I Canonici Regolari di Sant’Agostino probabilmente non immaginavano che il dipinto che avevano commissionato a Leonardo da Vinci (Vinci, 1452 - Amboise, 1519) nel 1481 non sarebbe mai stato terminato. Anzi: attesero per anni che il grande genio del Rinascimento facesse ritorno a Firenze per portare a compimento la sua Adorazione dei Magi, che i frati volevano destinare alla chiesa di San Donato in Scopeto, poi distrutta poco prima dell’assedio del 1529. Ci volle almeno un decennio per far comprendere ai canonici quanto fosse incostante Leonardo: così, nei primi anni Novanta, l’incarico fu assegnato a Filippino Lippi, che finì di dipingere la propria Adorazione nel 1496. Fu quello il dipinto che poi andò a decorare la chiesa. Quello di Leonardo, invece, non solo non fu mai posto sull’altare che doveva accoglierlo, ma non fu mai neppure terminato. Eppure, malgrado il suo stato d’incompiutezza, lo si può annoverare tra le opere fondamentali del Rinascimento.
“È un’opera straordinariamente più moderna di tutto quello che si dipingeva a Firenze in quegli anni”. A dircelo è Marco Ciatti, il Soprintendente dell’Opificio delle Pietre Dure: assieme a Cecilia Frosinini ha diretto il restauro di questo immenso capolavoro. Il Soprintendente non ama molto la parola “capolavoro”, ma di fronte a un’opera del genere decide di sciogliere ogni riserva. Si tratta di un dipinto che introdusse innovazioni capitali per l’arte del tempo. "I personaggi rappresentano la parte artisticamente più significativa dell’opera: una turba di persone che ruotano attorno alle figure principali e che con i diversi atteggiamenti, con i loro scambi e con le loro relazioni reciproche costituiscono la grande novità della pittura di Leonardo di quel tempo. Questi moti dell’animo di cui parlava Vasari, quest’espressione dei sentimenti denotano uno spirito che anticipa l’arte del Cinquecento. Pensiamo che nel 1481 era pienamente attivo Neri di Bicci, tanto per fare un confronto con quanto c’era attorno". Ispirandosi all’Adorazione che l’amico Sandro Botticelli aveva dipinto circa cinque anni prima e con la quale aveva di fatto inventato la novità iconografica della Sacra Famiglia in posizione centrale, Leonardo ideò un’opera dallo schema simile, ma volle dedicare gran parte della sua attenzione alle reazioni degli astanti, stupiti dal Bambino che li benedice con la mano destra, rivelando la propria natura divina: un gesto capace di suscitare una ridda di convulse emozioni, del tutto assente nel compassato dipinto di Botticelli.
Leonardo da Vinci, Adorazione dei Magi (1481-1482; disegno a carbone, acquerello di inchiostro e olio su tavola, 246 x 243 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi |
L’Adorazione dei Magi prima del restauro |
C’è anche altro. L’elaborazione della composizione fu alquanto faticosa: a testimoniarcelo sono i disegni preparatorî che si sono conservati. Da notare come l’artista abbia organizzato lo spazio: c’è una specie di vuoto circolare attorno alle figure della Madonna e del Bambino. Dietro, gli astanti si dispongono a semicerchio: si sporgono, indicano, manifestano con chiarezza i loro sentimenti. Ancora più indietro, sembra che stia infuriando una battaglia, sulla destra, mentre a sinistra notiamo le porzioni d’un edificio, apparentemente in rovina, in realtà in costruzione (o meglio: in ricostruzione, restauro), vicino al quale s’agita un’ulteriore piccola folla. Proprio il fondo, per Antonio Natali, costituisce il principale elemento per comprendere il sostrato iconologico dell’opera di Leonardo. L’edificio, in particolare, unico dettaglio presente in entrambi gli studî riferiti all’intera composizione che si conoscano (incluso quello conservato al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, dove non compaiono le figure principali), è con tutta probabilità il simbolo più importante dell’opera. “Credo che Leonardo”, continua Marco Ciatti, “abbia voluto trasmetterci un messaggio in accordo con gli scritti di sant’Agostino: l’umanità, a seguito della venuta di Cristo, è cambiata, come si evince chiaramente dalle reazioni dei personaggi, e Cristo, con la sua nascita, ha portato un nuovo messaggio”. Le nuove evidenze emerse dal restauro hanno consentito infatti di scartare definitivamente la vecchia ipotesi che voleva l’edificio sullo sfondo come tempio pagano in rovina e quindi simbolo delle antiche religioni in declino a seguito dell’avvento del Cristianesimo. Natali lo spiega bene nel suo saggio sul catalogo della mostra Il cosmo magico di Leonardo. L’Adorazione dei Magi restaurata, l’esposizione che ha presentato al mondo il capolavoro dopo il lungo intervento presso l’Opificio delle Pietre Dure, iniziato nel 2012 e terminato nel 2017. Le due rampe di scale dell’edificio sul fondo ricordano molto da vicino quelle che conducono al presbiterio della basilica di San Miniato al Monte a Firenze: Leonardo voleva che fosse chiaro il fatto che l’edificio che osserviamo è un tempio. Un tempio la cui presenza cozza con quella della scena di battaglia a destra.
Leonardo da Vinci, Adorazione dei Magi (1481-1482; disegno a carbone, acquerello di inchiostro e olio su tavola, 24,6 x 24,3 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi |
Leonardo da Vinci, Studio per l’Adorazione dei Magi (1481; disegno a penna e inchiostro marrone su carta, 28,4 x 21,3 cm; Parigi, Louvre, Cabinet des Dessins) |
L’interpretazione si fa più chiara se si legge il libro del profeta Isaia (la cui presenza sarebbe talmente forte da aver indotto Leonardo a raffigurare il profeta, almeno secondo Natali, nei panni dell’uomo in piedi a sinistra, assorto nei suoi pensieri), dove alla profezia della nascita di Cristo s’alternano racconti di devastazioni, come l’immagine della città in rovina che simboleggia l’indurimento del cuore del popolo insensibile al messaggio di Isaia, e racconti di pace perpetua, fondata peraltro proprio sulla ricostruzione del tempio di Dio (“Alla fine dei giorni, il monte del tempio del Signore sarà eretto sulla cima dei monti e sarà più alto dei colli; ad esso affluiranno tutte le genti”). Questa riedificazione, in accordo con il pensiero di sant’Agostino e in linea con gli scritti di Isaia (entrambi ritenevano che la salvezza riguardasse tutte le genti, e non soltanto i cristiani), sarà messa in atto anche da quelli che il profeta chiama “stranieri” (“Stranieri ricostruiranno le tue mura, i loro re saranno al tuo servizio, perché nella mia ira ti ho colpito, ma nella mia benevolenza ho avuto pietà di te”). Ne consegue che la scena a destra evoca le distruzioni e le guerre che sconvolgono il mondo, mentre il tempio simboleggia la pace e la riconciliazione portata, almeno secondo l’interpretazione cristiana, dal Signore. A suggellare l’universalità di questo messaggio avrebbe dovuto contribuire una specie di tetto che univa i due lati del dipinto, presente nel disegno degli Uffizi, ma non incluso poi nella pala.
Come si diceva, è anche grazie al restauro che queste ipotesi hanno potuto trovare conforto. La figura dell’uomo in piedi sulle scale intento in un lavoro di muratura s’è potuta riscoprire solo grazie alle indagini preliminari: è stata individuata attraverso le riflettografie, quindi i restauratori l’hanno riportata alla luce. “La nostra metodologia”, ci spiega Marco Ciatti, "prevede sempre, per qualunque opera, una prima fase di indagini e di studio, che serve per la comprensione esatta della materia, delle tecniche artistiche, dei problemi di conservazione della materia stessa. Di solito facciamo anche, contemporaneamente, un approfondimento dello studio dei significati, dei contenuti, di quelli che vengono chiamati valori immateriali che un’opera trasmette, perché dai risultati di questi due filoni di studio e di ricerca si comprendono quali debbano essere gli obiettivi del progetto di intervento. Quindi per mettere a punto un intervento occorre una fase di studio e di ricerca. Nel caso di un dipinto molto difficile come l’Adorazione dei Magi, in quanto opera non finita, tutto questo ha richiesto più di un anno di lavoro, prima di poter decidere che era opportuno e possibile eseguire una pulitura, e quindi la nostra metodologia ha consentito di capire la fattibilità di questo intervento e di definirne, almeno in una prima fase di progetto esecutivo, i singoli aspetti". E pensare che da molti il restauro era stato ritenuto fuori luogo: ne erano sorte polemiche perché si pensava che un intervento avrebbe potuto comportare dei rischi e causare danni a un’opera che in diversi consideravano intoccabile. Fortunatamente non è andata così, e l’Opificio ha potuto procedere col restauro di quella che, con i suoi quasi due metri e mezzo di larghezza per altezza, è la più grande tavola di tutta la produzione vinciana.
Dettaglio: l’uomo sul tempio prima e dopo il restauro |
Dettaglio: la presunta figura di Isaia prima e dopo il restauro |
Un restauro che ha coinvolto tanto la superficie quanto la struttura (con intervento di Roberto Bellucci e Patrizia Riitano per la prima, e di Ciro Castelli e Andrea Santacesaria per la seconda), e che si era reso necessario per diversi motivi. Intanto, la superficie del dipinto si trovava in condizioni di leggibilità decisamente precarie, causate da accumuli di materiali che si erano sovrapposti nel corso dei secoli. “Questi accumuli”, ci illustra il Soprintendente, “sono abbastanza frequenti nelle collezioni granducali”. Il dipinto, rimasto a Firenze dopo la partenza di Leonardo per Milano, stando a quanto afferma Vasari finì nella casa di un cliente del pittore di Vinci, Amerigo de’ Benci, uno degli uomini più importanti del banco dei Medici, nonché padre di Ginevra, che Leonardo immortalò in un celeberrimo ritratto. Il primo documento che ne attesta la collocazione risale tuttavia al 1621: si tratta dell’inventario dei beni di don Antonio de’ Medici che registra il dipinto presso il Casino di San Marco, ma è comunque lecito attendersi che l’opera facesse parte delle raccolte medicee già da tempo. Poi, nel 1794 entrò nella Galleria degli Uffizi: da lì non si sarebbe più mosso. “Nelle opere che vengono dal collezionismo mediceo”, continua Marco Ciatti, “è rarissimo trovare effetti di puliture eccessive, perché vigeva un grande rispetto per la materia: tuttavia, per vivacizzare le opere e venire incontro ai varî problemi estetici, tutti gli interventi di manutenzione, che si susseguivano anche con una certa frequenza (da parte di pittori e restauratori), venivano condotti tramite lavoro di pennello, cioè con l’aggiunta e la stesura di nuovi strati di vernice per dare più brillantezza ai colori, e anche di strati di colla dati con l’idea di fortificare la solidità della pittura, e ciò ha comportato la presenza di questa massa di materiali estremamente pesante”. Ma non solo puliture eccessive: anche manomissioni per ottenere certi effetti. In alto, per esempio, dove Leonardo ha dipinto il cielo: il restauro ha fatto tornare alla luce tracce di applicazione di azzurro, che in passato qualcuno nascose con una patina coprente in modo da dare all’Adorazione dei Magi l’aspetto di un grande monocromo chiaroscurato. “L’eliminazione di questa patina pigmentata ha riaperto tutta la profondità del paesaggio, quella prospettiva aerea che è tipica di Leonardo, questo stagliarsi dell’orizzonte che prima non si vedeva minimamente”. Una scoperta che, peraltro, smentisce quanti ritenevano che non si potesse trovare alcunché d’interessante oltre quello che già si poteva scorgere osservando l’opera.
Dettaglio: volti degli astanti prima e dopo il restauro |
Dettaglio: la Madonna prima e dopo il restauro |
Ma sussiste anche un’ulteriore ragione che ha indotto gli studiosi a procedere con l’intervento di restauro. L’Adorazione dei Magi, infatti, presentava anche seri problemi strutturali: le assi della tavola si stavano separando in maniera preoccupante. La rottura avrebbe potuto causare cadute di colore, eventualità peraltro già occorsa in passato, come si è potuto evincere da alcune antiche stuccature rinvenute in corso d’opera e realizzate per riparare alcuni piccoli danni. Danni per fortuna molto limitati, e questo anche grazie alla grande qualità dello strato pittorico, preparato in maniera ottimale. Una qualità che invece non riguarda il supporto. “È costruito con dieci tavole di legno di pioppo”, continua il Soprintendente. “Ma si tratta di tavole di non buona qualità, come scelta e come taglio rispetto al tronco, quindi con una forte tendenza a deformarsi con l’invecchiamento. Uno dei punti fondamentali di tutti i dipinti su tavola è il rapporto tra tavolato e traverse posteriori che controllano il movimento. Nel nostro caso ci sono due traverse centrali molto massicce, molto rigide, e quindi quando il tavolato ha cercato di piegarsi e di deformarsi non ha potuto costruire una linea continua di deformazione, però la forza interna alla fine si è scaricata nelle giunzioni tra le tavole, e in quattro punti le tavole erano completamente separate... si erano proprio aperte da cima a fondo. Si trattava di separazioni passanti: vuol dire che da dietro si arrivava fin sotto il colore in questi spazî vuoti che si erano aperti tra le tavole, cioè il colore faceva sostanzialmente da ponte tra due tavole che si erano aperte, separate, il che è molto pericoloso. Bastava qualche movimento fuori piano per provocare una rottura della pittura sul davanti, con possibili cadute”. Ed è proprio quanto successo in antico, comportando le piccole cadute di cui si diceva poc’anzi. “Chiaramente non potevamo lasciare l’opera in queste condizioni: noi cerchiamo di lavorare pensando al futuro, e quindi l’opera, dopo essere stata in laboratorio di restauro, non poteva avere un intrinseco rischio di questo tipo. Era, insomma, un problema da affrontare e da risolvere: non è stato semplice, ma abbiamo una metodologia collaudata da tanti anni di studî, di ricerche e di esperienze e pensiamo di aver risolto anche questo problema”.
La sfida, si può dire, è stata vinta e oggi possiamo ammirare l’Adorazione dei Magi all’incirca come dovevano ammirarla i contemporanei di Leonardo da Vinci. Una sfida che, come s’è visto, ha risolto diverse problematiche e ci ha consentito di entrare più a fondo nella mente del genio: abbiamo la possibilità di decifrare meglio alcuni simboli, abbiamo ottenuto evidenza del fatto che, caso unico nella sua produzione, Leonardo avesse atteso al disegno direttamente sulla tavola, possiamo comprendere in profondità l’organizzazione prospettica dello spazio, possiamo apprezzare ancor più l’immaginazione che ha portato l’artista a render così manifesti i moti dell’animo dei suoi personaggi. Un capolavoro, in definitiva, restituito al pubblico, che dopo il restauro potrà leggerlo in modo più chiaro e potrà avvertire in maniera decisamente più forte il fascino esercitato da uno dei più grandi artisti di tutti i tempi.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).