L’articolo che segue è un estratto dal testo critico nel catalogo della mostra Preraffaelliti. Rinascimento Moderno, diretta da Gianfranco Brunelli e a cura di Elizabeth Prettejohn , Peter Trippi, Cristina Acidini e Francesco Parisi con la consulenza di Tim Barringer, Stephen Calloway, Charlotte Gere, Véronique Gerard Powell e Paola Refice, in corso fino al 30 giugno 2024 al Museo Civico San Domenico di Forlì.
Nel 1899, cinquantun anni dopo aver fondato la Confraternita dei Preraffaelliti insieme ad altri sei giovani, William Michael Rossetti ricordava: “La tempra di quei giovincelli, dopo qualche anno dell’attuale formazione accademica, era la tempra dei ribelli: volevano la rivolta, e fecero una rivoluzione”, Ripensando alla primavera del 1849, quando i dipinti dei Confratelli furono esposti in pubblico per la prima volta, descrisse “una combriccola di giovani spiriti irrequieti e ambiziosi, decisi a ricominciare da zero per conto proprio e fare piazza pulita di certe fiacche rispettabilità”. Ogni generazione produce giovani insoddisfatti e la storia dell’arte occidentale è scandita da una serie di rivolte, qualcuna con effetti più duraturi di altre. Tuttavia, la ribellione della Confraternita non riguardava solamente l’estetica. Ammiravano lo storico Thomas Carlyle, il quale nella sua influente opera Past and Present (1843) osservava che la nazione inglese doveva “imparare a comprendere il significato del suo strano, nuovo oggi”. L’Inghilterra, in particolare Londra, dove risiedevano i Preraffaelliti, era il centro dell’impero globale più vasto mai esistito, perfettamente collegata con il mondo ma alle prese con profondi cambiamenti interni: la borghesia in ascesa prosperava mentre i lavoratori vivevano in condizioni di estrema povertà, spesso in città affollate e in centri industriali che si espandevano a spese della natura. In considerazione di questo contesto instabile, Tim Barringer e Jason Rosenfeld hanno identificato la Confraternita preraffaellita come un movimento d’avanguardia, “che rovescia le ortodossie artistiche correnti e le sostituisce con nuove prassi critiche, spesso confrontandosi direttamente con il mondo contemporaneo”; non a caso essa si formò in quello stesso anno 1848 in cui nell’Europa continentale scoppiarono le rivoluzioni e la loro meno violenta variante inglese, ovvero il movimento cartista, chiese una “carta del popolo” che garantisse il suffragio e lo scrutinio segreto per tutti gli uomini dai ventun anni in su. Il 10 aprile 1848 due studenti delle Royal Academy Schools, William Holman Hunt e John Everett Millais, parteciparono alla grande manifestazione cartista di Londra, e nell’autunno trasmisero il suo spirito di riforma alla prima riunione della Confraternita, che si svolse nella casa di famiglia di Millais nel centro di Londra.
Di età compresa tra i diciannove e i ventitré anni, i sette fondatori non erano soltanto dei ragazzi irrequieti che volevano scandalizzare chi era maggiore di loro; come scrive Elizabeth Prettejohn, “la rivolta dei giovani Preraffaelliti contro l’establishment artistico vittoriano è un caso unico nella storia dell’arte moderna perché fu un attacco dall’alto”. Per loro, “l’establishment, rappresentato da affermati esponenti della Royal Academy come [Edwin] Landseer e [Charles Robert] Leslie, significava successo commerciale ottenuto grazie alla rappresentazione di soggetti piacevoli e aneddotici adatti all’ambiente domestico della borghesia agiata. I Preraffaelliti espressero una critica implicita agli artisti più anziani adottando soggetti più seri ed elevati dei cani di Landseer e delle scene amene tratte dalla letteratura di Leslie”. Sin dall’inizio, dunque, i Confratelli scelsero soggetti che avevano direttamente a che fare con temi morali, religiosi, sociali e politici, di pressante interesse per loro ma poco familiari o sconcertanti per la maggior parte del pubblico, adottando composizioni e tecniche che erano al tempo stesso storicamente fondate e sperimentali. Le loro innovazioni risultano più chiare da un confronto con il dipinto di buona fattura di Leslie Queen Katherine and Patience, che raffigura una scena del dramma di Shakespeare Enrico VIII. Con la sua tavolozza sobria e l’impressionante chiaroscuro, l’opera esemplifica l’arte narrativa convenzionale apprezzata dagli acquirenti della classe media alla mostra estiva della Royal Academy, dove fu esposta; e infatti fu comprata da John Sheepshanks, un industriale di Leeds che quindici anni dopo donò alla nazione la sua collezione di quadri di questo genere. Shakespeare era uno degli eroi dei Preraffaelliti, e più avanti vedremo quanto la loro interpretazione delle sue trame fosse più audace.
I sopracitati ricordi di William Michael Rossetti del 1899 vanno letti considerando che furono scritti a distanza di decenni dall’avvenimento. Lo stesso vale per le memorie di Holman Hunt, che furono pubblicate in una serie di articoli negli anni Ottanta dell’Ottocento e in volume nel 1905; tuttavia non c’è ragione di dubitare della sua affermazione, quando scrive che negli anni Quaranta del secolo ammirava l’abilità tecnica di Leslie e di altri accademici di successo, come William Etty, William Mulready e Augustus Leopold Egg. In ogni caso, per Hunt quasi tutti gli artisti che esponevano alla Royal Academy erano “triti e affettati; ai miei occhi, la loro colpa più frequente era che rimpiazzavano la bellezza con vacua leggiadria [...]. Le statue di cera dipinte che recitavano la parte di esseri umani mi irritavano, e spesso la banale convenzionalità mi allontanava da maestri i cui pregi altrimenti apprezzavo”. Quanto alla tecnica degli accademici, William Michael Rossetti scrive che i Confratelli “detestavano quelle forme di esecuzione che sono solamente levigate e graziose e quelle che, aspirando alla maestria, non sono altro che affrettate e approssimative o, come dicevano loro, ‘sciatte’”.
I sette giovani presenti a quella prima riunione dell’autunno 1848 provenivano da vari ambienti della borghesia e avevano abilità artistiche molto diverse. Millais, Hunt e Dante Gabriel Rossetti studiavano alla Royal Academy Schools; Rossetti frequentava solo saltuariamente e stentava nell’esecuzione, mentre Millais era un talento precoce, straordinariamente ammesso all’età di undici anni, e quindi era più avanti dei suoi amici. A queste tre figure di spicco si unirono lo scultore Thomas Woolner, due pittori di minor talento, James Collinson e Frederic George Stephens, e il fratello minore di Gabriel, William Michael; in seguito questi ultimi due si dedicarono alla critica d’arte e divennero i principali cronisti della Confraternita. Vista la giovane età dei suoi membri, non sorprende che le riunioni del gruppo fossero molto animate, persino goliardiche, né che nei primi due anni le loro collaborazioni fossero strette e molto varie. Hunt ricorda che fu Gabriel a proporre di formare ma “confraternita”, avendo ereditato dal padre rivoluzionario italiano il gusto per gli intrighi; ciò rende ancora più sorprendente che non abbiano prodotto un manifesto scritto né un ritratto di gruppo, ma solo disegni in cui si ritrassero l’un l’altro, che trasmettono il loro ardore giovanile. [...]
Invece dell’idealizzazione e di altre convenzioni perseguite nelle aule e nelle gallerie dell’Accademia, i Confratelli ammiravano, come ricorda Hunt, “i tratti ingenui schiettamente espressivi e la grazia spontanea” propri dell’arte del Quattrocento, “così vigorosa e innovativa”, fiorita prima che si affermassero le regole della prospettiva. Come ha osservato Elizabeth Prettejohn, a quell’epoca la maggior parte degli artisti inglesi considerava i dipinti italiani (e flamminghi) del primo Quattrocento solo come una tappa esplorativa nel percorso verso l’arte più sofisticata del cosiddetto Alto Rinascimento. Mentre i sette amici stavano progettando la loro ribellione, Gabriel propose la denominazione “paleocristiani”, termine che aveva imparato dal suo insegnante Ford Madox Brown, uno spirito affine che aveva lavorato in Italia ma che non aderì mai formalmente alla Confraternita. Hunt suggerì invece “preraffaelliti”; in seguito ricordò che egli e Millais ammiravano i cartoni di Raffaello per gli arazzi della Cappella Sistina e la Santa Caterina d’Alessandria, mentre ritenevano che la pala della Trasfigurazione (ultimata da aiuti e nota ai due giovani inglesi attraverso un’incisione), con “il suo grandioso sprezzo per la semplicità della verità, gli atteggiamenti pomposi degli Apostoli e la posa poco spirituale del Redentore”, segnasse una “tappa decisiva nella decadenza dell’arte italiana”. Quando i due espressero queste considerazioni ad alcuni compagni di studio all’Accademia, quelli replicarono: “Ma allora siete preraffaelliti”. Millais e Hunt “convennero, ridendo, che quella denominazione andava accettata”, e così, alla fine, fu unita a “Confraternita”.
Nelle sue memorie, Hunt sostenne poi che “le tradizioni giunte attraverso l’Accademia bolognese fino ai nostri giorni, che furono poste a fondamento di tutte le scuole successive e sostenute da Le Brun, Du Fresnoy, Raphael Mengs e Sir Joshua Reynolds, hanno esercitato un’influenza letale, tendendo a soffocare il respiro del disegno”. A questo problematico lignaggio avrebbe potuto aggiungere Pieter Paul Rubens: nella sua copia del diffusissimo libro di Anna Jameson Sacred and Legendary Art (1848), a ogni occorrenza del nome del maestro fiammingo Gabriel annotò a margine “Sputare qui”. Benché innegabilmente abile, per lui Rubens rappresentava tutto ciò che c’era di eccessivo e volgare nel sistema accademico. Così, i Confratelli rifiutarono il programma di studi stabilito da Reynolds, con i suoi calchi in gesso da copiare, i modelli nudi e la tavolozza di colori post-cinquecentesca. Tuttavia, avverte William Michael, “Sarebbe un errore credere che, siccome si chiamavano Preraffaelliti, non apprezzassero seriamente la produzione di Raffaello”; più esattamente, “detestavano ciò che era stato realizzato dagli insignificanti epigoni di Raffaello, ed erano decisi a scoprire con lo studio e la pratica personali quali fossero le loro diverse capacità e potenzialità, senza essere vincolati da regole e parrucconerie fondate sull’opera di Raffaello o di chiunque altro. Non avrebbero avuto altri maestri che non fossero le capacità della loro mente e della loro mano, e lo studio diretto della natura [...]. Questo doveva essere profondo, e la rappresentazione (quanto meno nelle fasi iniziali di autodisciplina e di lavoro) esatta al massimo grado”.
Nel cercare di migliorare “le capacità della loro mente e della loro mano”, disegnare insieme - e commentare album di disegni - si dimostrò determinante per lo spirito di gruppo dei Confratelli. Molti di loro avevano fatto parte della Cyclographic Society, un circolo di disegno fondato all’inizio del 1848. Nella loro prima riunione i Confratelli studiarono un volume di stampe di Carlo Lasinio tratte dagli affreschi del Camposanto di Pisa, attribuiti ad artisti come Benozzo Gozzoli, Orcagna e Giotto. Tracce di Lasinio si ritrovano nel loro stile grafico, fortemente lineare, privo di ombreggiature e volutamente goffo”. Adottarono questo metodo non tanto per riprodurre l’arte antica, quanto piuttosto per disimparare le convenzioni di grazia e accuratezza del modellato imposte dal sistema accademico. La coerenza dei loro primi disegni non trovava riscontro nei dipinti esposti, e questa incongruenza si poteva già rilevare nella “lista degli immortali” compilata da Hunt e Gabriel nell’estate del 1848: tale elenco di più di cinquanta “eroi” classificati in base a cinque livelli (dove solo a Gesù Cristo erano assegnate quattro stelle), benché stravagante e contraddittorio, ci dà un’idea dei gusti di questi giovani alquanto cosmopoliti. Non vi figurano solo artisti ma anche altrettanti poeti, tra cui Dante, Boccaccio, Shakespeare, Keats e Tennyson; del Quattrocento sono Ghiberti, il Beato Angelico e Bellini, ma non mancano maestri dell’Alto Rinascimento come Raffaello, Leonardo, “Michael Angelo”, “Giorgioni”, Tiziano e Tintoretto. La lista comprendeva i primi architetti gotici (Early Gothic Architects), ma avrebbe potuto menzionare altri ovvi riferimenti come Van Eyck, Dürer e gli anonimi autori dei manoscritti miniati, delle miniature e delle vetrate medievali, se non anche fonti di ispirazione moderna come la fotografia e i pittori nazareni ancora attivi a Roma. [...]
Nel maggio 1849 i Confratelli diedero al mondo dell’arte inglese un primo assaggio della loro creatività: la giuria della Royal Academy ammise alla sua prestigiosa mostra estiva il Rienzi di Hunt e Isabella di Millais. Oltre a questi due dipinti, esposti nella stessa sala del dipinto di Collinson, Italian Image-Boys at a Roadside Alehouse, il cui stile ricordava quello di Leslie, alla vicina Free Exhibition (così chiamata perché non aveva giuria) venne presentata The Girlhood of Mary Virgin di Gabriel. Tutti e quattro gli artisti avevano siglato le loro opere con le iniziali PRB. (Pre-Raphaelite Brotherhood), come parodia dei marchi privilegiati degli accademici reali, RA. (Royal Academician) e A.R.A. (Associate of the Royal Academy). Nel 1849 e negli anni successivi i visitatori delle mostre non potevano ignorare quella che lo storico dell’arte John Christian ha definito la “freschezza primaverile” dei dipinti preraffaelliti. Ancora oggi la loro luminosità e forza emotiva fanno battere il cuore, e quell’anno molti critici elogiarono gli artisti per la loro ambizione e serietà. Alcuni osservatori ebbero qualche riserva sulle linee nette, i deliberati arcaismi, l’inquietante uniformità della luce e la minuzia dei dettagli su tutta la superficie dipinta (quest’ultima derivata più dai fiamminghi che dagli italiani), ma non colsero l’insolenza della sigla del gruppo, che pertanto non suscitò clamore. […]
Nel corso degli anni i Confratelli scrissero poesie, saggi, recensioni, voci di catalogo e i propri opuscoli, e dotarono di iscrizioni i loro dipinti e le cornici. Il 15 maggio 1849, poco dopo la presentazione al pubblico della prime opere della Confraternita, William Michael cominciò a tenere un diario del gruppo, con annotazioni quotidiane fino all’8 aprile 1850, data dopo la quale esse si fecero meno regolari, per cessare del tutto il 29 gennaio 1853. William Michael diventò anche il segretario del gruppo (unica carica formale in seno alla Confraternita) e verso la fine del 1849 iniziò a curarne la rivista, “The Germ: Thoughts towards Nature in Poetry, Literature, and Art”. Lanciata nel gennaio del 1850, essa pubblicava poesie, brevi racconti, saggi in prosa e incisioni ricavate da disegni che i Confratelli eseguivano appositamente. Con un carattere tipografico che William ricordava come “aggressivamente gotico”, “The Germ” avrebbe dovuto avere cadenza mensile, per gettare i semi delle riforme culturali perseguite dai Confratelli e dalla loro cerchia. Alla fine, poiché le vendite furono scarse, ne uscirono solo quattro numeri (gennaio, febbraio, marzo e maggio 1850), che tuttavia fecero utilmente luce, ora come allora, sul modo in cui i Preraffaelliti concepivano la loro opera rivoluzionaria. […]
L’accoglienza relativamente tranquilla accordata alla Confraternita preraffaellita nel 1849 non durò. Ricorda William Michael: “Pittori affermati e critici di routine [nel 1850] si erano ormai resi conto che i giovani artisti avevano decise intenzioni personali e un piano d’azione concertato”. Il 4 maggio 1850 la diffusissima rivista “Ilustrated London News” rivelò il significato della sigla “P.R.B.”, il che è ironico considerando che i Confratelli avevano deciso di non siglare i quadri che avrebbero presentato quell’estate. Poiché questi erano esposti alla Royal Academy, il massimo disprezzo si abbatté su A Converted British Family Sheltering a Christian Missionary from the Persecution of the Druids di Hunt e, soprattutto, su Christ in the House of His Parents di Millais. La maggior parte dei critici, se trovò sconcertante il primo, si indignò energicamente per il secondo, che seguiva una strada talmente diversa dalla resa idealizzata dello stesso soggetto presentata con successo all’Accademia tre anni prima da John Rogers Herbert in Our Saviour Subject to His Parents at Nazareth (The Youth of Our Lord). Ricco di simbolismo tipologico, di figure realistiche senza abbellimenti e di potente empatia per la povertà in cui visse la Sacra Famiglia storica, per qualcuno il quadro di Millais rappresenta tuttora una provocazione. Si attirò recensioni durissime, in una delle quali si legge: “In tutti [i pittori primitivi italiani] l’assenza di conoscenza strutturale non ha mai prodotto una deformità totale. I disgustosi inconvenienti che si accompagnano a corpi non lavati non erano presentati con una realtà ripugnante; e la carne, con le sue sozzure, non era sfruttata come un mezzo artificioso di sentimento religioso in rivelazioni di cattivo gusto”.
Particolarmente infamante fu un’aspra critica scritta da Charles Dickens il quale, benché le sue opere siano popolate da persone imperfette prese dalla vita reale, non riusciva a capire perché un artista dotato come Millais dovesse mescolare realismo e simbolismo, per giunta negando il progresso storico dell’arte verso la bellezza idealizzata. La ferocia delle critiche mise a durissima prova la Confraternita, tanto che nello stesso anno James Collinson, il quale si era convertito al cattolicesimo, si dimise. In mostra nella vicina National Institution (il nuovo nome della Free Institution) vi era Ecce Ancilla Domini di Gabriel, di cui un critico scrisse “Un’ottusa imitazione di meri tecnicismi dell’arte antica – glorie dorate, stravaganti scarabocchi sulla cornice e altre puerili assurdità – è tutto il suo vanto”. Effettivamente la cornice riportava un‘iscrizione in latino, e lo stesso titolo in latino irritò parte del pubblico, già in apprensione per la tanto discussa restaurazione della gerarchia cattolica in Inghilterra, che alla fine ebbe luogo nel settembre di quell’anno. Effettivamente le tele o le cornici di molti dipinti dei preraffaelliti (tra cui The Girlhood of Mary Virgin e Rienzi) erano centinate, con una forma che evocava le pale d’altare storiche (ovvero cattoliche), ma i Confratelli, pur essendo devoti, avevano approcci assai diversi alla fede cristiana. La maggior parte degli artisti inglesi di questo periodo evitava l’iconografia religiosa, temendone le insidie (e le scarse vendite); Christ in the House of His Parents e Ecce Ancilla Domini rappresentano così il tentativo rivoluzionario dei loro autori di riportarla in auge in Gran Bretagna senza ricadere nelle consuetudini cattoliche, ma dando piuttosto risalto ai temi emotivamente intensi e universalmente umani offerti dalla Bibbia.
Attraverso l’effetto spoglio e la composizione insolita, in The Girlhood of Mary Virgin ed Ecce Ancilla Domini Gabriel ricordava in maniera convincente al pubblico protestante la purezza universale della Vergine, infondendo nel secondo dipinto un’energia psicologica che esalta l’aspetto miracoloso, soprannaturale, del messaggio portato dall’arcangelo. Alla mostra della National Institution del 1850, accanto a Ecce Ancilla Domini era esposta Twelfth Night, una scena della famosa commedia di Shakespeare dipinta da Walter Deverell, che in quello stesso anno si era candidato a entrare nella Confraternita ma non fu mai formalmente eletto. In tutto questo periodo Shakespeare era venerato praticamente da ogni cittadino britannico, ma i Preraffaelliti nutrivano per il Bardo un entusiasmo particolare e dipinsero diversi episodi che esaltano la profondità morale ed emotiva della sua opera, più che il suo carattere di svago (lo stesso Deverell era un attore, e come artista si specializzò in soggetti shakespeariani). Evocando scherzosamente una scenografia teatrale, con la sua prospettiva schiacciata e delimitata in alto dall’arcoscenico, il dipinto di Deverell fa proprio il rifiuto preraffaellita della composizione simmetrica. Benché l’occhio sia attirato anzitutto dalle figure al centro (Deverell nella parte di Orsino dai lunghi capelli, Gabriel in quella del giullare Feste ed Elizabeth Siddal in quella di Viola), non è chiaro dove si debba guardare dopo. “The Times” scrisse che Deverell tentava di “trasformare il piatto stile medievale in un racconto più umano, ma i suoi volti sono ordinari e, benché egli lavori con cura, il suo manierismo è più evidente del suo genio”. Che i suoi membri lo volessero o no, il clamore del 1850 diede fama alla Confraternita dei Preraffaelliti, tanto che la regina Vittoria si fece portare a palazzo Christ in the House of His Parents per capire il motivo di tanto scalpore. La notorietà non era ancora scemata nella primavera del 1851, quando a Londra vennero esposti i loro quadri più recenti, tra cui The Return of the Dove to the Ark (dal Vecchio Testamento) e Mariana (da Tennyson) di Millais e Valentine Rescuing Sylvia from Proteus (da I due gentiluomini di Verona di Shakespeare) di Hunt. The Woodman’s Daughter di Millais, esposto all’Academy nel 1851, ricevette recensioni più favorevoli con il suo verdeggiante paesaggio inglese eseguito dal vivo, più vivido nel suo naturalismo e più convincente nella prospettiva di ogni altro dipinto preraffaellita fino a quel momento. Ispirato a una poesia di Coventry Patmore, un poeta che sosteneva la Confraternita, il dipinto raffigura un bambino ricco che offre una manciata di fragole a Maud, la figlia del boscaiolo intento a tagliare un albero sullo sfondo. Dalla loro amicizia nascerà un figlio illegittimo, che Maud annegherà prima di impazzire, perché un matrimonio tra persone di classi tanto diverse è impossibile; l’albero abbattuto rappresenta la stessa Maud. Come in Isabella, Millais presenta queste divisioni sociali come immorali e disumane; qui l’ambientazione contemporanea rende la critica più esplicita, riecheggiando la simpatia per i lavoratori espressa in altri contesti da Carlyle, Ruskin e Ford Madox Brown. […]
Nel maggio 1851, poco dopo l’inaugurazione delle mostre londinesi, Ruskin inviò due eloquenti lettere al “Times”, il più importante giornale inglese. Benché non del tutto lusinghiere, le sue parole cambiarono la percezione pubblica del progetto preraffaellita: “Essi intendono tornare al passato in quest’unico punto: vogliono disegnare, per quanto è nelle loro capacità, o ciò che vedono, o ciò che presumono possano essere stati i fatti reali della scena che vogliono rappresentare, indipendentemente da ogni regola convenzionale della pittura; e hanno scelto il loro poco felice benché non inesatto nome proprio perché questo è quanto facevano tutti gli artisti prima dell’epoca di Raffaello, mentre dopo l’epoca di Raffaello non lo facevano più, ma cercavano di dipingere bei quadri invece di rappresentare nudi fatti; la conseguenza di ciò è stata che, dall’epoca di Raffaello a oggi, l’arte storica versa in una conclamata decadenza”.
Nel 1847 Hunt aveva letto Modern Painters di Ruskin, ammirando il suo invito a “volgersi alla natura in totale semplicità di cuore [...] senza respingere nulla, senza scegliere nulla e senza disprezzare nulla; credendo che tutte le cose siano buone e giuste e compiacendosi sempre della verità”. Equiparando i “nudi fatti” alla natura, nella lettera al “Times” Ruskin spostava abilmente l’attenzione dal primitivismo dei Preraffaelliti al loro naturalismo e alla loro dedizione all’osservazione diretta (invece che all’idealizzazione), ricordando agli osservatori che passato e presente non erano incompatibili. Anzi, affermava che i Preraffaelliti “non intendono rinunciare a nessun vantaggio che le conoscenze o le invenzioni del presente possano offrire alla loro arte”. L’appoggio di Ruskin aprì molti occhi e molte porte alla Confraternita; eppure, già nel dicembre del 1850 William Michael prende nota della sua graduale dissoluzione. È uno sviluppo ricorrente nella storia delle avanguardie, ed era chiaro che il sodalizio aveva ormai esaurito la sua utilità per Millais, Hunt e Rossetti, i quali si stavano evolvendo rapidamente in direzioni diverse. Nel breve tempo che trascorsero insieme lasciarono un’impronta molto profonda, rivelando nuove possibilità estetiche la cui eco risuona ancora ai nostri giorni. Nell’agosto del 1850, un critico aveva commentato nel “Guardian”: “Finora gli artisti inglesi hanno lavorato ognuno per conto suo, praticamente senza un intento comune o un oggetto intellettuale preciso e perseguito con costanza [...] Qui, finalmente, abbiamo una scuola [...] Il suo scopo [...] è alto e puro. Nessuno può camminare per le nostre strade senza notare quanto i nostri gusti siano ormai corrotti e materiali [...]. Il successo del loro tentativo sarebbe una benedizione nazionale”. La Confraternita iniziò una rivolta, un’autentica “benedizione nazionale”, che ha messo radici e che ancora continua.
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