuttavia a quel tempo il codice era già ben noto agli studiosi, soprattutto a seguito della “riscoperta” di Francesco Bonaini nel 1844, che lo aveva riesumato dall’oblio dopo la pubblicazione del Muratori nelle sue Rerum Italicarum scriptores. Il Liber Maiolichinus fu prima studiato come fonte storiografica primaria, dati i poliedrici aspetti del suo contenuto (e poi anche perché Calisse lamentava il fatto che della spedizione delle Baleari non sopravvivessero fonti storiche corpose, dunque il Liber era uno strumento importante per conoscere la fonte di quell’evento), trovando l’interesse di uno storico politico quale Michele Amari nel 1872, del diritto come il già menzionato Carlo Calisse nel 1904 e Gioacchino Volpe nel 1906, e poi degli storici militari, linguistico-letterari e religiosi. Il codice è stato studiato anche in sé, fino ai giorni nostri, quando nel 2017 è uscito nell’Edizione Nazionale dei Testi Mediolatini il volume di Enrico Pisano, con l’introduzione e testo critico di uno studioso di vecchia data quale Giuseppe Scalia, il commento di Alberto Bartola e la traduzione di Marco Guardo.

Infine, il Liber conserva anche una importante rilevanza storica internazionale: è noto infatti per il più antico riferimento conosciuto dei “catalani” (Catalanenses) quale etnia, e della “Catalogna” come loro patria, ciò che ne fa un vero monumento dell’identità catalana, studiato soprattutto prima del franchismo e dopo la sua caduta, celebrato nel 1991 in un convegno internazionale dal titolo Liber Maiorichinus e la società mediterranea del XII secolo, organizzato a Barcellona.

La Biblioteca Universitaria di Pisa

La Biblioteca Universitaria di Pisa venne aperta al pubblico nel 1742 nei locali situati sotto la Specola astronomica, in via Santa Maria, attualmente sede della Domus Galilaeana, e dal 1823, a seguito dell’unico trasferimento, ha sede nel palazzo quattrocentesco della Sapienza, di cui occupa le ali poste a nord-ovest del piano nobile, dove sono situati i locali destinati all’utenza, le sale di consultazione e gli uffici, e le ali a sud-ovest del secondo piano, adibite a magazzini librari. Il primo nucleo librario fu costituito dalla biblioteca privata del professor Giuseppe Averani (1662-1738) ricevuto per disposizione testamentaria. Negli anni successivi il nucleo originario fu accresciuto con lasciti, doni di privati e professori e con l’acquisizione delle biblioteche delle Corporazioni religiose soppresse. Risale al 1757 l’acquisto di circa seimila volumi appartenuti all’erudito fiorentino Anton Francesco Gori di interesse archeologico e antiquario. Nel 1771 furono poi assegnate alla Biblioteca per volontà del Granduca numerose opere della Biblioteca Medicea-Palatina-Lotaringia. Con l’abolizione del Monastero dei Camaldolesi di San Michele in Borgo i manoscritti del padre Guido Grandi ne arricchirono il patrimonio, così come i preziosi incunaboli provenienti dai conventi di San Donnino e Santa Croce, che si sommano ad alcune edizioni aldine quali l’Opera omnia di Aristotele (1495-1498), l’Opera omnia di Poliziano (1498), il Thesaurus cornucopiae et Horti Adonidis (1496) e gli incunaboli illustrati (Compilatio de astrorum scientia, Leopoldo d’Austria, 1489).

Ulteriore acquisizione settecentesca fu il piccolo ma prezioso fondo dell’Orto Botanico, mentre ottocenteschi sono i fondi importanti e pregevoli tra i quali i manoscritti e i disegni dell’egittologo Ippolito Rosellini (direttore della biblioteca dal 1835 al 1843), i numerosi volumi acquisiti per disposizione testamentaria del Provveditore dell’Università Angelo Fabroni, il fondo costituito a proprie spese da Giuseppe Piazzini dal 1820 al 1832, periodo in cui tenne la direzione della biblioteca, la raccolta filologica di Michele Ferrucci (direttore della biblioteca dal 1848 al 1881), le più recenti biblioteche scientifiche di Filippo Corridi e Sebastiano Timpanaro, le collezioni mediche di Diomede Buonamici e Antonio Feroci, la raccolta storico-letteraria del professor Alessandro D’Ancona e la biblioteca con i manoscritti del conte Franceschi. Del Novecento si conserva, nel fondo Tesi universitarie, la tesi di laurea di Enrico Fermi sui raggi X del 1922, con quelle di Franco Rasetti e Nello Carrara.

Dal 1975, la Biblioteca Universitaria di Pisa è un istituto statale separato dall’Università, ed è oggi un ente del Ministero della Cultura, pur mantenendo il compito di “attuare il coordinamento con l’Università nelle forme ritenute più idonee sul piano dei servizi e delle acquisizioni”. Attualmente l’istituto conta un patrimonio composto da oltre 600.000 edizioni, 161 incunaboli, 7.022 cinquecentine e 1.400 manoscritti.

La Biblioteca Universitaria di Pisa
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