“Tutte le volte che mi capita di andare al Grand Hotel, per qualche evento o per un’intervista, dove racconto dello zio Federico, mi sembra che lui non se ne sia mai andato e che se guardo bene, lì nella hall sul divano davanti alla vetrata, lo posso vedere ‘scarabocchiare’ con i pennarelli su un taccuino, la caricatura di una gentle lady arrivata con il suo cagnolino e dieci valigie”. Solo leggendo queste poche righe, scorre davanti agli occhi una scena in perfetto stile amarcord; il ricordo di uno zio che per tutto il mondo resterà uno dei più grandi registi della storia del cinema, ma che per lei, la nipote, rimarrà nel suo cuore come lo zio “Chicco”, l’uomo a cui deve dire “grazie per aver infuso in me la polvere magica dei visionari”. A raccontarci dello zio Federico Fellini è proprio la nipote Francesca Fabbri Fellini, figlia di Maddalena, sorella del regista: Francesca è“l’ultima erede per Dna della famiglia Fellini, l’Ambasciatrice nel mondo della sua eredità artistica” come lei stessa si definisce, o “la cantastorie 2.0 della famiglia Fellini”. Cerca di raccontarlo ai giovani, a chi non l’ha potuto conoscere quando era ancora in vita. Non solo come una delle personalità più significative del Novecento italiano, quale è stato, grazie alla realizzazione dei più grandi capolavori del cinema nostrano, quali La dolce vita, Le notti di Cabiria, La strada, 8½ e Amarcord, che gli hanno valso dodici candidature al Premio Oscar , quattro vittorie (per La Strada nel 1957, Le notti Cabiria nel 1958, ½ nel 1964 e Amarcord nel 1975) e l’Oscar alla carriera nel 1993, nonché numerosi altri premi, ma soprattutto come “un uomo umile e ironico, con un velo di grande tristezza dentro”.
Una tristezza che rimanda probabilmente al punto centrale di tutta la sua carriera, durata quasi quarant’anni, ovvero il ricordo: la memoria della Rimini della sua infanzia come la città dall’aspetto quasi mitico, in cui desidera sempre tornare, perché legata alla sua sfera più intima e più emozionale, e in cui quando torna ritrova la bellezza e la magia dei suoi luoghi, ai quali è fortemente legato. “Come mi piace ricordare più che vivere. Del resto che differenza fa?” faceva affermare a Roberto Benigni in La voce della luna.
Federico Fellini al Grand Hotel di Rimini nel 1983 (fotografia scattata da Davide Minghini) |
Francesca Fabbri Fellini |
Il suo è un rapporto viscerale con la città che gli ha dato i natali, tant’è che, nei film di Fellini, Rimini è sempre evocata.
A Rimini, Fellini vive dal 1920 al 1939, anno in cui decide di trasferirsi a Roma: nella capitale comincia a lavorare come giornalista e come vignettista, inizia a scrivere copioni e battute per spettacoli dal vivo, viene chiamato a lavorare in radio; di lì a poco esordisce come sceneggiatore, dando inizio alla sua lunga carriera che per sempre rimarrà nella storia della cinema.
Ma nella sua città continua a tornare. “Quando saliva a Rimini per venire a trovare sua madre Ida, sua sorella Maddalena, me e papà Giorgio”, prosegue Francesca, “dormiva al Grand Hotel: la sua seconda casa. Con l’auto del mio papà chiedeva subito di fare un bel giro sul lungomare, una passeggiatina sino alla punta della palata e poi un bel pranzetto tutti insieme allo Chez Vous o all’Embassy. Questi erano i due ristoranti della Rimini che non c’è più che lui amava molto”. I suoi luoghi del cuore erano perciò il Grand Hotel, dove Federico ogni volta che arrivava a Rimini dormiva nella suite 316, il lungomare fino alla Palata, ovvero il molo, ma anche il Fulgor, ossia il cinema dove vide il primo film della sua vita, oltre alle strade, alle piazze e al ponte di Tiberio che gli parlavano della sua infanzia e che gli facevano tornare alla mente infiniti ricordi. Punti che si ritrovano riprodotti soprattutto in Amarcord, film del 1973 ambientato a Rimini, ma che in realtà lì non è stato girato. Infatti, anche se i suoi film evocano Rimini, nessuna scena è stata girata nella città romagnola.
Il Grand Hotel di Rimini |
Federico Fellini al Grand Hotel di Rimini nel 1983 (fotografia scattata da Davide Minghini) |
Amarcord è considerato il film più autobiografico di Fellini, come si comprende dal titolo stesso che non significa altro che “mi ricordo” in dialetto romagnolo. Protagonista è Titta Biondi che racconta, nel pieno della sua adolescenza, la vita nell’antico borgo della città, con i suoi abitanti, ognuno con le sue caratteristiche, e con le sue feste e tradizioni. Tutto fa pensare che Titta impersoni proprio il giovane Federico che ricorda l’età della sua adolescenza a Rimini. Ma, come già affermato, la Rimini della memoria è stata ricostruita a Cinecittà.
“Nulla si sa, tutto si immagina”, diceva. E Fellini è stato in grado di creare uno straordinario immaginario che non è da intendere tuttavia come mera invenzione dal nulla, bensì come un’immaginazione che nasce da una sorta di “visionarietà”, da “un’interpretazione fantasiosa” del mondo reale; è stato capace di elevare la sua Rimini a città del sogno, dove i luoghi più caratteristici e, per il regista, più intimi, hanno assunto un ruolo universale di bellezza. Parallelamente per l’Italia, Fellini l’ha rappresentata, soprattutto nel più celebre film con protagonisti Marcello Mastroianni e Anita Ekberg, come il paese della “dolce vita”, raccontando appunto con la sua tendenza visionaria la Roma e più in generale l’Italia degli anni Sessanta, gli anni del boom economico e dell’entusiasmante desiderio di godersi la vita e la bellezza. Quell’atmosfera di benessere in cui si ricercava la spensieratezza e il divertimento.
In quest’ottica di godimento della vita, di benessere economico che sfocia nel più puro sfarzo, il Grand Hotel di Rimini era simbolo della ricchezza, del grande lusso sognato. Luogo di desiderio proibito davanti al quale Titta Biondi, protagonista di Amarcord e alter-ego del giovane Fellini, trascorreva ore intere a spiare, attraverso le siepi, il magico mondo dei ricchi. Attraverso l’indimenticabile pellicola, l’edificio è divenuto famoso in tutto il mondo e ancora oggi tutto parla del mito felliniano. Dalla sua inaugurazione nel luglio 1908, la facciata liberty del Grand Hotel che dà verso il mare e i suoi interni luminosi e sfarzosi, arredati con pezzi veneziani e francesi del Settecento, enormi lampadari di Murano e marmi preziosi, raccontano una lunga storia di fascino e di eleganza, e dal 1994 è stato riconosciuto come monumento nazionale per aver fatto parte e appartenere ancora alla storia d’Italia.
- fellini amarcord, amarcord, ekberg
Federico Fellini sul set di Amarcord nel 1973 (fotografia scattata da Davide Minghini) |
Federico Fellini sul set di Amarcord nel 1973 (fotografia scattata da Davide Minghini) |
Bruno Zanin e Magali Noël interpretano Titta Biondi e la Gradisca in Amarcord |
Marcello Mastroianni e Anita Ekberg interpretano Marcello Rubini e Sylvia in La dolce vita |
La Palata era un altro luogo di sogno e di immaginazione: qui, nella passeggiata preferita da abitanti e turisti, partono le barche dei pescatori di vongole ed è proprio da qui che, in Amarcord, partivano le imbarcazioni per andare a vedere il passaggio notturno nell’Adriatico del transatlantico Rex, il più grande costruito negli anni Trenta e affondato nel 1944 vicino a Trieste.
Ma tante altre sequenze di Amarcord illustrano scorci della città romagnola: le auto che partecipavano alla Mille Miglia correvano dal ponte di Tiberio verso Corso d’Augusto; le piazze Cavour, Tre Martiri e Ferrari erano scenari di celebri passaggi del film, quali il pavone sulla fontana della Pigna, le “baffone” in bicicletta, il Monumento ai Caduti della prima guerra mondiale.
E ancora, è all’interno del Cinema Fulgor che Titta Biondi tenta buffamente di sedurre la Gradisca, donna sensuale e procace, impersonata da Magali Noël, che tutti ricordiamo, avvolta in un abito bianco, guardare il grande schermo mentre fuma. Recentemente restaurato per ricreare sia internamente che esternamente l’atmosfera felliniana, il Cinema Fulgor, nel suo edificio liberty, è la sala in cui il giovane Fellini cominciò a conoscere il mondo cinematografico, poiché qui vide i primi film della sua vita, primo su tutti Maciste all’inferno. È dunque dal Fulgor che iniziò tutto: non avrebbe mai più lasciato il mondo del cinema per tutta la sua vita. Un luogo evocativo che, seguendo l’allestimento progettato dal maestro Dante Ferretti, è stato riconsegnato ai riminesi mostrando lo storico cinema di Corso d’Augusto nello stile più in voga degli anni Trenta e Quaranta.
“Non faccio un film per dibattere tesi o sostenere teorie. Faccio un film alla stessa maniera in cui vivo un sogno. Che è affascinante finché rimane misterioso e allusivo ma che rischia di diventare insipido quando viene spiegato” affermava il regista.
Il Cinema Fulgor |
Borgo di San Giuliano, murale con Federico Fellini |
Borgo di San Giuliano, murale con Giulietta Masina nei panni di Gelsomina |
Borgo di San Giuliano, murale con Marcello Mastroianni e Anita Ekberg |
I personaggi e le scene dei suoi film più conosciuti appaiono su muri dalle tinte pastello delle case del Borgo di San Giuliano, l’antico borgo di pescatori di Rimini, oggi divenuto caratteristico per i suoi murales felliniani. C’è Gelsomina aggrappata a un palo, la giovane protagonista de La strada interpretata dalla moglie di Fellini, Giulietta Masina; ci sono Marcello e Anita nella famosissima scena della Fontana di Trevi; Ginger e Fred. C’è lo stesso Fellini in compagnia di Mastroianni. Murales che cominciarono ad essere realizzati da artisti nel 1994, dopo la morte del regista, in occasione della Festa de’ borg: durante la festa del borgo che si tiene ogni due anni, dalla sua seconda edizione del 1980, i muri delle case vennero decorate con raffigurazioni dei paesaggi e degli abitanti locali per rivalorizzare un quartiere popolare considerato malfamato, ma dall’edizione del 1994, interamente dedicata al regista, le scene e i personaggi rappresentati cambiarono volto, decidendo di omaggiare il grande regista che celebrò Rimini in tutti i suoi film. Anche se lui stesso la definiva “un pastrocchio, confuso, pauroso, tenero, con questo grande respiro, questo moto aperto del mare”.
Lo sguardo della città sul mare è rappresentato dal 1948 dalla Fellinia, la macchina fotografica che è collocata nel Parco Federico Fellini, in prossimità del Grand Hotel. Tutto si ricongiunge al grande maestro, al genio immortale di cui nel 2020 ricorrerà il centenario della nascita. La città tutta lo ricorderà attraverso i suoi luoghi e attraverso la mostra che dal 14 dicembre 2019 al 15 marzo 2020 è allestita a Castel Sismondo, Fellini100. Inoltre, come regalo di compleanno per il suo centenario, la nipote Francesca presenterà il cortometraggio scritto e diretto da lei, dal titolo La Fellinette, come il disegno a pastelli che lo zio “Chicco” le fece quando aveva cinque anni sulla spiaggia di Rimini.
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.