Visitare Keil Space a Firenze, lo spazio ideato dall’artista inglese Samantha Keil, significa intravedere il futuro, fare esperienza ed assaporare quello che vorremmo sia il futuro. Lo spazio, fondato da Samantha Keil, maestra del bronzo proveniente da una lunga stirpe di artigiani legati alla Corona inglese, accoglie i visitatori in un vero viaggio estetico che unisce il potere dell’arte alla dimensione della vista, del suono, dell’olfatto, del gusto e del tatto. Un’esperienza di riflessione e decompressione capace di risvegliare la nostra “capacità di vedere”, intesa come capacità di sentire e percepire il mondo intorno a noi.
Dal caos tipico della città di Firenze si scende, tramite una rampa, in un ambiente centrale della città ma piacevolmente appartato. Tutto è educato, gentile. Si percepisce subito una sorta di “radicalità” nella cura del visitatore che non è elemento passivo, da passare al metal detector, ma soggetto centrale e protagonista.
Subito viene chiesto di lasciare il cellulare e così si può accedere alla prima stanza. Nel primo ambiente, caratterizzato da tre grandi colonne, si percepisce subito la necessità di procedere per sottrazione e lasciare fuori il rumore e le sovrastrutture che ci portiamo dietro. In questo ambiente Samantha Keil evidenzia con rigore e definizione quelli che sono i valori che ci accompagneranno nella visita. Si prosegue incontrando la “Prima Generazione di Bronzi”. In un ambiente più raccolto ci accoglie una piccola wunderkammer che ripercorre il percorso di Keil tramite un’articolata riflessione sulle possibilità del bronzo e della materia. Centrale l’opera Lovers in cui la dimensione figurativa di due amanti trascende la materia in una tensione pulsante, come se qualcosa dovesse ancora succedere o qualcosa fosse appena successo: una danza, una lotta, un rito.
Si prosegue la visita sempre accompagnati, e mai spinti, quasi in una dimensione “affettuosa” dove l’esperienza con l’ambiente e con le opere, cresce e si sviluppa in modo naturale e intenso. Nella “Seconda Generazione di Bronzi” è evidente l’evoluzione di Keil secondo le urgenze e le dinamiche moderniste. Ancora una volta la modalità e la cura nella fruizione diventano parte integrante e non secondaria. Come se l’artista, progettando questo spazio, avesse voluto pensare non solo al “figlio” ma anche alla sua “casa”, consapevole delle dinamiche del mondo dell’arte che spesso possono travisare il contesto con ricadute fatali sul contenuto.
Mi sono sentito accompagnato con una “cura radicale” e affettuosa. Nell’opera al centro della Seconda Generazione, Saber, la luce riveste una componente fondamentale, capace di portare il visitatore in una dimensione ancestrale e primordiale giocata tra luce e oscurità. Esattamente come se ci trovassimo a casa di un amico, è stato bello indugiare davanti a quest’opera, abbandonando quella fruizione meccanica e “fast food” a cui musei e biennali d’arte sono sempre più costretti. Da recenti studi, anche in grandi musei, ci si sofferma in media, davanti la singola opera, meno di un secondo. Questa estrema superficialità, data dai tempi e dai modi contemporanei, rischia di annichilire e soffocare qualsiasi valore che invece in Keil Space sembra protetto con precisa consapevolezza.
Si prosegue poi nell’ultima fase della visita dove cambiamo ancora ambiente per incontrare la “Nuova Generazione”. Qui sono stato invitato a sedermi, e sono rimasto solo con me stesso per qualche minuto. In quest’ultimo ambiente si precipita in un luogo e in una dimensione misteriosa, dove l’infinitamente grande incontra l’infinitamente piccolo. L’esperienza della “Nuova Generazione” è quella di contatto con un’opera che è estremamente fisica, materiale e reale, ma allo stesso tempo trascendente e spirituale che ci pone molto lontani dall’effetto Luna Park di molte esperienze contemporanee in bilico tra virtualità e intrattenimento. Quest’opera conclude il percorso con una sorpresa che chiude in modo armonico e coerente il percorso di visita, chiudendo un cerchio e svelando un senso più profondo dell’intero percorso tra le opere di Keil.
Alla fine della mia esperienza ho avuto modo di lasciare la mia testimonianza che è confluita in un racconto corale composto dalle narrazioni di più di 500 persone, fra i 16 e gli 80 anni, che in meno di un anno hanno preso parte alla visita individuale a Keil Space. Questo dialogo e scambio, che si è avviato fin dal principio della visita, mi ha permesso di avere veramente un ruolo attivo all’interno dell’esperienza e di farmi sentire non solo un osservatore passivo, ma il reale protagonista di ciò che stavo vedendo e vivendo, come se io stesso fossi il co-creatore dell’intera esperienza. A Keil Space, infatti, sembra dilatarsi il tempo che ci si concede per stare nel qui ed ora, e ci si sente invogliati dall’ambiente e dalle modalità di visita a una maggiore contemplazione non solo della propria interiorità e del mondo esterno, ma anche in rapporto all’opera d’arte. La pace ritrovata nel sottosuolo di Keil Space è infatti dovuta allo “spazio altro” che si crea, dando nuova linfa alla percezione del sé, del mondo, dell’arte.
Il tempo e la cura dedicati dall’artista al suo lavoro si rispecchiano nel ritrovare, da parte dei visitatori, una maggiore contemplazione e attenzione a ciò che stanno guardando e vivendo. Per questo l’attenzione verso l’individualità del visitatore è il vero valore distintivo di questo innovativo spazio, evidenziando un approccio che rende il visitatore non solo spettatore, ma co-creatore di un’esperienza di consapevolezza grazie alla volontà dell’artista di riaprire l’accessibilità al dialogo artistico davvero per tutti. Questa è la vera rivoluzione, il nuovo Risorgimento che ancora una volta parte non a caso da Firenze, di cui avevamo bisogno.