“Fa tu adonque alle teste li capegli scherzare insieme col finto vento intorno alli giovanili volti”: così, in un passo del suo Trattato della pittura, databile al 1490-1492, il grande Leonardo da Vinci (Vinci, 1452 - Amboise, 1519) suggerisce, al pittore che intenda apprendere i segreti dell’arte, il modo in cui eseguire i capelli del soggetto raffigurato. Viene quasi naturale associare questo brano a una delle opere forse più note del genio toscano, ovvero la Scapigliata (o Scapiliata) oggi conservata presso la Galleria Nazionale di Parma. È un dipinto realizzato a biacca con pigmenti di ferro e cinabro su tavola di noce: il soggetto è una giovane, raffigurata col volto di tre quarti rivolto verso il basso, i capelli scarmigliati (da cui il nome col quale l’opera è universalmente nota), gli occhi socchiusi, l’espressione dolcemente malinconica, il tutto lasciato in stato di vistosa incompiutezza. Si tratta di una tavoletta di ridotte dimensioni, peraltro resecata e rifilata lungo il bordo destro, probabilmente perché in un momento imprecisato della storia la si volle adattare a una cornice. Ma la sua storia è ancora in gran parte tutta da scrivere.
Nei documenti, infatti, non esistono fonti contemporanee a Leonardo che la menzionino espressamente. Il termine “Scapiliata” compare per la prima volta nell’inventario dei beni del duca Ferdinando Gonzaga (redatto tra il 12 gennaio e il 3 marzo 1627 e oggi conservato all’Archivio di Stato di Mantova), dove si parla di “un quadro dipintovi una testa d’una dona scapiliata, bozzata, con cornici di violino, oppera di Lonardo d’Avinci, stimato lire 180”. Non è certo che si tratti proprio della Scapigliata oggi a Parma, ma molti hanno voluto associare questa menzione d’inventario al quadretto. La storia conosciuta dell’opera comincia solo nel 1826, quando gli eredi del pittore Gaetano Callani (Parma, 1736 - 1809) offrono la Scapigliata all’Accademia di Belle Arti di Parma, dove però alla fine non entrerà, perché sarà la Galleria Palatina ad accogliere la tavola, nel 1839, con attribuzione a Leonardo da Vinci.
Ed è proprio la figura di Callani a stabilire un forte legame tra Leonardo da Vinci e Parma. Callani, infatti, palesò un forte interesse per il grande artista rinascimentale: il Complesso della Pilotta conserva un suo disegno raffigurante Leonardo da Vinci nel suo studio (dal quale poi il veronese Domenico Cunego trasse, nel 1782, un’incisione all’acquaforte) che rappresenta forse la più viva testimonianza che l’artista parmense nutrì per Leonardo da Vinci. Da alcuni degli strumenti che circondano Leonardo nel disegno di Callani, peraltro, si desume la conoscenza, da parte dello stesso Callani, del Codice Atlantico, che evidentemente l’artista aveva conosciuto attraverso le copie che suo cognato, Carlo Giuseppe Gerli, ne aveva eseguito, pubblicandole in un’edizione a stampa nel 1784. Carlo Giuseppe Gerli e suo fratello Agostino svilupparono una vera passione per l’opera di Leonardo, al punto da costruire anche alcuni apparecchi basati sui modelli leonardiani: lo studioso Alberto Crispo ha ipotizzato che probabilmente i due fratelli ebbero un ruolo nell’acquisto della Scapiliata da parte di Callani. Ma non solo: in una lettera del 1780 inviata a un interlocutore che non ci è noto, Callani pensa di coinvolgere l’Accademia di Belle Arti di Parma in una trattativa per portare in città un quadro di Leonardo con la Madonna, il Bambino e san Giovannino (presumibilmente la Vergine delle rocce, oggi alla National Gallery di Londra, e all’epoca in possesso di un privato): la trattativa purtroppo non andò in porto, e in caso contrario oggi Parma avrebbe potuto fregiarsi d’esporre un altro dei più rinomati capolavori leonardiani. Sta di fatto che la figura di Callani, ha scritto lo stesso Crispo, si rivelò “fondamentale per lo sviluppo degli studi su Correggio e Leonardo nella seconda metà del XVIII secolo e per il ruolo giocato, non solo a Parma, nel mercato dell’arte e del collezionismo”.
Leonardo da Vinci, Testa di donna detta “La Scapiliata” (1492 circa - 1501; biacca con pigmenti di ferro e cinabro, su preparazione di biacca contenente pigmenti a base di rame, giallo di piombo e stagno su tavola di noce, 24,7 x 21 cm; Parma, Complesso Monumentale della Pilotta, Galleria Nazionale) |
Leonardo da Vinci, La Scapiliata |
Maria Callani, Ritratto del padre Gaetano Callani (1802; olio su tavola, 49 x 40 cm; Parma, Complesso Monumentale della Pilotta, Galleria Nazionale) |
Domenico Cunego, Leonardo da Vinci nel suo studio (1782; acquaforte, 319 x 206 mm l’impronta, 381 x 241 mm il foglio; Parma, Complesso Monumentale della Pilotta, Biblioteca Palatina, Raccolta Ortalli) |
L’allestimento della Scapigliata alla Galleria Nazionale di Parma |
L’allestimento della Scapigliata alla Galleria Nazionale di Parma |
Tornando alla Scapigliata, com’è ovvio immaginare attorno alla tavoletta si scatenò un dibattito destinato a durare negli anni e ad accompagnarla fino ai giorni nostri: è un dipinto per il quale non esistono fonti dell’epoca di Leonardo, quindi a qualcuno è parso lecito dubitare della sua paternità. Che venne respinta, per esempio, da Corrado Ricci, nel 1896: il grande archeologo e storico dell’arte pensava che la Scapigliata fosse un falso moderno, e per una trentina d’anni (prima, cioè, della riscoperta da parte di Adolfo Venturi nel 1924) ne condizionò pesantemente la fortuna. E in area anglosassone i dubbi sull’autografia sono durati a lungo. Ma ci sono tanti altri storici dell’arte che invece l’hanno ritenuta e la ritengono un autografo, specialmente in ambito italiano: tra gli altri, Adolfo Venturi, Stefano Bottari, Lucia Fornari Schianchi, Eugenio Riccomini, Carlo Pedretti, Andrea Emiliani, Edoardo Villata, Pietro C. Marani. Al di là di poche voci, pur autorevoli (per esempio, Frank Zöllner e Martin Kemp, che non hanno incluso neppure di recente la Scapigliata nelle loro monografie), l’attribuzione a Leonardo è ormai generalmente accettata.
Sono tante le domande che questa bella giovane suscita in quanti incrociano il suo sguardo. La sua leggiadria, la soavità delle sue proporzioni, l’abilità tecnica con cui la figura è tratteggiata, sono incontestabili: eppure, sembra che non ci sia traccia di lei negli scritti di Leonardo. Su quali basi, dunque, è possibile riferirla al maestro? Si può partire da lontano: per esempio, dal fatto che Leonardo da Vinci coltivasse un certo interesse per il soggetto dei capelli. Quando, nel 1482, Leonardo lasciò Firenze per trasferirsi a Milano, redasse un elenco di oggetti e opere che con tutta probabilità intendeva portarsi dietro, e tra queste opere figurano anche una “testa con un’acconciatura” e una “testa in profilo con bella capellatura”. Per Leonardo i capelli erano uno degli elementi fondamentali del volto di una persona perché ne costituiscono un ornamento naturale, e proprio per tal ragione, a suo avviso, occorreva evitare di decorare i capelli o di nasconderli: “non usare le affettate conciature o capellature di teste”, scrive ancora nel suo Trattato della pittura, “dov’appresso de’ li goffi cervelli un sol capello posto più d’un lato che da l’altro, colui che lo tiene se ne promette grand’infamia credendo che li circostanti abbandonino ogni lor primo pensiero, e solo di quel parlino e solo quello riprendino; e questi tali han sempre per loro consigliero lo specchio e il pettine, et il vento è loro capital nemico sconciatore de gli azzimati capegli”. Appare dunque evidente come per Leonardo un’acconciatura ben composta e raccolta o agghindata sia artificiosa, lontana dal naturale: la Scapigliata, così vistosamente spettinata e con solo i suoi ricci svolazzanti a fare da “ornamento” naturale, ben calza questa sua idea. Molti sono anche i disegni nei quali l’artista cerca di trovare il modo per rendere i capelli sul foglio: il tema diventa centrale quando Leonardo si trova, ad esempio, a dipingere la Leda (oggi purtroppo nota soltanto attraverso le copie) oppure la Vergine delle rocce.
Seguace di Leonardo, Leda e il cigno (primo decennio del XVI secolo; olio su tavola, 130 x 77,5 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi) |
Leonardo da Vinci (con riprese successive?), Studio per la testa di Leda (1504-1506 circa; pietra naturale su carta preparata rosso-rosata, 200 x 157 mm; Milano, Castello Sforzesco, Civico Gabinetto dei Disegni) |
È interessante introdurre proprio un confronto tra la Scapigliata e l’angelo della versione della Vergine delle rocce oggi alla National Gallery di Londra, proposto per la prima volta da Pietro C. Marani in occasione della mostra La fortuna della Scapiliata di Leonardo da Vinci, tenutasi proprio alla Galleria Nazionale di Parma, dal 18 maggio al 12 agosto 2019. Marani suggerisce che se prendiamo la testa dell’angelo della Vergine delle rocce londinese e la ruotiamo di trenta gradi, la sua figura e quella della Scapigliata diventano quasi sovrapponibili: inoltre, se ne ricava la conferma che tra le due opere, afferma lo studioso, ci sono “affinità stilistiche e financo esecutive sorprendenti, quali la materia ricca e pastosa, l’uso della biacca pigmentata, le palpebre pesanti e le pupille scure e fonde”. Sulla base di questi elementi si può ipotizzare anche che la Scapigliata sia stata realizzata nello stesso periodo del dipinto londinese, ovvero all’incirca tra il 1493 e il 1501 (quindi una datazione che anticipa quella che lo stesso Marani aveva proposto in occasione della grande mostra su Leonardo tenutasi a Milano, a Palazzo Reale, nel 2015, quando la tavoletta parmense veniva datata al 1504-1508). Già altri (come Adolfo Venturi e Carlo Pedretti) avevano suggerito che tra la tavola di Parma e la Vergine delle rocce ci fossero delle somiglianze ragguardevoli: proprio Venturi parlava di “fremito aereo” della chioma della Scapigliata, e aveva avvicinato l’opera (così come aveva fatto, poco prima di lui, un altro studioso, Armando Ottaviano Quintavalle) al dipinto di Londra.
L’attribuzione a Leonardo è dunque basata su dati stilistici, e trovare, nella produzione leonardiana, opere che possano essere raffrontate alla Scapigliata equivale a intraprendere un viaggio tra splendidi ritratti femminili, tutti accomunati dalla naturalezza dei capelli: e non si parla soltanto di ritratti finiti, come quello di Ginevra Benci, con i suoi riccioli evidenziati da accurate lumeggiature dorate, ma si tratta anche d’osservare gli studi. Ad esempio, quello conservato alla Royal Library di Windsor, dove la donna raffigurata dall’artista assume la stessa posa e lo stesso atteggiamento della Scapigliata, col volto di tre quarti, le palpebre calate, lo sguardo abbassato, e i capelli mossi dal vento. C’è poi il disegno 428 E degli Uffizi, dove forse vediamo la più elaborata acconciatura mai inventata da Leonardo (si tratta, peraltro, di uno dei rari disegni che risalgono al periodo di apprendistato di Leonardo presso la bottega del Verrocchio: curioso notare come qui la ragazza porti in capo una fascia con monile, s’è visto che poi su questo tema, nel Trattato della pittura, Leonardo avrebbe decisamente cambiato idea), o ancora la giovane coi capelli raccolti nel disegno 2376 del Louvre, probabilmente uno studio per la Madonna Litta conservata all’Ermitage di San Pietroburgo. Un meraviglioso universo femminile tutto accomunato da acconciature naturali, che trasmettono all’osservatore tutto l’interesse di Leonardo per questa parte del corpo della donna.
Ci sono anche altri elementi stilistici che depongono a favore dell’attribuzione a Leonardo: per esempio, scrive ancora Marani, la “fusione tra movimento dei capelli e aria circostante, tra luce e ombre sfumate l’una nell’altra ‘a guisa di fumo’”, che “sembra raggiungere in questa tavoletta uno dei vertici, per capacità di sintesi e di mezzi, dell’arte di Leonardo”, oppure ancora, riprendendo un commento di Adolfo Venturi, i “lineamenti profilati con delicatezza dall’ombra soffice e il perfetto ovale del volto” (che lo storico d’arte emiliano metteva a paragone con i disegni per la Leda conservati a Windsor). Pedretti, che nel 1985 definiva “accantonato” il problema dell’autenticità della tavola, si concentrava invece sulla dolcezza del segno, giudicata compatibile con quella che si ravvisa nelle altre opere di Leonardo. La restauratrice Pinin Brambilla Barcilon, profonda conoscitrice di Leonardo (si deve a lei il celebre restauro ventennale dell’Ultima cena di Santa Maria delle Grazie a Milano), ha scritto che “l’intensità espressiva del viso e lo stato emotivo infuso a questa vibrante immagine sono tra gli elementi che segnano maggiormente l’impatto con la Scapiliata”. Brambilla Barcilon ha peraltro analizzato il dipinto proprio in occasione della mostra del 2019, riscontrando diversi ritocchi riferibili al restauro che l’opera ha subito nell’Ottocento (soprattutto nella zona dell’occhio sinistro, a suo avviso: si tratta di ripassi tali da alterare addirittura l’equilibrio compositivo). Di sicuro, secondo Brambilla Barcilon, non appartengono a Leonardo le ciocche sinuose realizzate con ampie pennellate ai lati del capo: “presentano una libertà di tratto che non mi sembra corrispondere alla tecnica di Leonardo”, ha affermato. Probabilmente, secondo la restauratrice, sono le anomalie dovute alle manomissioni nell’Ottocento che hanno condizionato il giudizio di Corrado Ricci (che peraltro sospettò anche che l’autore della Scapigliata fosse... Gaetano Callani!).
Leonardo da Vinci, Vergine delle rocce (1493-1501; olio su tavola, 189,5 x 120 cm; Londra, National Gallery) |
Confronto tra la Scapigliata e la Vergine delle rocce |
Leonardo da Vinci, Studio per l’acconciatura di una donna (1504-1506 circa; penna e inchiostro su carta bianca, 92 x 112 mm; Windsor Castle, Royal Library) |
Leonardo da Vinci, Testa di giovane donna con lo sguardo rivolto verso il basso, lunghi capelli ed elaborata acconciatura (penna e inchiostro, pennello e inchiostro diluito, biacca, acquerellatura grigia?, tracce di pietra nera o punta di piombo su carta preparata con colore avorio, 280 x 200 mm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe, inv. 428 E) |
Leonardo da Vinci, Testa di giovane donna (punta di piombo su carta, 179 x 168 mm; Parigi, Louvre, Cabinet des Dessins, inv. 2376) |
Bernardino Luini, Salomè con una serva e il boia che presenta la testa del Battista (1525 circa; olio su tavola, 51 x 58 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi) |
Andrea Solario, Salomè con la testa del Battista (prima metà del XVI secolo; olio su tavola, 59 x 58 cm; Vienna, Kunsthistorisches Museum) |
Giampietrino, Salomè con una serva e il boia che presenta la testa del Battista (1510-1530 circa; olio su tavola, 68,6 x 57,2 cm; Londra, National Gallery) |
C’è, infine, un’ultima questione che val la pena approfondire: chi è davvero la Scapigliata? Chi è quella bella giovane che rappresenta? Forse uno studio per una Madonna col Bambino, si è pensato in passato. Oppure uno studio per una Leda. Ovviamente non possiamo saperlo, ma è possibile formulare alcune ipotesi, partendo dagli studi più recenti. In un suo contributo del 2016, la storica dell’arte Carmen Bambach, specialista di Leonardo, dopo aver dato conto del “modellato scultoreo del volto classicheggiante” della giovane, “lavorato delicatamente con una finitura marmorea”, rilevava come ci fosse un forte contrasto tra la compiutezza del volto e lo stato d’abbozzo dei capelli, delle spalle e del collo. Un contrasto intenzionale, secondo Bambach, e proprio questa intenzionalità potrebbe, a suo avviso, rivelare interessanti indizi: la studiosa americana ricollega questo elemento alla descrizione che Plinio fa di una Venere di Apelle lasciata incompiuta, e secondo lo scrittore romano proprio questa incompiutezza rendeva affascinante la Venere per i suoi antichi ammiratori. Leonardo era in possesso della Naturalis historia di Plinio (lo sappiamo per certo), e in più il letterato Agostino Vespucci (Terricciola, 1462 - Terranova, 1515), autore di alcune celebri annotazioni su Leonardo da Vinci redatte nel 1503, in un passaggio paragona il grande toscano al greco Apelle, e in un altro ancora evoca la Venere di Apelle e il suo stato di non-finito. Che Leonardo abbia voluto cimentarsi nell’impresa d’imitare Apelle?
Secondo Marani si tratterebbe però di un intento troppo sperimentale per un’opera di cui conosciamo moltissime derivazioni, che ritroviamo, in particolare, nell’arte di Bernardino Luini (Dumenza, 1481 circa – Milano, 1532): segno che l’opera era stata molto probabilmente concepita per essere portata a termine. Proprio Luini potrebbe però fornire una chiave per sapere chi potrebbe essere la Scapigliata: in una sua Salomè con la testa del Battista conservata alla Galleria degli Uffizi, il volto della figlia di Erode è pressoché identico a quello della giovane conservata alla Galleria Nazionale di Parma. Un’altra probabile derivazione è la Susanna del Liechtenstein Museum di Vienna, frammento di un’opera più grande. Ancora a Vienna, palesa una notevole vicinanza alla Scapiliata una Salomè di un altro leonardesco, Andrea Solari (Milano, 1470 circa – 1524). Un po’ più distante nella resa, ma simile nell’idea, è la Salomè del Giampietrino custodita oggi alla National Gallery di Londra. In breve, molte sono le opere a tema biblico che dimostrano una palese derivazione dalla Scapigliata, oltre ad attestarne la fortuna (e a fornire un argomento per la bontà dell’attribuzione a Leonardo): la tavola di Parma potrebbe dunque essere, conclude Marani, “lo studio per una composizione avente uno di questi temi per soggetto”. Destinato dunque a far risuonare la sua eco a lungo. Un’opera rimasta a Parma grazie al grande amore che il suo antico proprietario nutriva per Leonardo, e un’opera che, dalla sua sala nella Galleria Nazionale, continua a trasmettere oggi a chi la ammira tutta l’innovativa originalità dell’estro e delle invenzioni di Leonardo.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERGli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
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