La parte meno conosciuta e meno visitata degli Uffizi. Ecco qual è


Migliaia di persone arrivano agli Uffizi e saltano una parte del museo che è però ricca di opere molto interessanti. Ma è anche la meno conosciuta e visitata dal grande pubblico. Ecco qual è, e che cosa racchiude.

Centinaia di migliaia di visitatori ogni anno, agli Uffizi, passano attraverso i metal detector al pian terreno, presentano il loro biglietto, si arrampicano ansimando sullo Scalone Granducale (o prendono l’ascensore), arrivano al secondo piano dove comincia la visita, attraversano il vestibolo lorenese dopodiché si lanciano sulla loro sinistra per fiondarsi, giustamente, nella Sala delle Maestà onde ammirare le Madonne di Giotto, Cimabue e Duccio a confronto e poi da lì proseguire avanti. Quasi nessuno torna sui propri passi: così, quasi nessuno degna di uno sguardo l’angolo del Corridoio di Levante che dà su piazza della Signoria. Che dunque è, di fatto, la parte meno conosciuta e visitata degli Uffizi. Nonostante contenga opere estremamente interessanti, tra le quali si celano la storia degli Uffizi, quella di Firenze, le vicende del grande collezionismo del passato: se si ha molto tempo a disposizione per visitare il museo, vale dunque la pena spendere qualche minuto per ammirare ciò che questo scorcio del museo offre ai suoi visitatori.

A cominciare da un gruppo scultoreo molto spettacolare e appariscente, quello di Ercole che abbatte il centauro Nesso, posizionato al centro della parte iniziale del Corridoio di Levante, appena davanti ai finestroni che dànno verso la piazza. È opera d’epoca romana, e ben trasmette al visitatore le idee sulla scultura che circolavano nel Cinquecento, dacché l’aspetto attuale dell’opera è frutto di restauri e integrazioni di quel tempo: nel XVI secolo, quando le statue antiche cominciarono a riversarsi copiosamente nelle raccolte dei grandi collezionisti del tempo, era del tutto normale reintegrare le parti d’una statua antica ch’erano andate perdute nel tempo. E di questo gruppo all’epoca erano rimasti soltanto il torso di Nesso e la base: si tentò dapprima un restauro a Roma, ma il risultato finale, quello che oggi vediamo, si deve all’estro di uno dei maggiori scultori del tardo Cinquecento, Giovanni Battista Caccini (Montopoli in Val d’Arno, 1556 - Roma, 1613), che al marmo docimeno del reperto aggiunse le parti in marmo apuano che s’aggiunsero a quanto rimaneva, creando un’integrazione che sorprende ancor oggi per la capacità di lettura dell’antico e, di conseguenza, per l’intelligenza con cui Caccini ha saputo far dialogare l’antico col moderno. Si consideri che dell’Ercole rimanevano solo i piedi: l’intera figura è opera di Caccini.

Nel 2015 il gruppo è stato peraltro restaurato da Paola Rosa con risorse messe a disposizione dagli Amici degli Uffizi. Secondo le ricerche dell’archeologo Fabrizio Paolucci, responsabile della collezione di statuaria classica degli Uffizi, il gruppo, presente nelle sale dell’istituto fin dal 1595 (il grande edificio fu aperto nel 1581), si trova dal 1790-1798 nel punto in cui lo osserviamo oggi (lo s’apprende dalle guide della galleria). Sempre Paolucci ha posto l’accento anche sul doppio ritratto di due coniugi in marmo italico che decora il basamento e che era destinato a un monumento funebre. “I ritratti”, spiega Paolucci, “sono caratterizzati da un crudo realismo nella resa dei volti. La donna indossa una semplice acconciatura scriminata al centro, che trova rispondenze nel più antico tipo ritrattistico di Livia (ultimi decenni del I secolo a.C.); il viso della donna è molto florido, sulle sue labbra s’intravede un sorriso. L’uomo è raffigurato con capelli corti, fronte e sopracciglia piene di rughe, occhi infossati un po’ gonfi e socchiusi. I lineamenti dell’uomo rivelano una persona curata nell’aspetto, invecchiata però precocemente. Potrebbe darsi che si tratti di uno dei pochi monumenti funerari, in cui la consorte superstite, fa riprodurre la sua effige accanto a quella del marito defunto”.

La parte iniziale del Corridoio di Levante, ovvero: la parte meno conosciuta e visitata degli Uffizi
La parte iniziale del Corridoio di Levante, ovvero: la parte meno conosciuta e visitata degli Uffizi
Arte romana (con integrazioni del XVI secolo di Giovanni Caccini), Ercole che abbatte il centauro Nesso (inizi del II secolo d.C.; marmo docimeno per la parte antica, marmo apuano per le integrazioni; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Arte romana (con integrazioni del XVI secolo di Giovanni Caccini), Ercole che abbatte il centauro Nesso (inizi del II secolo d.C.; marmo docimeno per la parte antica, marmo apuano per le integrazioni; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Dettaglio del gruppo di Ercole e Nesso
Dettaglio del gruppo di Ercole e Nesso
Dettaglio del gruppo di Ercole e Nesso
Dettaglio del gruppo di Ercole e Nesso
Arte romana, Statua dell'imperatrice Elena (320-330 d.C.; marmo pentelico; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Arte romana, Statua dell’imperatrice Elena (320-330 d.C.; marmo pentelico; Firenze, Gallerie degli Uffizi)

Appena dietro il gruppo di Ercole che abbatte il centauro Nesso figurano due significative statue femminili: una statua d’una non meglio identificata donna seduta, e un ritratto dell’imperatrice Elena. Anche la donna seduta, opera in marmo greco di un artista attico della scuola di Fidia, è frutto di integrazioni del XVI secolo (la testa, il collo, il sedile, i piedi e le dita della mano sinitra). La statua dell’imperatrice ci riporta alle vicende collezionistiche del Cinquecento: si tratta forse di una delle sculture rinvenute a Villa Adriana, e in antico era probabilmente proprietà del cardinale Ippolito II d’Este. Arrivata a Firenze verso la fine del XVI secolo, fu dapprima posizionata nel Giardino di Boboli ed entrò poi negli Uffizi. È una delle sculture più mirabili della raccolta statuaria antica degli Uffizi poiché sono rari i ritratti di Elena, madre di Costantino, figura cara ai cristiani in quanto venerata come santa e ritenuta scopritrice della reliquia della Vera Croce (in quanto tale è celebrata nei famosissimi affreschi di Piero della Francesca nella cappella Bacci ad Arezzo). In marmo pentelico, trova un altro motivo d’interesse nel fatto che si tratta d’una statua del II secolo, che raffigurava forse Lucilla o Faustina minore, rielaborata circa duecento anni più tardi al fine di donarle le fattezze dell’imperatrice Elena.

Proseguendo verso le sale dei dipinti, s’incontra una serie di busti e ritratti: due di questi, un busto con testa di Gaio Cesare (in passato identificato come Ottaviano: Gaio Cesare era suo nipote) e un ritratto di Agrippa, quest’ultimo posizionato vicino a un busto di Tiberio, ci riconducono alla diplomazia di fine Quattrocento, poiché si tratta di doni che il papa Sisto IV inviò a Lorenzo il Magnifico. S’ammira poi un singolare ritratto in marmo verde scuro di Giulio Cesare, forse opera del XVII secolo, ispirato al cosiddetto tipo “Agliè” (nel Castello di Agliè si conserva infatti un ritratto del grande condottiero rinvenuto a Tuscolo), e che propone un Cesare avanti con gli anni, ritratto poco prima delle idi di marzo. Poco distante da quest’opera è il ritratto del cosiddetto Cicerone, rinvenuto a Roma nella prima metà del Seicento durante i lavori di costruzione della chiesa di Sant’Ignazio, dapprima donato al cardinale Ludovico Ludovisi e ceduto poi nel 1669 a Leopoldo de’ Medici. Di notevole interesse è poi il busto di Alessandro Severo: l’abate Luigi Lanzi, grande scrittore d’arte noto per la sua Storia pittorica d’Italia, lo indicò come uno dei migliori esempi della ritrattistica dell’imperatore cugino di Eliogabalo. Ma in generale sono molti gli studiosi che si sono occupati di quest’opera, che sorprende per il particolare abbigliamento, una toga contabulata, tipica del tardo impero: è quella in cui il lembo anteriore viene sollevato e avvolto in orizzontale attorno al torace (anziché cadere da un lato come nelle toghe di epoche più antiche).

Artista ignoto, Ritratto di Giulio Cesare (fine XVII-inizi XVIII secolo; marmo verde scuro e marmo bianco;  Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Artista ignoto, Ritratto di Giulio Cesare (fine XVII-inizi XVIII secolo; marmo verde scuro e marmo bianco; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Arte romana, Ritratto di Agrippa (fine del I secolo a.C.; marmo greco;  Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Arte romana, Ritratto di Agrippa (fine del I secolo a.C.; marmo greco; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Arte romana, Busto di Alessandro Severo (230-235 d.C.; marmo docimeno; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Arte romana, Busto di Alessandro Severo (230-235 d.C.; marmo docimeno; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Arte romana, Statua di Cerere (fine I-inizio II secolo d.C.; basanite e marmo pario; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Arte romana, Statua di Cerere (fine I-inizio II secolo d.C.; basanite e marmo pario; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Arte romana, Apollo detto dell'Omphalos (I secolo d.C.; marmo pentelico;  Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Arte romana, Apollo detto dell’Omphalos (I secolo d.C.; marmo pentelico; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Alessandro Allori, Ritratto di Giovanni di Bicci de' Medici (1585; olio su tela, Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Alessandro Allori, Ritratto di Giovanni di Bicci de’ Medici (1585; olio su tela, Firenze, Gallerie degli Uffizi)

La parata di sculture della parte iniziale del Corridoio di Levante termina con due figure intere, una statua di Cerere e un Apollo “dell’Omphalos”: la prima è replica d’età romana (della fine del I o degli inizi del II secolo dopo Cristo) di un gruppo bronzeo della fine del IV secolo avanti Cristo. In realtà non sappiamo con certezza chi sia la figura rappresentata, ma il suo abbigliamento, e in particolare il colore di quest’ultimo (la veste è realizzata con basanite, materiale nero, mentre le parti chiare sono in marmo pario) ben s’attaglia a un’identificazione con la dea delle messi, dal momento che il tono cupo della veste rimanderebbe ai mesi di lutto, i mesi dell’inverno, che la dea trascorreva senz’avere con sé la figlia Proserpina, che secondo la mitologia passava sei mesi dell’anno negli inferi col suo sposo Ade, mentre tornava sulla terra per la primavera e l’estate. L’Apollo, in prezioso marmo pentelico, è probabilmente la replica di un originale greco del 480-440 avanti Cristo di Calamide, ed è del tipo detto “dell’Omphalos” in riferimento al fatto che uno degli esemplari più integri di questo tipo di Apollo, conservato al Museo Archeologico di Atene, si conserva sulla base la roccia sacra che veniva venerata a Delfi (ed era chiamata omphalos, ovvero “ombelico”, poiché il santuario era considerato il centro del mondo).

Quanto alle pitture, si trovano appesi alle pareti alcuni dipinti della Serie Gioviana degli Uffizi, la galleria di ritratti commissionata nel 1552 a Cristofano dell’Altissimo da Cosimo I de’ Medici che intendeva avere a Firenze una replica della sontuosa collezione di ritratti radunata a Como da Paolo Giovio (una raccolta che di fatto costituì il primo museo in senso moderno della storia). E ci sono anche alcuni ritratti della Serie Aulica di Alessandro Allori, la galleria di ritratti dei Medici voluta da Francesco I: proprio alla finestra è appeso il ritratto del personaggio che dà avvio alla serie, Giovanni di Bicci. Poi, se s’alza lo sguardo verso il soffitto, ecco che s’ammireranno anche gli affreschi di Antonio Tempesta. E dopo aver osservato le splendide grottesche e la contesa della Musa con le Pieridi, si potrà cominciare il cammino verso le sale dei dipinti. Con l’idea d’aver cominciato la visita degli Uffizi dal canto meno noto ai più, ma colmo di pregio e in grado di sorprendere.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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