L’immagine della primavera, nella scultura di Benedetto Antelami, assume le sembianze d’una giovane elegante, un poco altera, vestita con una lunga tunica stretta in vita da una cintola di cuoio, e sulle spalle un mantello che la difende dagli ultimi freddi, e che sta aggiustando con le dita, all’altezza del collo. La Primavera è arrivata, gentile come una dea e solenne come una Madonna, a far rifiorire i campi e i prati, a dissipare le coltri del rigore invernale, a donare speranza a noi tutti. E adesso è fissa nella sua austerità da statuaria romanica. Eppure, quella pietra, materia difficile, sotto le mani di Antelami sembra acquistare un’inusitata leggerezza, fatta di pieghe che ricadono ampie e lente seguendo precise le linee del corpo e suggerendo la forma del ginocchio fino a produrre due volute in corrispondenza dei piedi, fatta della naturale finezza di questa figura al contempo delicata e distante, fatta dei gesti soavi coi quali la Primavera offre un fiore con una mano e si tiene i lacci del mantello con l’altra, fatta di quelle primule che le inghirlandano il capo. Roberto Tassi, insigne storico dell’arte, aveva deciso di dedicare proprio a quel serto floreale la sua raccolta di studî sulle arti a Parma dal XII al XX secolo: La corona di primule s’intitolava il libro, un omaggio a quella ghirlanda di fiori primaverili ch’è forse l’elemento più lieve e dolce di tutta la statuaria antelamica.
È un mondo prettamente maschile, quello di Benedetto Antelami. Nel ciclo dei Mesi del Battistero di Parma, la Primavera è l’unica donna. Le sculture erano state concepite per il portale della Cattedrale: poi, forse già nel corso del Duecento, le statue furono smontate e ricollocate nel Battistero, dove sono attestate già negli anni trenta del XIII secolo. Forse la sopravvenuta scomparsa di Benedetto gli aveva impedito di portare a termine il lavoro, forse i motivi furono altri: fatto è che, da quasi otto secoli, la Primavera ci guarda dall’alto del loggiato del Battistero. O almeno questo è quanto s’ipotizza, dacché non conosciamo l’originaria collocazione delle opere all’interno del Battistero. Ad ogni modo, la Primavera nel 2020 è temporaneamente discesa per mostrarsi meglio agli occhi dei riguardanti, in occasione delle celebrazioni per Parma capitale della cultura, per le quali tutti i Mesi di Antelami sono stati trasferiti per alcuni mesi nelle nicchie del pian terreno.
Benedetto Antelami, Primavera (1180 circa; pietra di Verona, altezza 143 cm; Parma, Battistero) |
Benedetto Antelami, Primavera, dettaglio |
Il ciclo era aperto dalla Primavera cui faceva da contraltare, in opposto, la figura dell’Inverno: sono le uniche due sculture della serie a raffigurar le stagioni, poiché incorporano anche l’estate e l’autunno, e affiancano le dodici personificazioni dei mesi dell’anno, secondo una diffusa iconografia medievale (benché non così consueta nei battisteri) che prevedeva la loro traduzione nelle attività tipiche del mese. Posta in apertura del ciclo, la Primavera si fa portatrice del messaggio religioso dei Mesi, teso a evidenziare il significato salvifico del lavoro: è la stagione dell’annunciazione, che in antico segnava l’inizio del calendario, ed è pertanto l’origine della salvezza. La primavera e l’inverno sono però anche i momenti che scandiscono e frammentano il corso del tempo, sono l’inizio e la fine, che s’avvicendano in un ciclo eterno: la primavera è il momento della rinascita, della vita che ricomincia a scorrer d’impeto, della terra che torna a mostrarsi rigogliosa e che comincia a prepararsi per dare i suoi frutti in abbondanza. Erano immagini ben note agli artisti medievali: l’origine dell’idea d’uno scontro tra la primavera e l’inverno si può far risalire al Conflictus veris et hiemis, un poemetto dell’VIII secolo, scritto da Alcuino di York, che immagina le personificazioni di Ver (che peraltro ha il capo cinto di fiori: “Ver quoque florigero succinctus stemmate venit”) e di Hiems in una sorta di sfida in cui ognuno dei due elenca i pregi della propria stagione.
Ma la Primavera è anche forse la statua che meglio ci trasmette l’immagine della donna in Benedetto Antelami, sebbene non abbia entusiasmato tutti gli studiosi. Rossana Bossaglia, per esempio, la riteneva troppo rigida e fissa per considerarla un autografo. Ancor prima, Pietro Toesca, ravvisando le similitudini con la figura della Regina di Saba che decora l’esterno dell’edificio, aveva scritto che della Primavera “delude, nella fattura poco più che sbozzata, l’impressione cercata di grazia, di leggerezza, di infantile stupore”. Per la Primavera sono state però spese anche parole più positive: nel 1965, per esempio, Lara Vinca Masini la descriveva come “una dolce immagine di fanciulla, disegnata, nell’ampiezza elegante della veste aprentesi in pieghe lente (è la più vicina a moduli dell’Île de France), come il calice rovesciato di un fiore”, e l’associava alla Bonissima di Modena, la statuetta duecentesca che decora uno degli angoli del Palazzo Comunale della città emiliana. Anche per Chiara Frugoni l’immagine di Antelami è avvicinabile a precedenti francesi, seppur non dotata della stessa grazia (a suo avviso, il precedente è semmai proprio la Regina di Saba, di cui costituirebbe una variazione): “possiede in compenso”, ha scritto la studiosa pisana, “una freschezza campagnola che contrasta con l’abbigliamento alla moda”.
La freschezza è quella del volto rubicondo, un volto emiliano, giovane perché giovane dev’essere la primavera, la prima delle stagioni, la più fresca, la più soave. C’è però anche una fine nobiltà nell’atteggiamento, nella posa, nel portamento e nella composizione, una nobiltà che ci riporta immediatamente all’arte classica, malgrado la fissità dell’immagine possa apparentemente suggerirci il contrario. Attilio Bertolucci, nelle sue Aritmie, aveva ben colto questo carattere della Primavera di Benedetto Antelami, raccontando d’una visita nella sua Parma assieme a Giuseppe Ungaretti, nel febbraio del 1970, quando il grande ermetico si stava avvicinando alla fine dei suoi giorni, e s’era concesso un soggiorno a Salsomaggiore. Era stato Ungaretti che aveva voluto rivedere le sculture di Antelami, inclusa la Primavera: per Bertolucci, questa statua “ripete l’eleganza delle antiche fanciulle ateniesi, annunzia quella delle Vergini Sagge e delle Vergini Folli del Parmigianino alla Steccata”. Bertolucci aveva catturato l’anima di questa scultura. Solidità di volumetrie, anelito spirituale e voglia di riportare in vita il classico qui s’incontrano in armonia. La Primavera di Benedetto Antelami è ancorata alla terra come le sculture di Wiligelmo, ma è anche permeata, specie nella gioia di quelle pieghe, da una finezza che prelude il gotico, ed è classicamente atteggiata. S’avverte già in nuce l’arte del Duecento inoltrato.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).