di
Federico Giannini
(Instagram: @federicogiannini1), scritto il 17/02/2016
Categorie: Opere e artisti / Argomenti: Storia della critica d'arte
Quarta puntata della nostra storia della critica d'arte: si parla della Scuola di Vienna e di alcuni dei suoi più importanti esponenti (Eitelberger, Wickhoff, Riegl e Dvořák)
Nell’ultimo episodio della nostra storia della critica d’arte avevamo parlato di Julius von Schlosser (1866 - 1938) e avevamo introdotto la Scuola di Vienna, l’importante gruppo di studiosi, di cui Schlosser fu uno dei più giovani esponenti, che contribuì a rinnovare in modo radicale la disciplina dello studio della storia dell’arte. E dal momento che il contributo della scuola di Vienna fu fondamentale, è doveroso dedicare un appuntamento di questa nostra serie di articoli proprio a questo gruppo di storici dell’arte, il cui “fondatore” (mettiamo la parola tra virgolette perché, come avevamo detto nell’articolo su Schlosser, in realtà il gruppo non aveva caratteri di ufficialità) veniva riconosciuto da Schlosser nella figura di Rudolf Eitelberger von Edelberg (1817 - 1885).
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Rudolf Eitelberger von Edelberg |
Nell’articolo su Schlosser, avevamo parlato di come la visione della storia dell’arte come “insieme” di
rapporti filologici tra le opere fosse stata una conquista di tutta la Scuola di Vienna: le basi furono gettate proprio da Eitelberger, che aveva studiato
filologia all’Università di Olomouc (la città di cui era originario) in Boemia, e nel 1839 aveva ottenuto la cattedra di filologia all’Università di Vienna. I suoi interessi si spostarono però ben presto verso la storia dell’arte, e nello stesso ateneo viennese fu il primo docente a tenere l’appena istituita cattedra di storia dell’arte. Personalità colta, raffinata e moderna, di tendenze liberali, Eitelberger raggiunse il risultato di considerare l’opera d’arte come un oggetto in
rapporto filologico con altri oggetti. Eitelberger fu inoltre il primo studioso a porre l’accento su quelle
Quellenschriften (“Fonti scritte”, nome che lo studioso diede anche a una collana di pubblicazioni di fonti per la storia dell’arte) che diverranno poi intenso oggetto di sistematico studio da parte di Schlosser. Un altro pionieristico merito da attribuire ad Eitelberger fu l’intuizione di mettere
università e
museo nelle condizioni di
collaborare: lo studioso stesso fondò l’Österreichischen Museum für Kunst und Industrie (Museo Austriaco di Arte e Industria). Eitelberger riteneva che la ricerca non potesse fare a meno dei due istituti, che erano visti come complementari per l’attività dello storico dell’arte, tanto che lo studioso teneva spesso le sue lezioni nei musei, di fronte alle opere d’arte oggetto di studio. Una tradizione, questa che fu inaugurata da Eitelberger, destinata anche ad attecchire in Italia, dove per decenni le soprintendenze e le università hanno strettamente collaborato (e speriamo continuino a farlo ancora a lungo).
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Franz Wickhoff |
Tra i successori di Eitelberger si distinse
Franz Wickhoff (1853 - 1909), che fu allievo di Theodor von Sickel e di Moritz Thausing, e proprio a quest’ultimo successe alla cattedra di
storia dell’arte all’
Università Statale di Vienna. Uno dei punti di partenza di Wickhoff, nell’elaborazione della sua concezione della storia dell’arte, furono i risultati raggiunti da
Giovanni Morelli, grazie anche al tramite di Thausing, a cui si deve l’introduzione in Austria del metodo morelliano: Wickhoff, in particolare, era affascinato dal tentativo morelliano di escogitare un metodo scientifico per la storia dell’arte, che fosse il più oggettivo possibile. Lo studioso austriaco applicò una logica derivante da questo metodo lavorando sull’attribuzione e sulla datazione degli affreschi di
Masolino da Panicale nella
basilica di San Clemente a
Roma: Wickhoff era convinto che fossero opera di Masolino da datare tra il 1446 e il 1450. Una datazione pertanto lontana rispetto a quella degli affreschi della Cappella Brancacci a Firenze, nella quale, com’è noto, Masolino aveva lavorato assieme a
Masaccio tra il 1424 e il 1425. Wickhoff, che preferì posticipare di diversi anni la realizzazione degli affreschi romani (oggi comunque collocati dalla critica attorno al 1428) sulla base di una presunta influenza che l’artista toscano avrebbe ricevuto da
Pisanello, presente a Roma tra il 1431 e il 1432, riteneva che gli elementi arcaicizzanti tipici dell’arte di Masolino fossero una cifra propria della sua arte, che l’artista avrebbe continuato a utilizzare per tutto l’arco della propria esistenza, malgrado il più giovane Masaccio avesse introdotto, come ben sappiamo, dirompenti novità.
Considerando dunque la storia dell’arte una disciplina scientifica, Wickhoff iniziò a rifiutare certi schemi che venivano dati per assodati, facendo sì che certi momenti della storia dell’arte venissero letti secondo un’ottica più obiettiva: per esempio, Wickhoff attribuiva una notevole originalità all’arte romana e riteneva che l’arte romana si fosse arricchita di elementi nuovi rispetto all’arte greca. Wickhoff, in sostanza, andava contro l’assunto di Johann Joachim Winckelmann (1717 - 1768), che considerava l’arte romana una sorta di imitazione dell’arte greca: un pregiudizio che aveva condizionato la storiografia per più d’un secolo. Si è addirittura arrivati a concludere che la storia dell’arte romana abbia inizio nel 1895, anno in cui Wickhoff pubblicò una delle sue opere principali, Die Wiener Genesis (“La Genesi di Vienna”), in cui lo studioso, analizzando il codice miniato noto, appunto, come “Genesi di Vienna” (che Wickhoff considerava del IV secolo dopo Cristo, ma che è stato oggi spostato di due secoli in avanti), proponeva una originale visione dell’arte romana: a quest’ultima, lo studioso attribuiva il merito d’aver introdotto motivi originali, che individuava nell’elaborazione di uno spazio naturale, nel realismo che connotava i ritratti, e nella continuità della narrazione (come avveniva, per esempio, nei rilievi della Colonna Traiana). Vale la pena evidenziare, tuttavia, come Wickhoff non considerasse in alcun modo l’apporto dell’arte ellenistica alla quale, secondo visioni più recenti, andrebbero invece attribuite le novità che Wickhoff ascriveva all’arte romana. Anche se le ipotesi di Wickhoff sull’arte romana sono ritenute oggigiorno superate, è grazie a lui che l’arte romana diventò oggetto di studio approfondito.
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Masolino, Scene della vita di Caterina d’Alessandria: la santa rifiuta di adorare gli idoli, Santa Caterina s’incontra in carcere con l’imperatrice Faustina, Faustina viene decapitata (1428 circa; Roma, San Clemente) |
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Alois Riegl |
Le posizioni di Winckelmann sarebbero state definitivamente superate grazie all’opera di un altro eminente studioso della Scuola di Vienna,
Alois Riegl (1858 - 1905): si era formato nel campo della giurisprudenza, ma arrivò ben presto alla storia dell’arte, e dal 1887 ricoprì, per dieci anni, l’incarico di direttore del Dipartimento dei Tessuti presso l’Österreichischen Museum für Kunst und Industrie fondato da Eitelberger. Fu proprio grazie allo studio dei tessuti che Riegl iniziò a considerare la
storia dell’arte come un continuo
processo evolutivo: lo studioso aveva infatti notato che le trasformazioni dei
motivi ornamentali dei tessuti nel corso della storia erano frutto non di cambiamenti casuali, bensì di
evoluzioni dello stile. Questa teoria, formulata da Riegl in una sua fondamentale opera del 1893 intitolata
Stilfragen (“Problemi di stile”) lo portò a considerare la storia dell’arte come una
storia fatta di mutamenti in continua evoluzione. Una concezione che derivava dalle
scienze sperimentali e che ben si conciliava con la volontà, da parte della Scuola di Vienna, di dare scientificità allo studio della storia dell’arte. Dunque, per Riegl (così come per Wickhoff, del resto) lo studio della storia dell’arte doveva essere in grado di individuare i
passaggi e i
cambiamenti occorsi con lo scorrere del tempo, e non stabilire quale epoca si fosse più avvicinata a un concetto (peraltro arbitrario) di perfezione.
Studiando in modo più approfondito le ragioni in base alle quali i motivi ornamentali conoscono evoluzioni nel corso del tempo, Riegl arrivò a introdurre il fondamentale concetto di Kunstwollen (letteralmente, “volontà d’arte”), enunciato per la prima volta in modo sistematico nell’introduzione all’opera del 1901 Die spätrömische Kunstindustrie nach den Funden in Österreich (“L’industria artistica tardoromana secondo i ritrovamenti in Austria”). Con questo termine, Riegl intendeva spiegare le evoluzioni dello stile sulla base del potere creativo che avrebbe connotato ogni singola civiltà artistica (e non sulla base di un semplice sviluppo della tecnica artistica): grazie alla Kunstwollen, ogni civiltà produce manifestazioni artistiche proprie, ravvisabili in qualunque prodotto artistico. Tra l’altro, attraverso gli assunti di questa teoria, Riegl arrivò a stabilire che tutte le forme d’arte dovessero avere uguale dignità in quanto tutte prodotto della stessa Kunstwollen, e questa intuizione lo portò ad attribuire alle arti cosiddette “minori” (come l’oreficeria, la miniatura e la medaglistica) la stessa importanza che veniva riconosciuta alle arti considerate “maggiori” (pittura, scultura e architettura): un altro pregiudizio veniva dunque superato. Il limite del pensiero di Riegl consisteva nel fatto che, per lui, la Kunstwollen (che potremmo, peraltro, tradurre anche con il termine "gusto", benché il concetto abbia conosciuto delle evoluzioni nel corso della storia della critica d’arte) era il principale fattore che determinava la creazione di un’opera d’arte, e questo portò lo studioso a sottostimare le basi storiche e sociali per spiegare il perché di una certa espressione artistica: ciò nonostante, Riegl ebbe il merito di dare il via alla rivalutazione di civiltà artistiche (come quella tardoantica) che fino ad allora avevano goduto di scarsa considerazione.
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Max Dvořák |
Successore di Wickhoff alla cattedra di storia dell’arte dell’Università di Vienna fu uno studioso boemo,
Max Dvořák (1874 - 1921), uno degli ultimi importanti esponenti della Scuola di Vienna. Nelle sue opere giovanili, Dvořák manteneva posizioni vicine a quelle di Riegl: anche per lui, dunque, la storia dell’arte poteva essere rappresentata come una linea in continua evoluzione. Tuttavia, più avanti, Dvořák rifiutò di considerare lo studio della storia dell’arte sulla sola base dei
caratteri formali delle opere d’arte: alla base di ogni opera d’arte, per Dvořák,
c’è un’idea. Questa conclusione lo portò a elaborare il concetto portante della sua visione della storia dell’arte, esprimibile con la formula "
Kunstgeschichte als Geistesgeschichte“, ”Storia dell’arte come storia dello spirito" (anche se taluni traducono
Geistesgeschichte con “storia della mentalità” o anche con “storia delle idee”: le idee del resto, secondo tale visione, sarebbero il prodotto dello spirito umano). Per Dvořák dunque l’opera d’arte non è solo espressione di uno stile, o un
fenomeno estetico, ma è anche un mezzo per conoscere la
visione del mondo (
Weltanschauung) di chi la creò. “L’arte”, scrisse lo storico dell’arte boemo, “consiste non soltanto nello sviluppo di soluzioni a problemi formali, ma è anche sempre votata a esprimere le idee che governano l’umanità nella sua storia”.
Per fare un esempio, Dvořák, nella sua fondamentale opera del 1918 Idealismus und Naturalismus in der gotischen Skulptur und Malerei (“Idealismo e naturalismo nella scultura e nella pittura gotica”) riteneva che l’arte romanica non potesse essere considerata come un’evoluzione della tradizione classica, ma come espressione di un periodo nel quale venivano elaborate nuove idee e nuovi concetti. Benché il suo metodo abbia attirato critiche (ci fu chi disse che le teorie di Dvořák si applicassero bene al contenuto delle opere d’arte, ma non alla loro forma), a Dvořák si attribuisce il merito di aver rivalutato interi periodi della storia dell’arte (come il Manierismo) e figure di artisti che erano state fino ad allora trascurate dalla storiografie e che sono ritenute oggi centrali nella storia dell’arte: l’esempio è quello di El Greco, la cui riscoperta si deve proprio al lavoro di Max Dvořák. Lo studioso si spinse inoltre a stabilire nell’arte del Tintoretto gli inizi dell’arte moderna: in particolare, nell’ultimo Tintoretto (in quello, per esempio, dell’Ultima Cena per San Giorgio Maggiore), Dvořák individuava una visionarietà che avrebbe avuto a che fare più con l’intuizione e la sensibilità dell’artista, che con gli schemi convenzionali dello stile della sua epoca. Una visionarietà che costituiva un insanabile motivo di rottura con l’arte precedente e che di fatto sanciva la nascita di un’esperienza artistica frutto di un’idea nuova, che non sarebbe stata quindi possibile in precedenza.
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Tintoretto, Ultima cena (1592-1594; olio su tela, 365 x 568 cm; Venezia, San Giorgio Maggiore) |
Bibliografia di riferimento
- Diana Reynolds-Cordileone, Alois Riegl in Vienna 1875–1905: An Institutional Biography, Ashgate Publishing, 2013
- Matthew Rampley, The Vienna School of Art History: Empire and the Politics of Scholarship, 1847-1918, Pennsylvania State University Press, 2013
- Michael Gubser, Time’s Visible Surface: Alois Riegl and the Discourse on History and Temporality in Fin-de-Siècle Vienna, Wayne State University Press, 2006
- Ricardo de Mambro Santos, Viatico viennese: la storiografia critica di Julius von Schlosser e la metodologia filosofica di Benedetto Croce, Apeiron, 1998
- Eugene Kleinbauer, Modern Perspectives in Western Art History: An Anthology of 20th-century Writings on the Visual Arts , University of Toronto Press, 1989
- Richard Brilliant, Roman art from the Republic to Constantine, Phaidon Press, 1974
- Max Dvořák, Kunstgeschichte als Geistesgeschichte: Studien zur abendländischen Kunstentwicklung, Mäander Kunstverlag, 1973
- Alois Riegl, Die spätrömische Kunstindustrie, Druck und Verlag der Osterreichischen Staatsdruckerei, 1927
- Erwin Panofsky, Über das Verhältnis der Kunstgeschichte zur Kunsttheorie in Zeitschrift für Ästhetik und allgemeine Kunstwissenschaft, 18 (1925)
- Max Dvořák, Idealismus und Naturalismus in der gotischen Skulptur und Malerei, Oldenbourg, 1918
- Alois Riegl, Stilfragen: Grundlegungen zu einer Geschichte der Ornamentik, Verlag von Georg Siemens, 1893
- Franz Wickhoff, Die Wiener Genesis in Jahrbuch der kunsthistorischen Sammlungen des Allerhöchsten Kaiserhauses (15/16), 1895
- Franz Wickhoff, Die Fresken der Katherinenkapelle in S. Clemente zu Rom in Zeitschrift für bildende Künst, 25 (1889)
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L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).