Tra gli innumerevoli commentatori del Correggio mi piace scegliere la definizione sincera che ne diede Édouard Pommier in una lettera personale autografa a me inviata nell’agosto del 2006, dove lo ritiene “un artista immenso”. Tale giudizio che proviene dall’allora direttore dell’Istituto di Studi Superiori del Louvre mi ha costantemente commosso. Debbo interpretare questo aggettivo applicandolo anche alla continua felicissima sorpresa che il Correggio spalanca per noi in ogni sua opera, creando via via nella sua carriera quel giardino di delizie e di meraviglie che sarà magistrale per la nuova pittura europea.
E sorpresa felice si pone, intorno all’anno 1524, l’incantevole Pala della Madonna di San Sebastiano dipinta per l’amata città di Modena. Siamo appena dopo il gran “tour de force” degli affreschi in San Giovanni Evangelista a Parma, e dopo l’avventura mitico-simbolica delle Allegorie per Isabella a Mantova. A questa data Antonio ha appena portato la giovane sposa nella città dei suoi massimi impegni, ma conserva peraltro fragranti amicizie negli altri luoghi della giovinezza e presso persone alle quali è legato da profondi sentimenti. Ed è uno di questi amici, testimoniato dal Vasari, che con ogni probabilità gli fa ottenere la commissione, vivamente accettata; il personaggio è l’autorevole Dottore Francesco Grillenzoni, ovviamente modenese, sodale laico della Confraternita di San Sebastiano (nata nel 1501), che al calare dell’epidemia di peste del 1523 insieme ai suoi confratelli vuole un dipinto gratificante ai santi e alla Madonna per l’ottenuta grazia della vittoria sul contagio. La pia congregazione aveva appena ultimato il proprio piccolo Oratorio e la tavola centinata doveva assolvere al compito primario di Pala dell’Altar Maggiore (dimensioni centimetri 265 x 161). La consegna quindi deve essere calcolata al 1524.
Per il Correggio si trattava del ritorno al tema della pala centrale, lasciato dieci anni prima con la Madonna di San Francesco, e d’altra parte questo lavoro gli permette di inaugurare la serie meravigliosa dei grandi quadri sacri, tutti oltremodo celebri e stimatissimi, eseguiti tra il 1524 e il 1530, che attualmente si ammirano nelle superbe Gallerie di Dresda e di Parma.
Il nostro pittore, pur vincolato dalla frontalità dell’opera, effonde una composizione liberissima e mai veduta, senza schierare nessun personaggio in simmetria, sfrecciata su due diagonali segmentate e pausate, che reggono in alto a mo’ di calice la Madonna col Bambino, e pone in basso San Geminiano in una posa impensabile per ogni altro maestro dell’epoca, che è sforante e congiungente nello stesso tempo lo spazio terreno di chi si avvicini e quello superno di Maria e Gesù. Sono le braccia del rivolto vescovo che trainano dalla terra al cielo lo sguardo del fedele orante, e pure garantiscono la avvenuta intercessione discendente dei divini personaggi. Un dipinto che avrebbe dovuto rimanere per sempre in questo Oratorio a dare la certezza della comunione tra chi vive nelle ambagi di quaggiù e la presenza premurosa della Madre immacolata con il suo Figlio.
Spiccano nella parte inferiore i due santi titolari della Confraternita: san Rocco steso nell’ombra dolce del sonno alla nostra destra, in quanto Egli fu guarito dalla sua gran piaga alle gamba durante la dormizione, e san Sebastiano, legato all’albero e appena ferito da una nascosta freccia, che si aderge bello come un efebo greco nello slanciato corpo luminoso, mirante con gioia verso il cielo. Ma l’accurato trasporto partecipativo del Correggio, che fu allievo giovanissimo del Bianchi Ferrari a Modena e che qui aprì gli occhi per la prima volta alle avvenenze delle ragazzine geminiane, non dimentica di far comparire (con una grazia indicibile di pura fanciullezza) una bimba ancillare, radiosa e sorridente, a sostenere il modello della città accanto al vescovo, e ci dona una creazione diventata cara e famosa nel cuore di ogni osservante: l’indimenticabile “Modanina”, innocente e lieta.
Per le figure inferiori è la luce a cospargere la magia del dipinto, cadendo sui corpi come da una fonte alle nostre spalle, facendo così scaturire per noi un magico legame spaziale ancora una volta suggerito dall’idea captante del pittore, il quale poi (attraverso una sua specifica effusione di nubi, morbide come non mai) ci fa entrare nei cieli. Ed ecco che il Maestro dei cieli ci manda i pargoli come un preludio festoso e via via ci immerge in una prodigiosa espansione di luce sovrumana, lassù nel cerchio divino dove tutto s’irrora. È la stessa luce dell’empireo della cupola di San Giovanni, abitata dai medesimi spiriti soavi, bioccolati appena dai fotoni impalpabili del pennello allegriano.
Qui sorride Maria tenendo dolcemente il suo Bambino; qui il bellissimo Gesù si protende con spontaneo slancio allo sguardo di Sebastiano, e qui, quasi per insottraibile miracolo, l’animo del Correggio ostende gli angeli femminili: le angele soavissime, corona unica e cogente della divinità.
Vediamo per immagini il capolavoro che diede tanto onore alla Città.
Correggio, Madonna di San Sebastiano (1524; olio su tavola, 265 x 161 cm; Dresda, Gemäldegalerie). Visione totale. Rara opera a sommità centinata, offrì al Correggio lo spunto per una composizione terrestre-celeste di straordinaria unità spaziale e veicolare, ossia realizzante l’immedesimazione dei fedeli imploranti che stanno nel vano dell’Oratorio con i Santi intercessori e gli invocati Personaggi Divini. |
Maria e il Bimbo Gesù. Una confezione dolcissima, di grande umanità, tipica dell’affettuosità del Correggio, dove Maria è intimamente compiaciuta di offrire il Bambino divino e dove Gesù con un gioco di mano e di piede risponde gaio al vivido sguardo di San Sebastiano. Qui la grazia della salute è soavemente concessa. |
Maria e il Bimbo Gesù. Una confezione dolcissima, di grande umanità, tipica dell’affettuosità del Correggio, dove Maria è intimamente compiaciuta di offrire il Bambino divino e dove Gesù con un gioco di mano e di piede risponde gaio al vivido sguardo di San Sebastiano. Qui la grazia della salute è soavemente concessa. |
Il coro nell’empireo. Il fulgore paradisiaco avvolge la teofania suprema, cui fanno corona le soffuse, lievissime testine dei cherubini miranti. |
Sotto l’evanescenza spirituale degli angeli vaporosi adoranti e inneggianti, altri due più corporalmente visibili si distolgono dall’omaggio per osservare graziosamente sotto di loro san Rocco che dorme. Sono due sorprendenti figure femminili, perché soltanto la femminilità, come ben sapeva il Correggio, è colma di bellezza. |
Le due angele di destra, in riflessiva adorazione. Così il Correggio ha amato spontaneamente le fattezze di questi spiriti, umanizzati ma eterei. |
Le angele di sinistra, elegantissime nei loro gesti di impetrazione. Memori delle “virtù” dell’Allegoria della Sapienza (da poco consegnata ad Isabella d’Este Gonzaga) c’incantano nella loro venustà giovanile. |
I due angiolozzi, bambini e nudi, sono il rovesciamento imprevedibile degli spiriti celesti che divengono carne, e carne morbida. Le loro pose, nell’intera stesura del dipinto, confermano che tutte le figure della Pala sono avulse da un prospettiva spaziale, conquistando così una totalità di “sacra convenzione” che è la forza e il dettato spirituale di questa pittura nuova. |
Lo stupendo san Sebastiano risalta pienamente come protagionista pio e volitivo della scena. Egli è infatti il titolare della Confraternita religiosa votata all’assistenza degli infermi. Secondo la tradizione egli sta eretto e nudo nel ricevere il martirio dei dardi. Ma nel dipinto gratificante appare piuttosto portavoce animoso delle invocazioni sulla fine del contagio, e confidente diretto del Dio Bambino. Qui il Correggio ci offre il cànone luminoso dell’efebo cristiano. |
Il frecciante gesto mediatore di san Geminiano è l’inventio clamorosa dell’Allegri: una postura mai osata da nessun maestro, e che impressionerà Caravaggio. Il Santo Patrono è realmente imminente per i Confratelli che stavano nel piccolo spazio del loro Oratorio e che quasi potevano toccargli la mano; tanto posato in terra da rivoltare verso di noi la suola del suo calzare, ma prensile col suo sguardo a condurci all’altra mano che segnala la “remeatio ad coelum” e la taumaturgica provvidenza ottenuta. Un capolavoro di ardimento pittorico e omiletico. Qui vediamo anche il corpo disteso di san Rocco, guarito nel sonno dalla sua terribile piaga. Il suo piede sinistro è una nota di quel realismo tattile che è pur sempre tipico del Correggio. In alto a destra si scorge l’unica breve apertura al paesaggio che connota l’estensione virtuale dell’avvenimento, e il piede sospeso dell’angela definisce il prodigio della discesa di Gesù e Maria dal cielo divino. |
Ed ecco l’incantevole “Modanina” del Correggio, che tanto ha fatto innamorare gli esegeti e i letterati. Ella regge il modello accurato della “dedicatio urbis”, ossia la consegna di tutta la città nelle mani di Dio. Ha un volto lieto e una pettinatura composta: è il simbolo intimamente gaudioso della riconoscenza di Modena per la salute ritrovata. Con questa figura si chiude l’afflato circuente della femminilità che tutta intride l’affettuosissima Pala. |
La Pala di San Sebastiano ha ricevuto diversi restauri. L’ultimo nel 1975 da parte di Weber, Krause e Flade (da La vendita di Dresda, a cura di Johannes Winkler, Panini Modena 1989). Tuttavia ancora nel 2015 si presentava con le assi visibilmente inarquate e con cadute di colore che si possono cogliere anche in queste riprese fotografiche. Parlando allora benevolmente con il doktor Andreas Henning, il quale mi ricordava che le opere su legno non avrebbero mai lasciato Dresda, avanzai (in eccezione di quanto udito) l’idea di offrire in Italia un serio restauro della Pala, in cambio di una certa permanenza per una mostra conclusiva. A questa proposta il doktor Henning oscillò e disse che se ne poteva parlare. Aggiungo che l’amico Andreas ora dirige il Museum di Wiesbaden, la città termale considerata la più aristocratica della Germania, la Kaiserstadt.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autore di questo articolo: Giuseppe Adani
Membro dell’Accademia Clementina, monografista del Correggio.