Con l’Umanesimo rinascimentale si assistette a un rinnovato interesse per l’antichità e alla diffusione di una cultura che prendeva le mosse dalle scoperte compiute grazie alle numerose traduzioni di testi greci e latini. L’acquisizione delle nuove conoscenze relative a varî campi del sapere e in particolare relative all’individuo, sia della sua mera costituzione che dell’essenza della sua anima, condusse a fissare l’essere umano al centro del mondo. Studio, indagine e sperimentazione erano gli aspetti più innovativi della cultura del tempo, e ciò fece sì che l’uomo stesso divenne oggetto d’osservazione e di riflessione.
Testimonianza di tale considerazione è l’abbondanza in quell’epoca di ritratti: gli artisti infatti, tra Quattrocento e Cinquecento, presero a modello per le loro opere un’infinità di personaggi noti, come ad esempio gli esponenti delle varie signorie che detenevano il controllo di diverse aree del territorio italiano, ma anche di quanti facevano parte del popolo, coloro che definiremmo persone comuni. Tuttavia, spesso uomini e donne che ruotavano attorno alle famiglie più potenti, ai signori delle corti rinascimentali, avevano più probabilità di essere immortalate nei dipinti e nelle sculture degli artisti, poiché questi ultimi erano soliti frequentare le ricche dimore dei signori, ed era inoltre frequente che fossero “assunti” come pittori o artisti ufficiali di corte. Le corti divennero quindi luoghi di diffusione della nuova cultura umanistica, dove si promulgavano i principî, le conoscenze, le scoperte, attraverso gli artisti e le personalità del mondo culturale, da quello letterario a quello scientifico.
Tra le personalità che lavorarono in una delle corti più influenti del Rinascimento, quella degli Sforza a Milano, è d’obbligo menzionare Leonardo da Vinci (Vinci, 1452 – Amboise, 1519): il grande genio, trasferitosi da Firenze a Milano, trascorse più di un decennio della sua esistenza, dal 1482 al 1499, nella corte sforzesca, quando la signoria era nelle mani di Ludovico il Moro (Vigevano, 1452 – Loches, 1508). In quegli anni Leonardo dipinse alcuni dei suoi più grandi capolavori: il Ritratto di Musico, la Dama con l’Ermellino e La Belle Ferronnière. Il primo venne realizzato nel 1485 circa ed è oggi conservato presso la Pinacoteca Ambrosiana di Milano: inizialmente si era pensato che il soggetto ritratto fosse lo stesso Ludovico il Moro, ma quando, grazie ai restauri del 1905, apparve nelle mani dell’uomo un cartiglio musicale, si capì che si trattava di un musico; sono state finora ipotizzate diverse identità: Franchino Gaffurio, maestro di cappella del Duomo di Milano, Josquin Desprez, cantore fiammingo alla corte di Ludovico Sforza, e Atalante Migliorotti, un musico amico di Leonardo, giunto a Milano come cantante e suonatore di lira. La Dama con l’ermellino è databile tra il 1488 e il 1490 e attualmente si può ammirare al Museo Nazionale di Cracovia; la figura femminile rappresentata è stata identificata con Cecilia Gallerani, giovane amante di Ludovico. L’identificazione sarebbe confermata inoltre dall’ermellino che la fanciulla tiene in braccio, poiché la parola ermellino in greco si traduce galé, richiamando così il cognome della ragazza.
Leonardo da Vinci, Ritratto di musico (1485 circa; olio su tavola, 44,7 x 32 cm; Milano, Veneranda Biblioteca e Pinacoteca Ambrosiana) |
Leonardo da Vinci, Dama con l’ermellino (1488-1490; olio su tavola, 54,8 x 40,3 cm; Cracovia, Museo Nazionale di Cracovia) |
Leonardo da Vinci, Ritratto di dama noto come La Belle Ferronnière o presunto ritratto di Lucrezia Crivelli (1493-1495; olio su tavola, 63 x 45 cm; Parigi, Louvre) |
Nel realizzare il Ritratto di dama, noto come La Belle Ferronnière, Leonardo da Vinci non si limitò a rappresentare la posizione sociale della dama, bensì volle far fuoriuscire dalla tela emozioni reali per trasmetterle all’osservatore. Nel Trattato della Pittura di Leonardo si legge: “Vero è che i segni de’ volti mostrano in parte la natura degli uomini, i loro vizi e complessioni […] Farai le figure in tale atto, il quale sia sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile”. Si nota infatti nel celebre dipinto una minuziosa resa naturalistica per quanto riguarda il colore, ma soprattutto nell’espressione e nello sguardo della fanciulla. Un volto che affascina, e che conduce inevitabilmente il riguardante a osservarlo profondamente: chiunque gli si ponga di fronte per ammirare questo capolavoro del grande genio, nonché uno dei più bei capolavori della storia dell’arte italiana, rimarrà ammaliato dalla finezza e dalla fredda naturalezza di questo sguardo. I toni sfumati del rosa delle guance della dama accrescono maggiormente la resa naturalistica della figura ritratta: pare così di non trovarsi vis-à-vis con una persona dipinta sulla tela, bensì sembra di essere sul punto d’interagire con una persona reale, viva.
È proprio questa la capacità di Leonardo, ovvero ritrarre figure umane tenendo sempre presenti gli studî naturalistici, che già aveva compiuto a Firenze e che portò con sé in area milanese, diffondendo tali conoscenze. I suoi ritratti sono spesso frutto di varî studi prima di giungere alla realizzazione finale, si pensi alla Testa di Leda, e generalmente sono accomunati da questi sguardi che “parlano”: si pensi alla Gioconda, alla Scapigliata, anche se più tarde, o alla già citata Dama con l’ermellino, nonché proprio alla Belle Ferronnière. L’artista vinciano dava una significativa importanza agli occhi e allo sguardo, poiché questi esprimono l’animo della persona stessa.
Leonardo da Vinci (con riprese successive?), Studio per testa di Leda (1505-1506 circa; pietra rossa naturale su carta preparata rosso-rosata, 200 x 157 mm; Milano, Civico Gabinetto dei Disegni del Castello Sforzesco) |
Leonardo da Vinci, Testa di donna detta la Scapigliata (1504-1508 circa; terra ombra e ambra inverdita lumeggiata di biacca su tavola, 24,7 x 21 cm; Parma, Galleria Nazionale) |
Leonardo da Vinci, La Gioconda (1503-1513 circa; olio su tavola, 77 x 53 cm; Parigi, Louvre) |
La Belle Ferronnière è rappresentata seduta, a mezzo busto, e girata di tre quarti: nonostante lo sguardo della fanciulla sembri rivolgersi direttamente all’osservatore, in realtà è leggermente spostato. Ciò risulta quasi impercettibile, ma gli occhi della dama non incontrano mai gli occhi dell’osservatore. Quest’ultimo è costretto a traslarsi verso destra per cogliere pienamente la direzione verso cui guarda la figura: si tratta infatti di un’occhiata sfuggente, in movimento. A tal proposito, lo storico dell’arte britannico Martin Kemp ha notato come questa particolare posizione della figura e lo sguardo ambiguamente distolto portino ad assimilarla a una scultura, attorno alla quale l’osservatore sarebbe portato a girare, nel tentativo d’incrociare quegli occhi sfuggenti. Un espediente che esprime il senso dinamico del volume e che si rivela maggiormente accentuato in quest’opera rispetto ad altri ritratti compiuti da Leonardo, come nel caso della Dama con l’ermellino, il cui volto e sguardo è evidentemente rivolto verso la sua sinistra, in atto di fissare un elemento definito, fuori dalla tela.
Leonardo da Vinci si formò nella bottega del Verrocchio (Andrea di Cione, Firenze, 1435 – Venezia, 1488), la cui attività di scultore era più significativa rispetto a quella di pittore: egli rivelò al suo allievo la possibilità di applicare alla pittura e al disegno i principî della scultura: spazio, volume e molteplicità di punti di vista. Nella sua bottega, pittura e scultura dialogavano: in pittura venivano utilizzati modelli plastici ed esemplari pittorici potevano essere usati per opere tridimensionali. La Belle Ferronnière ha in sé caratteri scultorei, ed è evidente se la poniamo a confronto con la Dama col mazzolino del Verrocchio. Quest’ultima venne realizzata da Andrea del Verrocchio tra il 1475 e il 1478, e oggi è custodita presso il Museo Nazionale del Bargello di Firenze. Nella Dama col mazzolino si coglie il naturalismo del volto e del gesto, così come è naturale il volto della Belle Ferronnière, e in quest’ultima si possono notare le forti valenze plastiche: si conferma perciò, grazie a una comparazione tra le due opere citate, il menzionato interscambio tra pittura e scultura, che dà valenza tridimensionale alla pittura e nello stesso tempo un trattamento pittorico alla scultura.
Nella Belle Ferronnière, il senso dello spazio è inoltre percepito grazie alla balaustra che si interpone tra la dama e l’osservatore e grazie allo sfondo scuro, ma sfumato, su cui si staglia il ritratto. Chi guarda il dipinto è suggestionato dall’impressione che quello sfondo scuro sia un ambiente di discrete dimensioni, delimitato frontalmente dalla balaustra, oltre la quale la fanciulla sta volgendo lo sguardo. Tuttavia, la dama è illuminata da una luce calda, che rende sensibile al calore la pelle e crea un gioco di luci e ombre sulle vesti del prezioso tessuto. Nel riflesso rosato che si intravede sulla guancia sinistra è stata percepita l’applicazione degli studî d’ottica e degli studî d’ombra e di lume dei primi anni Novanta del Quattrocento, e in particolare degli studî sulle ombre colorate.
Leonardo da Vinci, La Belle Ferronnière, dettaglio del volto |
Leonardo da Vinci, La Belle Ferronnière, dettaglio del gioiello |
Leonardo da Vinci, La Belle Ferronnière, dettaglio della veste |
Verrocchio, Dama col mazzolino (1475-1478; marmo, altezza 61 cm; Firenze, Museo Nazionale del Bargello) |
La fanciulla indossa un abito di colore rosso con scollatura squadrata, decorato con profili dorati; il color oro si ritrova anche nei nastri che legati a fiocchetto ornano le maniche, che secondo la moda del tempo erano estraibili; al di sotto delle maniche appaiono gli sbuffi di una camicia bianca. Il collo è impreziosito da una collana che le scende sul seno, annodata a un nastro. I capelli sono raccolti secondo una pettinatura tipicamente rinascimentale: spartiti al centro e legati con una coda bassa che le copre le orecchie. Attorno al capo si nota una sorta di filo sottile che regge un piccolo gioiello collocato al centro della fronte. Questa catenella con gioiello era adoperata molto dalle dame di fine Quattrocento e, oltre ad adornare la fronte, era molto utile per tenere salda l’acconciatura: è proprio dal dipinto che questo gioiello è stato denominato “ferronnière”. La denominazione con cui l’opera è nota, letteralmente “la bella moglie del ferramenta”, è frutto di un errore commesso in una catalogazione settecentesca, secondo cui la dama ritratta raffigurava Madame Ferron, amante di Francesco I di Francia.
Relativamente alla vera identità della ragazza, sono state avanzate nel corso degli anni diversi nomi: Cecilia Gallerani, la stessa fanciulla che Leonardo aveva ritratto nella Dama con l’ermellino, magari in età maggiore rispetto al dipinto del Museo Nazionale di Cracovia; Beatrice d’Este, moglie di Ludovico il Moro. La dama è stata successivamente identificata, ottenendo un certo consenso di critica (benché non in maniera unanime), con Lucrezia Crivelli, dama di compagnia di Beatrice d’Este e amante dello stesso Ludovico, che gli diede un figlio nel 1497. Il dipinto sarebbe stato riconosciuto in tre epigrammi inediti di Antonio Tebaldeo (Ferrara, 1462 – Roma, 1537), riportati nel Codice Atlantico: il secondo epigramma recita “Huius quam cernis nomen Lucretia, Divi / Omnia cui larga contribuere manu. / Rara huic forma data est; pinxit Leonardus, amavit / Maurus, pictorum primus hic, ille ducum”. Si tratta d’una corrispondenza che è stata sottolineata di recente, grazie soprattutto al lavoro dello storico dell’arte Carmelo Occhipinti, che al rapporto tra i distici del Codice Atlantico e il ritratto ha dedicato pagine importanti: secondo lo studioso, Leonardo preferì “che il ritratto di Lucrezia non avesse l’anima” (perché come d’una donna senz’anima ne parla Tebaldeo nel primo epigramma) così che “fosse niente di più di un dipinto, per quanto somigliante, rinunciando così a renderlo, prodigiosamente e paradossalmente, vera creatura vivente al pari della vera Lucrezia”. In altri termini, spiega Occhipinti, “nessuno di noi, di fronte al ritratto di Lucrezia, sarebbe in grado di impadronirsi dell’anima di Lucrezia, per la semplice ed evidente ragione che Lucrezia non ci guarda. Lucrezia non è nostra. I suoi occhi non sono per noi, non incontrano i nostri. Ci sfuggono. Guardano altrove. Se Leonardo li avesse dipinti rivolti esattamente verso di noi, non avremmo retto a tanto splendore direttamente promanato dall’anima di Lucrezia: Leonardo ha inteso così difendere l’osservatore dalla potenza della bellezza di Lucrezia e della sua ricchezza interiore, dimostrandosi altresì, nel fare questo, massimamente rispettoso nei riguardi di Ludovico il Moro e del suo amore per Lucrezia”. Come ha rimarcato anche Pietro Marani, quella di Tebaldeo era una “sottilissima acrobazia letteraria in onore, a un tempo, di Ludovico il Moro e di Leonardo, paragonabile a una vera e propria ecfrasis”.
L’opera venne portata a compimento, come già affermato, negli anni di soggiorno milanese di Leonardo, più precisamente tra il 1493 e il 1495. Sulla paternità leonardiana non figurano più dubbî: l’opera, oggetto di un acceso dibattito critico tra la fine del XIX secolo e gli inizî del successivo (all’epoca ci furono illustri studiosi che preferirono assegnarla ad altri: per esempio, Gustavo Frizzoni e Bernard Berenson l’ascrissero alla mano di Giovanni Antonio Boltraffio, anche se poi successivamente Berenson si ricredette e si espresse a favore di Leonardo), fu poi quasi assegnata a Leonardo in maniera pressoché unanime (uniche voci discordi quelle di Jack Wasserman nel 1975 e quella di Sylvie Béguin nel 1983) per essere stabilmente confermata nel 2007 nel catalogo dei dipinti del Louvre. L’opera, infatti, oggi fa parte delle collezioni parigine del Louvre. Attualmente però è stata trasferita presso il Louvre Abu Dhabi, il museo che il Louvre di Parigi ha aperto nella capitale degli Emirati Arabi Uniti nel novembre 2017: il quadro rimarrà in quella sede per un periodo di tempo nell’ambito di un programma di prestito, destando non poche polemiche nel mondo culturale internazionale.
Bibliografia di riferimento
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.