Le porte del Battistero di Firenze, il capolavoro di Lorenzo Ghiberti


Sono forse le porte più famose della storia dell’arte: la Porta Nord e la Porta del Paradiso, che Lorenzo Ghiberti eseguì per il Battistero di Firenze, testimoniano il passaggio dal tardogotico al Rinascimento.

Il 23 novembre del 1403, Lorenzo Ghiberti (Pelago, 1378 - Firenze, 1455) firmava il contratto per la realizzazione della Porta nord del Battistero di San Giovanni a Firenze. Fu questo l’esito finale del concorso indetto nel 1401 dall’Arte di Calimala, la corporazione che riuniva i mercanti di tessuti, che da secoli si occupava della gestione del Battistero. All’inizio del Quattrocento, questa architettura era ancora il simbolo principale di Firenze, che la rendeva immediatamente riconoscibile nelle immagini dipinte. Questo luogo aveva un grande significato per i fiorentini, non soltanto dal punto di vista religioso, ma anche da quello civico: Dante Alighieri, nel canto XIX dell’Inferno, lo definisce con un tono affettuoso e familiare “il mio bel San Giovanni”. Il Battistero ricoprì questo ruolo fino al 1436, quando la cupola di Santa Maria del Fiore, progettata da Filippo Brunelleschi (Firenze, 1377 – 1446), divenne il nuovo simbolo della città toscana.

Convenzionalmente, il concorso del 1401 segna l’avvio del Rinascimento: tuttavia è bene ricordare che i processi artistici sono sempre più complessi rispetto all’indicazione di una singola data. All’apertura del nuovo secolo, la cultura artistica predominante a Firenze era quella tardogotica, ma nel giro di pochi anni iniziarono ad essere gettate le basi della nuova arte rinascimentale.

In occasione del concorso del 1401, venne richiesto ai concorrenti di realizzare una formella che rappresentasse l’iconografia del Sacrificio d’Isacco. La fama di quel concorso è legata in particolar modo agli artisti che vi presero parte: parteciparono alla competizione in sette, tra cui Jacopo della Quercia (Siena, 1374 circa - 1438) e Filippo Brunelleschi. È proprio il confronto tra quest’ultimo e Ghiberti ad essere messo in risalto e ad aver assunto caratteri quasi mitici, perché nella loro prova per il concorso presentarono due visioni artistiche differenti, sebbene entrambe considerabili moderne. Oggi è possibile osservare questo confronto da vicino al Museo del Bargello a Firenze, dove queste due formelle sono conservate. Gli artisti avrebbero dovuto consegnare la prova entro un anno. Un tempo che può sembrare lungo, ma bisogna considerare la difficoltà della tecnica di realizzazione, la fusione del bronzo a cera persa. Ebbe la meglio Ghiberti, che riportò la vicenda nei suoi Commentarii elaborati tra il 1452 e il 1455, proponendo la sua versione dei fatti.

L’arte proposta da Ghiberti risultava accattivante e allo stesso tempo rassicurante agli occhi dei committenti: seppe mantenere, infatti, alcuni elementi in grado di compiacere il gusto della committenza, ma con alcuni aggiornamenti. Era il più giovane tra tutti i concorrenti e quella vittoria rappresentò per lui un’occasione incredibile, perché grazie a quel successo conquistò la ribalta sulla scena artistica fiorentina, che era in grande fermento. Anche il suo status economico migliorò nettamente e divenne uno degli artisti più ricchi di Firenze.

Il Battistero di Firenze, con le riproduzioni delle porte (gli originali sono conservati al Museo del Duomo)
Il Battistero di Firenze, con le riproduzioni delle porte (gli originali sono conservati al Museo del Duomo)
Lorenzo Ghiberti, Porta Nord del Battistero di Firenze (1403-1424; bronzo dorato, 500 x 290 cm; Firenze, Museo del Duomo)
Lorenzo Ghiberti, Porta Nord del Battistero di Firenze (1403-1424; bronzo dorato, 500 x 290 cm; Firenze, Museo del Duomo)
Andrea Pisano (disegno) e Leonardo d'Avanzo (fusione), Porta Sud del Battistero di Firenze (1330-1336; bronzo dorato, 494 x 265 cm; Firenze, Museo del Duomo)
Andrea Pisano (disegno) e Leonardo d’Avanzo (fusione), Porta Sud del Battistero di Firenze (1330-1336; bronzo dorato, 494 x 265 cm; Firenze, Museo del Duomo)

La struttura della Porta nord riprende quella già realizzata tra il 1330 e il 1336 da Andrea Pisano per l’ingresso meridionale, ripetendone lo schema: ventotto formelle si dispongono su sette fasce di cui cinque, quelle superiori, illustrano scene narrative, mentre le due inferiori contengono figure singole. Rispetto ad Andrea Pisano, Ghiberti sceglie una soluzione diversa per l’incorniciatura delle scene, inserite entro una cornice polilobata: Ghiberti infatti propone una decorazione con tralci d’edera e piccoli animali, di cui è possibile notare la presenza solo con un’osservazione attenta e ravvicinata. Si possono individuare insetti come cavallette, cicale e scarabei, lucertole, serpenti e piccoli granchi: sembra di osservare la decorazione di una pagina miniata. Agli angoli di ciascuna formella sono poste teste di profeti e sibille, in totale quarantotto, che creano un gioco di sguardi non soltanto tra di loro, ma anche con l’osservatore. Tra i vari volti, c’è anche quello dell’artista, che caratterizza il proprio autoritratto con il mazzocchio, tipico copricapo fiorentino dell’epoca.

Il cantiere della Porta nord durò per decenni e comportò una spesa davvero ingente per l’Arte di Calimala. Il contratto del 23 novembre 1403 venne firmato da padre e figlio, Bartolo e Lorenzo, e in esso veniva stabilito che avrebbero dovuto consegnare tre formelle all’anno. Una clausola assicurava che le parti figurate venissero lavorate direttamente da Lorenzo, per garantire il livello dimostrato nel Sacrificio d’Isacco. Agli assistenti venivano riservati lavori più meccanici: è da notare che tra questi ci sono nomi importanti come quello di Paolo Uccello, che era poco più che un bambino, ma anche quello di Donatello, che lavorò nella squadra di Ghiberti tra il 1404 e il 1407. Nel 1407 venne sottoscritto uno nuovo contratto, questa volta firmato soltanto da Lorenzo. In origine il programma iconografico prevedeva la rappresentazione di storie del Vecchio testamento, ma a cantiere già avviato, la committenza cambiò idea: venne scelto infatti di raffigurare scene delle Storie di Cristo, introdotte da otto formelle con gli Evangelisti e i Padri della Chiesa. L’ordine delle formelle deve essere letto dal basso verso l’alto. La prima storia rappresentata è quella dell’Annunciazione: il corpo della Vergine, sorpresa e spaventata dall’arrivo improvviso dell’arcangelo Gabriele, si inarca con un movimento sinuoso dal sapore ancora decisamente tardogotico, ma sulla soglia di un’architettura già in parte classicheggiante. Le storie successive rappresentano la Natività e l’Adorazione dei Magi. Quest’ultimo è un soggetto particolarmente caro all’arte tardogotica italiana, perché permetteva di immaginare particolari esotici e di cimentarsi sulla raffigurazione di vari aspetti della natura. Ghiberti, tuttavia, si discosta da questo immaginario, inserendo come solo elemento esotico una scimmia sulla spalla di uno dei personaggi al seguito dei Re Magi. Con il Battesimo di Cristo, lo scultore organizza lo spazio in maniera decisamente equilibrata, non disdegnando, però, le sinuosità dell’arte tardogotica, che utilizza per elaborare la postura del corpo di Cristo e il movimento, ampio e scenografico, del braccio del Battista. La sesta formella presenta l’episodio della Tentazione di Cristo, per passare poi alla Cacciata dei Mercanti dal Tempio e alla Flagellazione, caratterizzate dalla presenza di architetture, che faticano a trovare un’armoniosa interazione con le figure umane. Procedendo con il racconto, le scene diventano più affollate e Ghiberti riesce ad equilibrare sapientemente l’elegante linearismo con dettagli di naturalismo. La linea elegante e sottile è uno dei tratti distintivi dell’arte ghibertiana, che la rende preziosa agli occhi dell’osservatore e molto apprezzata a Firenze. In campo pittorico, in questo momento il confronto più stringente nel panorama fiorentino è quello con Lorenzo Monaco, a cui tuttavia mancava l’attenzione naturalistica che invece era ben presente nell’opera di Ghiberti. Bisognerà attendere l’arrivo in città di Gentile da Fabriano, avvenuto nel 1420, per coniugare armoniosamente questi due aspetti anche in pittura.

Lorenzo Ghiberti, Porta Nord, Annunciazione
Lorenzo Ghiberti, Porta Nord, Annunciazione. Foto di Francesco Bini
Lorenzo Ghiberti, Porta Nord, Natività
Lorenzo Ghiberti, Porta Nord, Natività. Foto di Francesco Bini
Lorenzo Ghiberti, Porta Nord, Adorazione dei Magi
Lorenzo Ghiberti, Porta Nord, Adorazione dei Magi. Foto di Francesco Bini
Lorenzo Ghiberti, Porta Nord, Battesimo di Cristo
Lorenzo Ghiberti, Porta Nord, Battesimo di Cristo. Foto di Francesco Bini
Lorenzo Ghiberti, Porta Nord, Cornice con lucertola
Lorenzo Ghiberti, Porta Nord, Cornice con lucertola. Foto di Francesco Bini
Lorenzo Ghiberti, Porta Nord, Cornice con scarabeo
Lorenzo Ghiberti, Porta Nord, Cornice con scarabeo. Foto di Francesco Bini

Le formelle furono realizzate probabilmente tra il 1415 e il 1420. Successivamente, il cantiere ghibertiano concentrò il proprio lavoro sulla realizzazione delle parti più propriamente architettoniche: gli stipiti, l’architrave e la struttura delle due ante che avrebbero ospitato le formelle. Da alcune ricerche archivistiche è emerso che Ghiberti tra il 1421 e il 1422 assoldò tre specialisti borgognoni per fondere i telai in bronzo, operazione molto complessa e che necessitava di competenze specifiche. L’inaugurazione dell’opera avvenne il 19 aprile del 1424. Inizialmente, fu montata sull’ingresso rivolto a est, quello davanti al Duomo. Rimase in quella posizione per meno di trent’anni, finché non venne sostituita dalla seconda porta che Ghiberti realizzerà per il Battistero fiorentino e che Michelangelo appellerà “del Paradiso”. In quell’occasione, le ante della prima porta vennero collocate sull’ingresso settentrionale, prendendo così definitivamente il nome di Porta nord con cui viene indicata ancora oggi. L’opera venne accolta con entusiasmo e ammirazione dai fiorentini. La fama di Ghiberti era cresciuta così tanto che nell’ottobre del 1424 è testimoniato al seguito di Palla Strozzi, il ricco banchiere fiorentino committente dell’Adorazione dei Magi di Gentile da Fabriano, che, insieme a Giovanni de’ Medici si recò come ambasciatore per conto della Repubblica fiorentina a Venezia in cerca di alleanze contro Filippo Maria Visconti, duca di Milano. Questo fatto testimonia come Ghiberti venga considerato uno degli artisti di punta del panorama fiorentino, tanto da esibirlo come massima gloria artistica della Repubblica al di là dei propri confini. La fama di Ghiberti superò ben presto l’ambiente fiorentino e, attraverso vari canali, la sua cultura artistica si diffuse in varie zone della Penisola.

La nuova commissione non tardò ad arrivare. Questa volta non venne indetto un concorso, infatti l’affidamento per la realizzazione dei battenti per il terzo e ultimo ingresso del Battistero fu diretto: questo cantiere avrebbe accompagnato Ghiberti fino alla fine della sua carriera. In una lettera del 1424, il futuro cancelliere della Repubblica Leonardo Bruni ipotizza il programma iconografico della nuova porta, immaginando la realizzazione di venti formelle con Storie del Vecchio Testamento e otto profeti, seguendo sempre la primaria scansione di Andrea Pisano. Ghiberti, invece, concepì e realizzò l’opera in maniera totalmente diversa rispetto a quella precedente: per raffigurare gli episodi del racconto veterotestamentario, infatti, decise di realizzare dieci grandi rilievi di forma quadrangolare. L’artista ritenne ormai superate le cornici polilobate delle precedenti formelle, dallo stile ancorato al gusto tardogotico, preferendo la semplicità ed immediatezza della forma quadrata. A influire su questa scelta, c’è il lavoro per il fonte battesimale del Battistero di Siena (1416-1434): a Lorenzo, infatti, si deve la paternità progettuale di quest’opera, in cui si trovò a confrontarsi nuovamente con Jacopo della Quercia e, soprattutto, con Donatello, che realizzò la celebre formella con il Banchetto di Erode. Inoltre, il panorama artistico fiorentino si stava velocemente evolvendo: Brunelleschi era impegnato nel cantiere di San Lorenzo, Donatello lavorava ai Profeti per il campanile del Duomo e Masaccio raffigurava una nuova visione dell’umanità sulle pareti della Cappella Brancacci. Ghiberti non rimase estraneo alle nuove sollecitazioni artistiche.

Anche in questo nuovo cantiere tra i collaboratori sono presenti nomi di rilievo, come Michelozzo e Benozzo Gozzoli (arrivato soltanto nel 1444): vi parteciparono anche i due figli di Lorenzo, Tommaso e Vittorio. Quest’ultimo raccoglierà l’eredità paterna, come testimoniato dalla presenza del suo autoritratto sulla nuova porta, accanto a quello del padre, posizionati in due oculi della cornice. L’unica firma apposta sull’opera è però quella di Lorenzo “[Opus] Laurentii Cionis de Ghibertis mira[bile] arte fabricatum”. L’ordine di lettura dei nuovi battenti è diverso rispetto all’opera precedente: questa volta bisogna seguire le vicende dall’alto a sinistra, proseguendo verso il basso. La prima formella contiene le Storie di Adamo ed Eva, mentre la successiva quelle di Caino e Abele. Già da queste prime due formelle, si può ammirare la maestria di Ghiberti nel gestire i vari livelli di profondità del rilievo. In seguito, si trovano Storie di Noè e dell’Arca e Storie di Abramo. Successivamente, quelle di Isacco e di Giuseppe. Infine, sono le Storie di Mosè, di Giosuè e David, per concludere con Salomone che incontra la regina di Saba. Nelle cornici, invece, Ghiberti realizza delle piccole nicchie in cui inserire figure veterotestamentarie e oculi con delle teste umane (tra cui il ritratto del figlio Vittorio e il proprio). In ciascuna formella non è rappresentata soltanto una scena, ma vari episodi dello stesso gruppo di storie.

Lorenzo Ghiberti, Porta del Paradiso (1425-1452; bronzo dorato, 520 x 310 cm; Firenze, Museo del Duomo)
Lorenzo Ghiberti, Porta del Paradiso (1425-1452; bronzo dorato, 520 x 310 cm; Firenze, Museo del Duomo)
Retro della Porta del Paradiso
Retro della Porta del Paradiso
Lorenzo Ghiberti, Porta del Paradiso, Adamo ed Eva
Lorenzo Ghiberti, Porta del Paradiso, Adamo ed Eva
Lorenzo Ghiberti, Porta del Paradiso, Storie di Giuseppe
Lorenzo Ghiberti, Porta del Paradiso, Storie di Giuseppe
Autoritratto di Lorenzo Ghiberti sulla Porta Nord
Autoritratto di Lorenzo Ghiberti sulla Porta Nord

La nuova forma quadrangolare favoriva lo sviluppo della dimensione narrativa. Per riuscire ad inserire i molteplici momenti del racconto, Ghiberti organizza la composizione sfruttando i vari livelli di profondità, grazie all’impiego delle diverse tecniche scultoree e orafe e dimostrando di saper impiegare la nuova scienza prospettica. L’opera viene progettata per essere vista da una certa distanza, mutando così la relazione tra osservatore e opera rispetto al precedente intervento. Le figure in primo piano risultano decisamente aggettanti e a tratti l’altorilievo presenta una lavorazione quasi a tutto tondo, sporgendo dalla cornice. Guadagnando profondità nella composizione, lo spessore delle figure progressivamente si assottiglia, fino ad arrivare a pochi millimetri. Il rilievo che appena affiora dalle superfici è di una tale sensibilità pittorica da raggiungere esiti inediti. Il disegno di Ghiberti continua ad essere caratterizzato da una linea elegante e sinuosa, che in queste formelle trova uno spazio più ampio per esprimersi e concretizzarsi in figure dall’atteggiamento aristocratico. Ghiberti tende ad una figurazione idealizzante, mantenendo attenzione ai dettagli naturalistici.

La porta venne terminata nel 1452. Come già anticipato, venne deciso di montare i nuovi battenti nell’ingresso posto nella facciata orientale, spostando quelli con le Storie di Cristo, posizionati soltanto trent’anni prima. Un’operazione complessa e costosa: non fu dettata da motivazioni iconografiche, ma soltanto dall’enorme ammirazione che la nuova impresa di Ghiberti suscitò: fu infatti giudicata così bella da dover essere destinata all’ingresso davanti al Duomo.

Lo scultore e orafo fiorentino dirà di se stesso : “poche cose si sono fatte d’importanza nella nostra terra se non sieno state disegnate ed ordinate di mia mano”, a dimostrazione dell’alta considerazione che aveva di sé e della sua opera. E fu un artista a cui fu riconosciuta, già vivente e poi nei secoli successivi, una grande fama.


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Francesca Interguglielmi

L'autrice di questo articolo: Francesca Interguglielmi

Storica dell'arte, laureata in Arte Medievale presso l'Università degli Studi di Siena. Attualmente si sta formando in didattica museale presso l'Università degli Studi Roma Tre.





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