La torre di San Lazzaro a Livorno: l'eredità di Mario Puccini nella pittura labronica


Un pensionato con una viva passione per la sua città, che ha messo a disposizione i suoi risparmi per un restauro: quello della torre dell’antico lazzaretto di Livorno. Un atto d’amore che ha restituito a tutti un bene prezioso, protagonista di una fortunata produzione iconografica che ha come iniziatore il pittore post macchiaiolo Mario Puccini.

“Un desiderio di abbracciare questi muri, la voglia di appoggiarvi il viso, e stare lì così, come se la carne potesse difendere la pietra e vincere il tempo”. Forse questa espressione lasciataci da José Saramago nel suo Viaggio in Portogallo è tra i brani più struggenti ed evocativi di un rapporto, quasi simbiotico, tra l’individuo e i mattoni e la roccia che compongono le testimonianze del passato, che oggi chiamiamo beni culturali. Ho sempre pensato che queste parole potrebbero essere state tranquillamente pronunciate da un pensionato livornese, Alberto Mazzoni, che non minor amore mostra per le vestigia, per la verità poco più che un ammasso di mattoni, di una torretta di guardia del lazzeretto di San Leopoldo a Livorno.

La vita di Mazzoni è stata in qualche maniera scandita dalla presenza di quelle corrose pietre, non solo oggi che è frequentatore della spiaggia dove sorge la torre, nota come “Scogli dell’Accademia”, dal nome dell’Accademia Navale che dal tardo XIX secolo insiste negli spazi che furono della struttura di sanità marittima, ma fin dalla più tenera età. Nato nel 1948, diversi episodi della sua vicenda familiare si legano a quei mattoni, tanto da spingerlo a decidere di destinare parte dei risparmi della sua pensione da metalmeccanico per il restauro della torre, che nel corso del tempo era in parte franata. Ma realizzare il suo desiderio non è stato facile: Mazzoni infatti trovò molte porte chiuse, fino a quando la sua richiesta non fu caldeggiata dal Comitato “Il Gioiello Dimenticato” che negli anni si era speso per il recupero di importanti monumenti quali la Cripta di San Jacopo e la Statua di Pietro Leopoldo di Domenico Andrea Pelliccia. L’esperienza del comitato fu determinante per barcamenarsi con la burocrazia e alla fine, nel 2022, iniziò il restauro della torre, che se non ha potuto riportare la struttura al suo aspetto originale innalzando la parte sommitale crollata, ha mirato a consolidarla per evitare futuri nuovi crolli. Ma ciò che rende importante questa operazione non è tanto il racconto intimo e personale di Alberto Mazzoni, quanto la possibilità di aver assicurato la conservazione di una traccia del passato, e fatto rinascere attenzione per quelle pietre.

La torre di cui si era persa praticamente ogni memoria, infatti, è una testimonianza preziosa del quarto e ultimo dei lazzeretti di cui la città di Livorno fu dotata, strutture necessarie per tentare di arginare i morbi che si propagavano attraverso le navi, gli equipaggi, i passeggeri e le merci. Indagando le antiche planimetrie, si evince come la struttura, per garantire l’isolamento, fosse dotata di cinte murarie e di torri di protezione, intitolate a santi taumaturghi o santi che si legano alla località, e tra queste compariva anche la torre di San Lazzaro, quella che il Mazzoni ha voluto restaurare, l’unica che si è conservata dopo i bombardamenti della seconda guerra mondiale. Fortuna vuole che la struttura scampata dai danni del conflitto sia ammantata da un ulteriore valore, un’importanza iconografica che le è stata ritagliata dalla florida compagine degli artisti della scuola labronica.

La torre, vestigia del vecchio lazzeretto, oggi. Foto di Emiliano Cicero, 2023
La torre, vestigia del vecchio lazzeretto, oggi. Foto di Emiliano Cicero, 2023
I resti della torre di San Lazzaro in una foto di Emilio Brizzi
I resti della torre di San Lazzaro in una foto di Emilio Brizzi
Fotografia dall’alto dell’Accademia Navale prima della Seconda guerra mondiale, in cui la torre di San Lazzaro appare ancora intatta.
Fotografia dall’alto dell’Accademia Navale prima della Seconda guerra mondiale, in cui la torre di San Lazzaro appare ancora intatta

L’iniziatore di questo interesse fu probabilmente il maestro post-macchiaiolo Mario Puccini. Il pittore livornese nella sua attività aveva sempre optato per un’iconografia insolita, come evidenziato da Giorgio Mandalis nel catalogo della mostra dedicata all’artista che si è tenuta nel 2021 al Museo della Città di Livorno. Puccini, infatti, si era sempre mantenuto lontano dagli scorci più caratteristici della città, mentre curiosa è l’attenzione che il pittore rivolse verso il lazzeretto, forse richiamato dalle sue geometrie, in quanto professore di disegno tecnico. Puccini aveva evidentemente un debole per il malinconico lazzeretto, uno spazio solitario e cupo, connotato da un estremo silenzio, vestigia di un tempo perduto, dove il muraglione e le torri danno origine a forme solide e spigolose, la cui calda roccia dà effetti cromatici imprevisti, stagliandosi sui cieli di Livorno e lambita dal mare. Llewellyn Lloyd, altro grande artista livornese, nelle sue memorie intitolate Tempi andati, ricordava le opere che Puccini realizzò per il Caffè Bardi, storico ritrovo di artisti attivo nei primi decenni del XX secolo. Il pittore di origini gallesi annotava che Puccini, per il caffè, realizzò “vedute di Livorno: marine con velieri e barconi, fa una scena grande del suo amato lazzeretto, sfoggiando in grande una sincronia di rossi e di azzurri che scalda di sole tutte l’oscuro ambiente del caffè”, e ancora in un altro passo, Lloyd parla di questa infatuazione pucciniana: “Si ferma dietro al Lazzaretto verso il tramonto, incantato dai muri rossi di mattoni, corrosi e consunti dalle salsedini della medicea fortezza”. È questo un segno tangibile di come la passione di Puccini per il lazzeretto non dovesse costituire certo un mistero per i suoi contemporanei.

Probabilmente la tavoletta intitolata Il Lazzeretto di Livorno è la più antica pervenuta fino a noi dedicata alla struttura di sanità marittima. Attraverso una prospettiva tipica di Puccini, cioè con un ardito scorcio da sotto in su, il pittore dipinge la bassa scogliera frastagliata dai toni rossi e bruni, una tessitura interrotta solamente dall’emergere della nuda tavola e da alcuni specchi d’acqua salina; sopra di essa si eleva l’imponente mole della cinta muraria del lazzaretto, che va a integrarsi per le soluzioni cromatiche scelte, quasi senza soluzione di continuità, con la scogliera. Da dietro le mura spunta appena la parte sommitale del mastio di San Rocco, la torre rotonda posta a protezione dell’ingresso del porticciolo del lazzeretto, e poco sopra di esso un piccolo fazzoletto di cielo infuocato. Ai medesimi anni è probabilmente da ricondurre anche un’opera con cui condivide la tavolozza e anche una certa tessitura pittorica Il muraglione dell’antico lazzaretto di Livorno. Lo scorcio presentato è leggermente variato: qui la prospettiva non è sbarrata dal massiccio muro, ma esso anzi sfila sul lato destro, ponendo poi al centro della composizione proprio la nostra torretta. La composizione si divide in due partizioni, quella di sinistra dove il blu terso del cielo si incontra con quello del mare, e i toni rossi e bruni della torretta e del rispettivo muraglione che si vanno ad integrare in basso a destra con la scogliera. Ne risulta uno schema meno soffocante e pressato rispetto all’opera precedente, ma più introspettivo e solitario.

Al lazzeretto, Mario Puccini dedicò molti altri brani come Scogliera del lazzeretto, Il lazzeretto dopo l’uragano, Il mastio di San Rocco, ma forse i più celebri sono proprio i pannelli realizzati per il Caffè Bardi. Si tratta di opere di dimensioni non comuni per la produzione pucciniana: Il Lazzeretto (Barca con pescatore seduto di spalle) e Il Lazzeretto (Barca con ragazzo in piedi). Possiamo quindi affermare con una certa sicurezza, a meno che opere custodite in collezioni private in futuro non confutino questa tesi, che Puccini fu il primo tra gli artisti livornesi a volgere la sua attenzione verso il lazzeretto e sicuramente colui che vi ha ambientato più dipinti.

Il maestro livornese, scomparso prematuramente nel 1920, venne eletto come punto di riferimento di un’intera generazione di artisti, che in lui videro il continuatore della tradizione iniziata da Giovanni Fattori. Proprio nell’anno della sua morte, in suo onore si costituì il Gruppo Labronico, che inizialmente avrebbe dovuto chiamarsi gruppo “Mario Puccini”. Dalla morte di Puccini si assistette anche a una nuova analisi critica dell’artista: sul “Corriere della Sera” venne pubblicato un articolo del potente critico Ugo Ojetti volto a esaltare la figura dell’artista; e poi numerose sue opere compaiono in diverse mostre, tra le quali la Biennale di Venezia del 1922. Questa nuova fortuna espositiva che investì la produzione di Puccini, insieme al ruolo che la cultura livornese gli stava ritagliando nell’eredità pittorica locale, probabilmente spinse sempre più artisti a misurarsi con il soggetto del lazzeretto.

Mario Puccini, Il Lazzeretto (Barca con pescatore seduto di spalle) (1908—1912; olio su tela, 205 x 95 cm; Collezione privata)
Mario Puccini, Il Lazzeretto (Barca con pescatore seduto di spalle) (1908—1912; olio su tela, 205 x 95 cm; Collezione privata)
Mario Puccini, Il Lazzeretto di Livorno (olio su tavola, 51 x 30 cm; Collezione privata)
Mario Puccini, Il Lazzeretto di Livorno (olio su tavola, 51 x 30 cm; Collezione privata)
Mario Puccini, Il muraglione dell’antico Lazzaretto a Livorno (olio su tavola, 50 x 31 cm; Collezione privata). Su concessione di Galleria dell’Ottocento.
Mario Puccini, Il muraglione dell’antico Lazzaretto a Livorno (olio su tavola, 50 x 31 cm; Collezione privata). Su concessione di Galleria dell’Ottocento.
Gino Romiti, Il Lazzeretto (1925; olio su tavoletta, 9,5 x 11,4 cm). Su concessione di Pananti Aste
Gino Romiti, Il Lazzeretto (1925; olio su tavoletta, 9,5 x 11,4 cm). Su concessione di Pananti Aste
Benvenuto Benvenuti, Tramonto (olio su tavola, 28 x 18,7 cm). Su concessione di Farsetti Arte.
Benvenuto Benvenuti, Tramonto (olio su tavola, 28 x 18,7 cm). Su concessione di Farsetti Arte.
Benvenuto Benvenuti, Notte al Lazzaretto (1930 circa; olio su cartone, 45 x 27,3 cm; Collezione privata)
Benvenuto Benvenuti, Notte al Lazzaretto (1930 circa; olio su cartone, 45 x 27,3 cm; Collezione privata)
Renuccio Renucci, Lazzaretto a Livorno (olio su compensato, 60 x 80 cm). Su concessione di Farsetti Arte.
Renuccio Renucci, Lazzaretto a Livorno (olio su compensato, 60 x 80 cm). Su concessione di Farsetti Arte.

Ma tra tutte le iconografie indicate da Mario Puccini sembrerebbe che una in particolare sia entrata nel portato culturale di più di una generazione (peraltro, quella con cui Puccini si confrontò solamente con un brano): si tratta della torretta di San Lazzaro che, eternata nel dipinto Il muraglione dell’antico Lazzeretto a Livorno, sarebbe stata più volte dipinta dai pittori livornesi, preferendola invece al più caratteristico mastio di San Rocco. Quale sia il motivo di questo successo iconografico lo possiamo solamente ipotizzare. Una scelta forse non dettata solamente da orientamenti di gusto, quanto anche da motivi prettamente pratici. Tra tutte le vedute della struttura di sanità portuale solamente Il muraglione dell’antico Lazzeretto a Livorno avrebbe avuto un certo qual risalto negli anni immediatamente successivi alla morte di Puccini. Infatti, il dipinto fu esposto nel 1922 nella V Mostra del Gruppo Labronico e nel 1930 alla Mostra del Centenario della Società Amatori e Cultori di Belle Arti tenutasi a Roma. In aggiunta, proprio in concomitanza della mostra del Gruppo Labronico, l’opera salì alla ribalta anche sulla carta stampata grazie all’interesse del critico e letterato campano Gino Saviotti, che ne scrivesse a più riprese su “Il Telegrafo” e la rivista “Pagine Critiche”. Alcuni anni dopo, nel 1931 anche Mario Tinti inserisce l’opera nella sua pubblicazione dedicata a Puccini. In breve tempo quindi, sempre più artisti si spinsero nel confronto con questa opera emblematica del grande pittore.

Esiste una sterminata quantità di opere dedicate al medesimo soggetto da parte di artisti anche molto diversi tra loro, interpretazioni più fedeli si alternano a opere più originali, dipinti di buona qualità e riproduzioni stereotipate. Tra le più antiche è forse quella di Gino Romiti che dipinge il lazzeretto nel 1925. Nello spazio minuscolo fornito dalla tavoletta, Romiti replica lo scorcio della torretta di San Lazzaro prediligendo la solita prospettiva di Puccini. Ne risulta un dipinto meno espressivo e carico di inquietanti presagi, senza inaspettate suggestioni coloristiche per darne una lettura più terrigna, più vicina a un semplificato verbo fattoriano di cui Romiti era stato allievo, e di cui era diventato uno dei maggiori interpreti.

Anche il divisionista Benvenuto Benvenuti si confronta con l’eredità pucciniana, nelle opere Tramonto e Notte al lazzeretto. Nella composizione notturna, quella più fedele al primigenio modello, ambienta la sua opera in una notte grigia intramezzata da piccole pennellate filamentose blu di matrice divisionista, mentre le pietre che compongono la torretta e il muraglione sono graffiate da un groviglio di segni grafici multicolori che si trovano anche negli scogli. La seconda tavoletta, di modeste dimensioni, mostra invece la torre, la cui architettura viene semplificata, colta quando il sole ormai calante si trova perfettamente in asse con essa. L’infuocata stella è il centro della composizione, e da essa si originano dei raggi incandescenti e materici che impongono il ritmo a tutta la composizione.

Il pittore Renuccio Renucci reiterò più volte dipinti con vedute del lazzeretto e in particolare della torre di san Lazzaro, in composizioni talvolta più vaste, altre di ridotte dimensioni. Conosciamo almeno sei opere con il medesimo soggetto, eppure mai ripetitive: Renucci coglie la torre in diversi momenti della giornata, al crepuscolo, al tramonto e di notte, ma anche con condizioni meteorologiche diverse, giornate cristalline si avvicendano a notti cariche di nubi o pomeriggi dove il vento fa infuriare il mare. Con grande talento l’artista adatta il registro pittorico con il cambiare della temperie del dipinto.

Renato Natali, tra tutti i livornesi colui che con più impegno ha delineato un’iconografia urbana di Livorno, in particolare quella scomparsa e cancellata dalle bombe e dalla ricostruzione, non mancò di confrontarsi con il tema del lazzaretto. Il cospicuo gruppo di opere con tale soggetto mostra i medesimi e piuttosto monotoni schemi su cui il pittore è tornato più volte nel corso degli anni, seppur alternando supporti orizzontali e verticali. Natali realizza delle vedute non dal vero, quanto piuttosto rielaborazioni mentali offrendo raffigurazioni che non si attengono strettamente al dato reale, apportando modifiche all’architettura originale. Decisamente più innovativa è invece la veduta del lazzeretto tramandataci dal pittore Giovanni March nell’opera Marina, dipinta intorno al 1960 e recentemente esposta nella mostra Giovanni March, Il pittore della luce e dell’atmosfera curata da Michele Pierleoni. March, in un brano di grande pittura tonale, offre una sintesi quasi intima del paesaggio. Il certo meno noto Gino Centoni dà una lettura più svagata e pastellata della torretta, depauperata da ogni dettaglio aneddotico, mentre Carlo Domenici torna su modelli più consoni a un tardo naturalismo.

Gino Centoni, Marina del Lazzeretto (1940 circa; olio su tavola, 30 x 20,5 cm; Collezione privata)
Gino Centoni, Marina del Lazzeretto (1940 circa; olio su tavola, 30 x 20,5 cm; Collezione privata)
Renuccio Renucci, Mareggiata al Lazzeretto (1930 circa; olio su tavola, 23 x 33 cm; Collezione privata)
Renuccio Renucci, Mareggiata al Lazzeretto (1930 circa; olio su tavola, 23 x 33 cm; Collezione privata)
Renato Natali, Lazzeretto (1955; olio su masonite, 20 x 25 cm; Empoli, Galleria d'Arte Moderna e della Resistenza)
Renato Natali, Lazzeretto (1955; olio su masonite, 20 x 25 cm; Empoli, Galleria d’Arte Moderna e della Resistenza)
Carlo Domenici, Il lazzaretto (olio su cartone, 50 x 38,5 cm; Collezione privata)
Carlo Domenici, Il lazzaretto (olio su cartone, 50 x 38,5 cm; Collezione privata)
Giovanni March, Marina (1960 circa; olio su tela, 40 x 70 cm; Collezione privata). Su concessione di Galleria Athena.
Giovanni March, Marina (1960 circa; olio su tela, 40 x 70 cm; Collezione privata). Su concessione di Galleria Athena.
Giorgio Luxardo, Scogliera dell'Accademia (olio su tavola, 40 x 40 cm; Collezione privata)
Giorgio Luxardo, Scogliera dell’Accademia (olio su tavola, 40 x 40 cm; Collezione privata)

Gli artisti delle generazioni successive non furono esenti dalla fascinazione per il soggetto della torretta di San Lazzaro, e anche se forse il confronto con questa iconografia pucciniana perse quei caratteri di sistematicità che gli artisti del primo Gruppo Labronico le avevano tributato, essa era comunque stata assimilata nel patrimonio di immagini e scorci della tradizione pittorica labronica. Nella seconda metà del Novecento fino ai giorni nostri alcuni pittori hanno continuato e continuano tuttora a confrontarsi con lo scorcio pervenuto in eredità da Puccini. Risulta difficile però determinare se anche nelle generazioni artistiche successive sia presente la volontà e la consapevolezza di omaggiare con questo scorcio pittorico la tradizione del vecchio maestro, oppure se la scelta non sia da addebitarsi al fatto che la veduta è ormai entrata nell’immaginario comune. Fra questi figurano pittori di qualità anche molto diverse tra loro, ma accomunati da una localissima propensione per la pittura figurativa di paesaggio, tra cui Masaniello Luschi, Millus (Pietro Illusi), Giovanni Meroli, Aldo Mazzi e Mario Rombolini, Piero Vaccari.

Un certo interesse rivestono quelle che ci ha lasciato Giorgio Luxardo, le quali registrano anche il passare del tempo, a differenza del paesaggio immobile fino adesso analizzato nelle opere degli altri pittori. I suoi dipinti dai colori caldi ci mostrano la torre di San Lazzaro ormai monca, con la parte terminale franata come si presenta oggi. In Luxardo, la composizione assai più vasta non pone più il fuoco sulla mole architettonica della torretta e della cinta muraria, ma esse diventano parte di sfondo di pittoresche vedute marine, dove vengono ambientate scene di vita balneare. Non è un caso che anche il nome con cui sono note queste opere non rechi più riferimento al lazzeretto e alla sua torre, quanto invece al toponimo con cui oggi tale luogo è conosciuto e frequentato dai bagnanti, ovvero “scogliera (o scogli) dell’Accademia”. Questi sono solo alcuni dei brani individuati con protagonista la torre di San Lazzaro, e pubblicati nel libro dello scrivente intitolato La Torretta di San Lazzaro. Il lazzeretto di San Leopoldo nella pittura livornese.

In ultimo, volendo fare un parallelo che ci sembra calzante, la torre di San Lazzaro sta a Puccini come la splendida tamerice di Antignano eternata da Giovanni Fattori nel quadro la Libecciata sta al capostipite della pittura livornese. Entrambi sono stati maestri e riferimenti di intere generazioni artistiche, entrambi hanno legato la loro eredità (quantomeno in ambito locale) a questi rispettivi scorci, vedute che hanno avuto poi largo successo, fino a divenire immagini acquisite di una tradizione autoctona.

Perché poi entrambi i soggetti abbiano avuto fortuna come testamenti pittorici dei due maestri, possiamo solo ipotizzarlo, ma a tal proposito sembrano calzanti le parole usate da Federico Giannini, direttore di questo giornale, in un articolo dedicato alla Libecciata, dove scrive: “Un paesaggio, dunque, ch’è vivo come un ritratto. O forse, come un autoritratto”. Ecco io credo che un discorso non dissimile possa essere speso anche per Il Muraglione del Lazzeretto, dipinto di Mario Puccini e la torre di San Lazzaro che ne è il principale soggetto. Al termine di questa non certo breve digressione sulla torretta, si capirà quindi l’importanza di aver salvaguardato quel cumulo di mattoni, che se opportunamente letti si mostrano nel loro valore di importante testimonianza del passato e monumento reso iconico dalla pittura che gli artisti hanno registrato in diverse epoche e diverse condizioni di luce e climatiche. Ecco, credo che forse l’approccio ideale per non perdere tutto questo sia seguire quella strada già indicata da Tomaso Montanari, quando a proposito dei beni culturali scrive di “guardare le pietre e vedere non le pietre ma le persone”.


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Jacopo Suggi

L'autore di questo articolo: Jacopo Suggi

Nato a Livorno nel 1989, dopo gli studi in storia dell'arte prima a Pisa e poi a Bologna ho avuto svariate esperienze in musei e mostre, dall'arte contemporanea, alle grandi tele di Fattori, passando per le stampe giapponesi e toccando fossili e minerali, cercando sempre la maniera migliore di comunicare il nostro straordinario patrimonio.



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