L’Adorazione dei Magi di Leonardo, conservata presso la Galleria degli Uffizi, è qualificata di consueto come opera incompiuta, e l’interruzione del lavoro è tacitamente collegata al trasferimento a Milano, anche se restano dubbi sulla congiuntura che indusse l’artista a lasciare il luogo d’origine. Non abbiamo dettagli sul viaggio, ma il Codice Atlantico ha conservato un elenco prezioso che si presume sia stato stilato in occasione della partenza da Firenze o dell’arrivo in Lombardia: quasi tutte immagini relative alla figura umana, teste, nudi, “molte braccia, gambe, piedi e attitudine”, oltre a “certi San Girolami” e “una Nostra Donna finita”. Se la Madonna non è identificabile, è possibile invece che fra i San Girolamo fosse compresa la tavola oggi conservata nella Pinacoteca Vaticana (fig. 1). Restò ovviamente a Firenze l’Adorazione, la grande tavola quadrata commissionata a Leonardo nel 1481 dagli Agostiniani destinata all’altar maggiore della chiesa di San Donato a Scopeto (fig. 2); dopo l’allontanamento dell’autore, e in epoca imprecisata, l’opera fu collocata nel palazzo dei Benci, come attesta Vasari nella Vita della edizione giuntina. L’esecuzione di almeno due effigi di Ginevra Benci, da parte di Leonardo e da parte del Verrocchio, e i rapporti dello stesso Leonardo con il fratello di Ginevra, Giovanni, attestano un legame concreto con la famiglia, ed è credibile che la tavola fosse conservata presso di loro, dopoché nel 1496 Filippino Lippi ebbe consegnata la pala d’altare che sostituì quella dell’inadempiente Leonardo.
Sul tema si era consolidata da tempo una contaminazione fra gli schemi iconografici della Natività e dell’Adorazione dei Magi: presso un edificio dove la Sacra Famiglia aveva trovato rifugio (capanna, edificio diroccato e varianti) il Bambino infante è attorniato dai Magi e da una folla di personaggi appartenenti a un ceto elevato, accompagnati da cavalli e servitori; una dilatazione del corteo dei saggi venuti dall’oriente, in cui si associavano con misura sacro e profano, e che a Firenze comprendeva una serie scaglionata tra la prima metà e la fine del XV secolo: dalla pala Strozzi di Gentile da Fabriano e dai tondi di Domenico Veneziano e del Beato Angelico (con Filippo Lippi) fino alle soluzioni più note degli ultimi decenni del secolo (di Botticelli e del Ghirlandaio, per esemplificare). Tutte opere che proiettano un evento della storia sacra in una contemporaneità rievocata in forma teatrale, e che, in relazione a ciò, viene arricchita da forme di divagazione narrativa legate ai precedenti della Fuga, il parto virginale di Maria o il viaggio dei Magi.
1. Leonardo, San Gerolamo penitente (Città del Vaticano, Pinacoteca Vaticana) |
2. Leonardo, Adorazione dei Magi (Firenze, Galleria degli Uffizi) |
Il dipinto vinciano è stato oggetto di una complessa opera di restauro e di indagini condotte con il sostegno delle più sofisticate tecnologie, e studi approfonditi hanno analizzato i mezzi e i materiali usati dall’artista, accertandone la varietà e la complessa stratificazione, traendo da ciò elementi tali da far supporre, pur con interrogativo, che nell’Adorazione si possano scorgere due interventi distanziati nel tempo. Ritengo del tutto legittimo che chi abbia lavorato a lungo, con costante attenzione e con viva partecipazione, al recupero di un’opera di peculiare rilievo come lo straordinario abbozzo vinciano, esprima una sua opinione sui risultati conseguiti, e nondimeno credo che l’ipotesi citata richieda una verifica di taglio storico, allargata al complesso delle attività di Leonardo. L’eventualità di un forte distanziamento nella lavorazione dell’opera è sostenuta parallelamente da uno studioso autorevole, Edoardo Villata, in un quadro impegnativo di cui è opportuno discutere. Villata delinea una ricostruzione delle vicende puntando sulle molteplici novità dell’Adorazione, istituendo confronti con altri dipinti vinciani, e fino a profilare un percorso di Leonardo alternativo a quello fissato dalla letteratura pertinente: una sequenza che, riepilogata sinteticamente, collocherebbe nell’ordine una prima stesura dell’Adorazione (1480-81), lo spostamento a Milano, la Vergine delle rocce, il Cenacolo, una seconda stesura dell’Adorazione all’inizio del Cinquecento; arduo avventurarsi in una dettagliata distinzione fra i due interventi. Una visione che, stando ai confronti proposti, suggerisce una sotterranea svalutazione del primo Leonardo ‘fiorentino’ e una esplicita valorizzazione del Leonardo ‘lombardo’; distinzione che non giova a una corretta impostazione del problema, e che soffre per la sopravvivenza di alcuni schemi: l’attribuzione di una carica ascensionale al percorso di ogni artista e il disconoscimento della precocità di alcuni, spesso i più dotati (Raffaello è il caso più clamoroso, non il solo). Non si può certo ignorare la portata degli studi che hanno posto in luce la crescita intellettuale del vinciano a partire dagli anni Ottanta, legata alla sua presenza a Milano e ai contatti con personalità rappresentative come Bramante e Luca Pacioli, per fare qualche nome; e non ho motivo per difendere una priorità della cultura figurativa toscana, alla quale lo stesso Villata fa riferimento spesso e con sicura competenza, ma ritengo opportuno richiamare un dato essenziale che caratterizza Leonardo: in contraddizione con una sorta di incostanza e di propensione alla dispersione che tendenzialmente gli si attribuiscono, il vinciano manifesta nella multiforme attività di ricerca una vivacità di interessi e di intenti che non risulta strettamente ancorata ai suoi spostamenti, anche se si esprime attraverso forme di variabile spessore. Cercherò di darne conto con qualche esemplificazione, limitando il mio discorso a ciò che l’artista realizzò con il linguaggio visivo, senza entrare nell’ambito di quella vasta area da cui egli trasse materia per le incursioni pertinenti a problemi di meccanica, ottica, anatomia e non solo. Per esigenze di sintesi cercherò di delineare almeno tre di quelle linee portanti che ritengo caratterizzino il leonardesco “bozzare delle storie”, e che trovano molteplici riscontri nell’Adorazione dei Magi.
Il celebre Paesaggio del foglio 8 P del Gabinetto Disegni e Stampe, cui compete una bibliografia superiore a quella dell’Adorazione, reca una data, 1473, che corrisponde a una prima maturità dell’artista, successiva ai primi interventi nella pittura; e vi si esprime un Leonardo già sicuro nell’indagare la realtà privilegiando una visione dall’alto, allargando il campo visivo oltre il limite naturale, come molte voci qualificate hanno indicato (fig. 3). Anche il protagonista dell’Adorazione, il Cristo Bambino, presuppone un riguardante che si trovi in posizione elevata, dalla quale sia agevole cogliere la rotazione, quasi il volteggio della figurina, una mano sollevata a benedire, l’altra che, con umana curiosità, si allunga verso il cofanetto offerto da uno dei Magi (una brillante invenzione iconografica che mi pare complessivamente ignorata, o comunque non adeguatamente valutata, fig. 4). Tutto il gruppo di astanti, scrutato da punti di vista diversi, richiama quelle che saranno le ricerche sul Volo, e l’attrazione di Leonardo per le vette elevate e idealmente irraggiungibili, attestata stenograficamente dai picchi rocciosi presenti in tutta la sua opera. Allorchè, adolescente, irrompe nel Battesimo rimasto ‘a mezzo’ nella bottega del Verrocchio, Leonardo scarta la simmetria dell’assetto primitivo, introduce l’angelo privo di ali che sovrasta il suo compagno, e quindi sfonda l’immagine al centro con una vallata delimitata da una catena di cime aguzze dai versanti scoscesi (fig. 5). Forme insolite per la morfologia del territorio toscano, dove risultano piuttosto rare, e dunque scelte con intenzione, e riproposte senza cesure nei disegni giovanili (anche nel foglio 8 P r/v) e nei dipinti: in versione estesa nella monacense Madonna del garofano e nell’Annunciazione degli Uffizi(fig. 6), in versione ridotta nel San Girolamo e nell’Adorazione dei Magi. Congiuntamente, in questa serie, affiora una tendenza a innovare gli schemi iconografici, come si verificherà più apertamente nell’exploit della Vergine delle rocce e negli esiti successivi. Superfluo ricordare l’affermarsi di una vera e propria ‘passione orografica’ nelle opere e nelle riflessioni della maturità, dei cui significati profondi altri ha già detto con acutezza.
Un altro tratto determinante della figuralità vinciana è imperniato sull’uomo e sulla postura abbinata al gesto, ovvero una estensione degli arti che in alcuni schizzi è impostata in forma alternativa (alto/basso, sinistra/destra); richiamo l’attenzione sulle mani che avanzano dal fondo per porgere o per sorreggere, con una concentrazione nel San Girolamo, dove un braccio è proteso, l’altro ricondotto al petto, e il ginocchio ossuto preannuncia un sollevamento del corpo vigoroso. Mani e braccia sono protagonisti determinanti anche nell’Adorazione, dove lo schema fissato dalla tradizione viene frantumato e ricomposto senza riguardo per le esigenze della devozione, e soprattutto senza riguardo per la pertinenza con i corpi. Valga l’esempio limite della mano dall’indice puntato in alto, di cui sarebbe vano cercare il rapporto con un personaggio, giacchè la stessa mano sorge senza radici da un coagulo d’ombra dove convergono uomini e cavalli (fig. 7, nell’angolo in basso a sinistra). Sono moduli di cui si trova agevolmente il riscontro nelle opere successive e soprattutto nel Cenacolo, peraltro avendo chiara la necessità di considerare le esigenze poste dalla differenza dei soggetti. Nell’analogia fra il braccio sinistro del San Girolamo, quello di Cecilia Gallerani che sfiora l’ermellino, o quello dell’Apostolo Filippo nel Cenacolo (figg. 8, 9, 10), si colgono il dominio e la straordinaria capacità di adattamento di un maestro che elaborava costantemente il proprio repertorio, ma lavorando attorno ad alcune idee primitive senza distaccarsene del tutto, e soprattutto con l’intento di indagare e conoscere anteposto all’esigenza di raffigurare.
3. Leonardo, Paesaggio del 1473, particolare (Firenze, Galleria degli Uffizi, Gabinetto Disegni e Stampe, 8 P); 4. Leonardo, Adorazione dei Magi, particolare |
5. Verrocchio e Leonardo, Battesimo di Cristo, particolare (Firenze, Galleria degli Uffizi); 6. Leonardo, Annunciazione, particolare (Firenze, Galleria degli Uffizi); 7. Leonardo, Adorazione dei Magi, particolare |
8. Leonardo, San Gerolamo penitente, particolare; 9. Leonardo, Cenacolo, particolare (Milano, Santa Maria delle Grazie); 10. Leonardo, Dama dell’ermellino, particolare (Cracovia, Museo Czartoryski) |
Segnalo infine un terzo elemento peculiare dell’imagerie leonardiana, ovvero la commisurazione dell’energia del corpo umano con la più ampia e diffusa vitalità della natura, ovvero con le meravigliose potenzialità degli organismi animali.
L’analogia fra l’uomo e l’animale che condurrà Leonardo alla compilazione del Libro sul volo degli uccelli (1505) ha una puntuale rispondenza nel rapporto fra l’uomo e il cavallo: un testo specifico probabilmente vi fu e risulta perduto (“Un libro di cavalli… pel cartone” scrive Leonardo intorno al 1504), ma il nodo problematico sopravvive in un’ampia serie di disegni dedicati a questo tema. Il cavallo, nel quale si associano in ugual misura potenza e velocità, costituisce, con l’atleta che lo cavalca, un insieme fisico ed emotivo che spinge Leonardo a uno studio attento fin dai suoi primordi; i disegni e soprattutto l’Adorazione dei Magi testimoniano anche un dato che ha ricevuto fino ad oggi scarsa attenzione (figg. 11,12): sia in una situazione di quiete, nella parte sinistra della tavola, sia in movimento, cioè nell’episodio della lotta situato nella fascia superiore, il cavaliere vinciano sembra nudo o seminudo, non si vale di sella e di staffe, e cavalca ‘a pelo’ un cavallo privo di briglie e di morso, il che implica una stretta sintonia con l’animale; si tratta infatti di una forma di equitazione non facile, per la quale è indispensabile una piena aderenza del cavaliere al corpo del cavallo. Quando nel 1503 progetterà la Battaglia d’Anghiari, Leonardo proseguirà per questa via, e, nel “groppo di cavalli” (Vasari) conservato dal celebre disegno rubensiano (fig. 13), anche i condottieri risultano privi di calzari e di speroni, così come i cavalli partecipano spontaneamente alla lotta pur essendo privi di briglie e bardatura. Come ho avuto modo di precisare in passato, più che di una realistica lotta fra due coppie di condottieri di parte avversa, quello che Leonardo propone è uno scontro fra quattro centauri.
A quanto detto fin qui, la storia fornisce altra materia di riflessione: non per contestare la stratificazione attestata dal restauro, ma per mettere in dubbio un prolungato intervallo fra due stesure e un marcato divario fra un Leonardo ante e post 1482.
11.Leonardo, Adorazione dei Magi, particolare; 12. Leonardo, Cavallo e cavaliere (lo stesso soggetto in due visioni diverse). Cambridge, Fitwilliam Museum; 13. Rubens, Copia dal cartone della Battaglia d’Anghiari, particolare (Parigi, Louvre) |
Nei primissimi anni del Cinquecento l’artista è impegnato con Cesare Borgia, e solo dopo il fallimento di questa avventura (1502-1503) tornerà a Firenze per assolvere agli impegni presi con il governo della città (1501), dove resterà più di due anni, (1503-1506), operando con “febbrile applicazione” (Galluzzi). Sarà ospitato con i suoi aiutanti dai Serviti della SS.Annunziata, ed è qui che avrà un laboratorio ‘a porte aperte’. Lo dicono alcune fonti, ma lo testimonia l’attenzione che alcuni artisti, e fra i primi Raffaello, riserberanno all’officina vinciana e ai progetti pertinenti a due tematiche, una immagine della Madonna con Sant’Anna (un’iconografia in cui s’intrecciano divinità e maternità naturale), e un rinnovamento della struttura del ritratto, nella prospettiva di quella che sarà la Gioconda. Peraltro Leonardo voleva approntare per la Battaglia un cartone di grandi dimensioni, e otterrà di operare in un ambiente riservato a quella impresa, la Sala del Papa in Santa Maria Novella, e lì si svolgeranno le operazioni che precedettero lo sfortunato tentativo della pittura murale in Palazzo Vecchio. Ma Pier Soderini aveva richiesto il ritorno di Leonardo per averne altri contributi, legati a diverse esigenze del territorio. Le competenze di Leonardo erano note, ed egli compirà varie ispezioni lungo il corso dell’Arno e sulla costa, al porto di Piombino, elaborando carte di cui Paolo Galluzzi ha evidenziato l’originalità: “Attraverso la visione a volo d’uccello…Leonardo ottiene risultati così efficaci e innovativi da far cadere la tradizionale netta distinzione fra disegno cartografico e disegno di paesaggio”. Un’attività che lo vedeva impegnato come esperto di problemi idrogeologici e come architetto militare. Contemporaneamente Leonardo portava avanti i suoi studi di anatomia dedicandosi alla dissezione presso l’Ospedale di Santa Maria Nuova: ricerche di cui Domenico Laurenza ha ricostruito in forma approfondita l’estensione nel tempo ma anche il forte impegno scientifico-filosofico e la partecipazione emotiva.
Il ritorno a Firenze all’inizio del secolo fu dunque caratterizzato da un’attività molto intensa, oltrechè diramata, ed è difficile pensare che Leonardo potesse operare come pittore in altro luogo oltre a quelli citati, accostandosi a un lavoro interrotto venti anni prima, e per riprenderlo solo parzialmente, quasi a capriccio. Una eventualità di cui non c’è traccia nella fitta stesura di appunti autografi.
In definitiva la questione è un’altra, e ne avevano già fatto cenno studiosi ai quali si devono contributi di valore, opportunamente citati da Villata. Se si considera lo sforzo innovativo della composizione d’insieme, dove le componenti s’incrociano e si sovrappongono secondo una sintassi profondamente diversa rispetto a quella adottata con successo dai contemporanei; una composizione nella quale pochi personaggi sono riconoscibili e alcuni episodi risultano splendidamente isolati e indipendenti... ebbene, sembra impossibile che Leonardo abbia potuto pensare di procedere oltre, e magari di rivestire di colori quel baluginante consesso monocromo dal quale si sprigionano azioni, emozioni e molteplici suggestioni: come avverrà per la Scapiliata, e forse per la Gioconda nuda (prima che dopo la morte del maestro un allievo vi mettesse le mani). L’interruzione vi fu, ma ritengo si debba rispettare quella che fu una sospensione ‘ragionata’ dell’artista, conscio di aver condotto un esperimento che andava ben al di là dell’impegno professionale, una testimonianza che poteva proporsi come occasione di confronto e di stimolo a una ristretta cerchia di ‘intendenti’, ma che, al di là di ciò, pochi avrebbero saputo apprezzare e soprattutto condividere.
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