La vera storia dei palazzi dei rolli di Genova


Abbiamo spesso parlato dei rolli di Genova senza aver tuttavia raccontato la loro storia: vediamo dunque come nacque questo particolare sistema di edifici.

Se Genova è una delle città più affascinanti e ricche d’arte non solo d’Italia ma di tutto il mondo, lo deve in buona parte anche a un complesso di edifici che hanno una storia unica e che furono inseriti in un sistema che non ha eguali altrove: si tratta dei Palazzi dei Rolli. Su queste pagine abbiamo parlato di alcuni di questi palazzi, ma non abbiamo mai dedicato un articolo che desse conto di una visione d’insieme della storia di questo singolare complesso di edifici che, peraltro, nel 2006 ha ottenuto il riconoscimento di Patrimonio dell’Umanità UNESCO proprio in virtù del fatto che i palazzi dei rolli di Genova rappresentano, come leggiamo anche sul sito dell’UNESCO, “il primo esempio in Europa di un progetto di sviluppo urbano promosso da un’autorità pubblica all’interno di un quadro unitario e associato a un sistema particolare di alloggiamenti pubblici all’interno di residenze private”. La storia dei Rolli ha inizio nel 1576.

Genova allora era, come è del resto ancor oggi, una città di porto molto frequentata e al centro di numerosi traffici commerciali e finanziari, ma aveva due problemi: il primo, la Repubblica di Genova non aveva una sede ufficiale che potesse accogliere in modo decoroso gli ospiti illustri provenienti dall’estero che si trovassero in visita in città. E il loro numero, stante il maggior peso politico ed economico che la Repubblica aveva acquisito nel corso del XVI secolo, era in costante aumento. Il secondo, non esistevano alberghi decenti, c’erano solo piccole locande, che popolavano per lo più i quartieri malfamati della città. Pertanto, al fine di fornire sistemazioni più confortevoli e degne possibili ad ambasciatori, cardinali, legati, principi, sovrani in visita a Genova, l’8 novembre del 1576 il Senato della Repubblica approvò un decreto con il quale veniva istituito un elenco di case obbligate agli alloggiamenti pubblici: una serie di edifici, i più sontuosi della città appartenenti alle famiglie più in vista di Genova, che dovevano farsi carico di dare alloggio agli ospiti illustri della Repubblica qualora se ne fosse presentata la necessità. Il primo elenco (o "rollo“, letteralmente ”ruolo", termine che indicava proprio l’elenco degli edifici) conteneva cinquantadue case, che sarebbero aumentate di numero con i rolli successivi. In tutto, infatti, furono emanati cinque rolli: oltre a quello del 1576, ne abbiamo uno del 1588 (111 case), uno del 1599 (120 case), uno del 1614 (88 case) e uno del 1664 (96 case). Ma quali furono alcuni degli ospiti che soggiornarono presso i palazzi dei rolli? Possiamo contare, per esempio, il duca di Joyeuse, cognato di Enrico III di Francia, che nel 1583 soggiornò presso il Palazzo di Tobia Pallavicino, che sei anni dopo ospitò anche Pietro de’ Medici, fratello del granduca di Toscana, Francesco I. Ancora, nel 1592 fu la volta di Vincenzo I Gonzaga, duca di Mantova, che fu ospitato in quello che oggi è noto come Palazzo Pallavicini-Cambiaso, mentre nel 1599 il Palazzo di Francesco Grimaldi, meglio conosciuto come Palazzo della Meridiana, accolse la regina consorte di Spagna, Margherita d’Asburgo, moglie di Filippo III.

La facciata di Palazzo Tobia Pallavicino
La facciata di Palazzo Tobia Pallavicino

Palazzo della Meridiana
La facciata del Palazzo della Meridiana

Esistevano diverse categorie di edifici iscritti ai rolli, e solitamente erano la ricchezza e la magnificenza del palazzo a determinare l’appartenenza all’una o all’altra categoria. Le categorie, identificate dai "bussoli“, ovvero i bussolotti che servivano per estrarre, tramite sorteggio pubblico, il nome dell’edificio che avrebbe dovuto accogliere l’ospite in visita a Genova, indicavano anche quale tipo di personalità un palazzo potesse ospitare. Per esempio, nel rollo del 1599, i bussoli erano tre, e facevano distinzione tra i palazzi di prima scelta, che potevano ospitare cardinali, i ”principi grandi“ ovvero i grandi sovrani stranieri indipendenti, i viceré di Napoli e Sicilia e i governatori di Milano, quelli di seconda classe destinati a feudatari, e quelli di terza categoria che potevano ospitare ambasciatori e principi di rango inferiore rispetto a quelli che potevano essere accolti nei palazzi di prima e seconda fascia. Sempre nel rollo del 1599 veniva tuttavia lasciata libertà al Senato della Repubblica di decidere quale palazzo fosse acconcio ”per alloggiamento di papi, imperatori, regi e loro figli e fratelli e nipoti": per i capi di stato più illustri dunque non vigeva il sistema di estrazione a sorte, ma la sede che li avrebbe accolti veniva stabilita dal Senato. Genova aveva così creato quella che lo storico Ennio Poleggi, il maggior studioso del sistema dei rolli, ha definito una "reggia repubblicana": una sorte di grande corte diffusa, sontuosa ma anche contraddittoria, perché vista già all’epoca come sintomo più evidente di una poco sostenibile confusione di ruoli tra pubblico e privato, e anche perché espressione del tentativo tutto genovese di offrire agli ospiti un’immagine di splendore simile a quella delle monarchie assolute del Seicento dietro alla quale, tuttavia, si celavano le divisioni di una repubblica oligarchica in mano a famiglie appartenenti a fazioni contrapposte.

Inizio del rollo del 1599
Inizio del rollo del 1599, conservato presso l’Archivio di Stato di Genova

E queste contrapposizioni interessavano anche lo stesso sistema dei rolli: oggi ci è stata tramandata l’immagine luminosa delle famiglie genovesi che facevano di tutto per rendere magnifici i loro palazzi al fine di conquistare gli ospiti più prestigiosi dando lustro alla Repubblica, ma la realtà che emerge dai documenti ci racconta una storia diversa. Infatti, se da una parte c’erano famiglie ben disposte ad accogliere ospiti stranieri e che quindi cercavano di elevare la fastosità delle loro dimore (si trattava per lo più di famiglie di banchieri o comunque di grandi commercianti che vedevano la possibilità di fornire un alloggio agli ospiti illustri come un’occasione per aumentare la propria ricchezza e la propria potenza), dall’altra c’erano famiglie che vedevano l’incombenza come un terribile fastidio nonché, in una città di gente spesso diffidente e poco ospitale (un’immagine che i liguri si sono trascinati dietro fino ai giorni nostri), come un’intollerabile invasione della Repubblica nella vita privata dei suoi cittadini. C’è poi da aggiungere che la Repubblica sosteneva una parte delle spese, quelle destinate agli ospiti più importanti, e per il resto l’onere gravava sui proprietari dei palazzi: data anche la proverbiale propensione al risparmio dei genovesi, si può facilmente comprendere come molti sperassero che il loro nome non uscisse al sorteggio. Negli archivi genovesi si conservano diverse richieste di esenzione dai rolli, e ci sono giunte anche le testimonianze dirette di cittadini mal disposti nei confronti dell’obbligo di alloggiare gli ospiti stranieri, spesso affidate ai cosiddetti biglietti di calice, lettere anonime che venivano rilasciate in una buca, posta su uno dei muri di Palazzo Ducale, che le raccoglieva, appunto, in un calice dal quale venivano poi estratte e lette. Tra i più fieri oppositori della pratica ci furono diversi esponenti della famiglia Spinola, da sempre amanti della parsimonia e della sobrietà: nel 1620, Andrea Spinola (che fu in seguito doge) scriveva, nel suo Dizionario politico e filosofico, che “se qui si facesse una legge la quale proibisse gli alloggiamenti pubblici, tutti i Signori e ministri di Prencipi si partirebbero di qua soddisfatti e contenti”, e cinquant’anni dopo un suo nipote, Giovanni Francesco, lamentava lo spreco di risorse per una pratica che poteva anche avere un senso quando la Repubblica attraversava periodi di maggior splendore, paragonando i Palazzi dei Rolli, in un momento di crisi, ai “corpi di gran vascelli tirati a seco su la sabbia”.

Malgrado le divisioni interne, agli occhi degli ospiti e degli illustri viaggiatori che si trovavano a soggiornare a Genova, i Palazzi dei Rolli dovevano apparire come simbolo più manifesto dello splendore della città: abbiamo pagine su pagine che magnificano la bellezza degli edifici dei signori genovesi. Uno dei primi ospiti dei palazzi dei rolli, il cardinale Giovanni Battista Agucchi (splendidamente eternato in un celebre ritratto del Domenichino) scriveva nel 1601 che “in pochi altri luoghi d’Italia si potrebbe mostrare eguale magnificenza poiché in pochissimi si trovano gli ori, gli argenti, le gioie e drappi e le ricche suppellettili che si vedono qui, oltre li palazzi et habitationi regie che non hanno paro altrove”. Un secolo più tardi, nel 1739, il filosofo francese Charles de Brosses paragonava la bellezza dei palazzi genovesi a quella dei palazzi di Parigi, e un suo connazionale, il letterato Charles Dupaty, circa quarant’anni dopo rimase quasi sconvolto dalla sontuosità degli edifici della città. Uno dei viaggiatori che rimasero più colpiti dai palazzi dei rolli fu tuttavia il grande Pieter Paul Rubens, che soggiornò diverse volte in città e che fu entusiasta di ciò che aveva visto a Genova al punto da compilare un libro, Palazzi di Genova, stampato nel 1622 e ripubblicato poi in una seconda edizione nel 1652, che costituisce la prima raccolta in cui i principali palazzi della città vengono descritti nel dettaglio, con tanto di precise riproduzioni delle architetture: il libro costituisce un punto di riferimento imprescindibile per studiare i palazzi dei rolli.

Illustrazioni degli edifici tratte da Palazzi di Genova di Rubens
Illustrazioni degli edifici tratte da Palazzi di Genova di Rubens

Palazzi di Genova è anche uno dei primi testi che hanno tramandato una percezione di Genova ben diversa rispetto a quella che dovevano avere i suoi abitanti. Probabilmente è grazie anche alle testimonianze dei viaggiatori che passarono dalla città che si è arrivati, di recente, a proporre al pubblico un’immagine dei palazzi dei rolli come elemento di una consapevole identità civica che però, come evidenzia anche un recente studio della storica Clara Altavista, probabilmente non corrisponde al sentire dei genovesi del Sei-Settecento e si configura piuttosto come una costruzione storiografica attraverso la quale si è regalata alla città “quella corte mai posseduta in cui riconoscersi, ma della quale forse i genovesi non avevano mai sentito la mancanza, se non proprio in occasione delle visite di stato ufficiali”. L’operazione potrebbe tuttavia essere in parte giustificata proprio dal modo in cui Genova dovette apparire agli occhi dei suoi visitatori, ed è comunque indubbio che almeno i genovesi di oggi vadano particolarmente orgogliosi dei loro palazzi al punto da dedicar loro le giornate note come Rolli Days, che rimangono sicuramente una delle manifestazioni culturali più interessanti che si tengano nel nostro paese.

Quand’è che terminò l’usanza di ricevere illustri ospiti nei palazzi dei rolli? Non lo sappiamo con certezza, non esiste una data sicura ma sappiamo che il costume durò almeno fino agli inizi del Settecento. Gran parte degli edifici originariamente iscritti agli elenchi del Senato sopravvivono oggi con le più svariate destinazioni. Il Palazzo di Tobia Pallavicino è diventato sede della Camera di Commercio. Quello di Angelo Giovanni Spinola ospita una banca. Palazzo Nicolosio Lomellino è sede di un’associazione privata che organizza interessanti mostre (come la prima monografica su Luciano Borzone di cui abbiamo parlato anche su queste pagine) ed eventi culturali. Il Palazzo che fu di Luca Grimaldi oggi è noto come Palazzo Bianco ed è sede museale: insieme a Palazzo Rosso (che non fu mai iscritto agli elenchi degli alloggiamenti in quanto la sua costruzione iniziò sette anni dopo l’ultimo rollo) e al Palazzo di Nicolò Grimaldi (oggi Palazzo Tursi) costituisce il sistema dei Musei di Strada Nuova. Diversi altri edifici sono sedi di società private, di enti pubblici, di uffici, alcuni sono ancora abitati. Molti, purtroppo, hanno subito interventi che ne hanno modificato l’aspetto originario, spesso in maniera radicale. Altri ancora non esistono più. Esiste però un interessante sito web, I Palazzi dei Rolli di Genova, che contiene l’elenco completo di tutti gli edifici, suddivisi in base ai rolli ai quali furono iscritti e ai bussoli a cui appartenevano, con tutti i dati dei proprietari ai quali appartenevano al momento dell’iscrizione. Non tutti i palazzi, tuttavia, hanno ottenuto il riconoscimento UNESCO (solo una selezione di quarantadue di essi è entrata a far parte del Patrimonio dell’Umanità: questi palazzi sono peraltro descritti con ricchi apparati sul sito ufficiale del sito UNESCO). Ne esistono comunque altri settanta circa che, pur non potendosi fregiare dell’ambita targhetta, non hanno certo un’importanza storica minore rispetto a quella dei loro “omologhi” più fortunati.

Bibliografia di riferimento

  • Andrea Leonardi, Genoese Way of Life: Vivere da collezionisti tra Seicento e Settecento, Gangemi Editore, 2013
  • Clara Altavista, I palazzi dei “Rolli” a Genova (secc. XVI-XVII): identità civica o costruzione storiografica? in Howard Burns, Mauro Mussolin (a cura di), Architettura e identità locali, vol. II, Olschki, 2013
  • Luciano Grossi Bianchi, Abitare “alla moderna”. Il rinnovo architettonico a Genova tra XVI e XVII secolo, All’Insegna del Giglio, 2005
  • Ennio Poleggi (a cura di), L’invenzione dei Rolli. Genovà civiltà di palazzi, catalogo della mostra (Genova, Palazzo Tursi, 28 maggio – 7 settembre 2004), Skira, 2004
  • Ennio Poleggi (a cura di), Una reggia repubblicana. Atlante dei Palazzi di Genova, Allemandi, 1998
  • Rodolfo Savelli, Genova nell’età di Van Dyck in Susan J.Barnes, Piero Boccardo, Clario Di Fabio, Laura Taglaferro (a cura di), Van Dyck a Genova: grande pittura e collezionismo, catalogo della mostra (Genova, Palazzo Ducale, 23 marzo - 13 luglio 1997), Electa, 1997
  • Giorgio Doria, Investimenti della nobiltà genovese nell’edilizia di prestigio (1530-1630) in Studi Storici, Anno 27, N. 1, 1986, pp. 5-55


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo





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