La Pala di Monteripido: l'opera del Perugino con due facce


Un singolare connubio di pittura e scultura: la Pala di Monteripido, capolavoro della maturità del Perugino, è una delle opere più significative della sua produzione. Ed è opistografa, ovvero è dipinta su entrambi i lati.

Al centro della sala del Perugino nella Galleria Nazionale dell’Umbria è esposta una particolare opera di Pietro Vannucci detto il Perugino (Città della Pieve, 1450 circa – Fontignano, 1523): si tratta infatti della Pala di Monteripido, una pala opistografa, ovvero un’opera con due facce. Ed è proprio per consentire al pubblico di ammirare entrambi i lati, fronte e retro, che la pala è stata collocata nel mezzo della sala, così da poterle girare intorno senza alcun impedimento. Seppur diverse tra loro, entrambe le facce della Pala di Monteripido meritano di essere osservate nel dettaglio: da una parte vi è la Crocifissione, dall’altra l’Incoronazione della Vergine.

Anche se è inevitabilmente la prima ad affascinare maggiormente l’osservatore, poiché qui il Perugino ha creato un connubio di pittura e scultura, aggiungendo in un secondo momento un crocifisso ligneo di estrema drammaticità sul dipinto. La scultura in legno policromo venne a lungo attribuita a uno scultore attestato a Perugia dal 1541 al 1562, Eusebio di Gianbattista Bastone, ma si deve al contributo di Margrit Lisner del 1960 dedicato ai crocifissi lignei di gusto tedesco diffusi in Italia nel Quattrocento l’idea di riunire tra loro esemplari simili: il Crocifisso della Pala di Monteripido veniva da lei posto a confronto con il Cristo dell’abbazia perugina di San Pietro, attribuito da documenti del 1478 a un “Giovanni todescho”, ma la studiosa si sottrasse a riferirli allo stesso autore. Presero il via quindi studi sulla produzione degli intagliatori di origine tedesca attivi in Italia: Elvio Lunghi confermò all’interno del corpus delle opere di Giovanni Teutonico la presenza del Crocifisso di Monteripido ed è grazie al contributo di Sara Cavatorti che lo scultore è stato identificato con il “magister Ioannes Arrighi de Salbu[r]gho de Lamania alta”, residente a Terni, che nel febbraio 1495 vendeva ai francescani della stessa città un crocifisso. Il Crocifisso di Monteripido è databile tra il sesto e il settimo decennio del Quattrocento: Cobianchi ha collegato alla realizzazione del crocifisso un atto del 1452 attraverso cui Tommaso di Paolo de’ Ranieri disponeva un legato a favore dei frati di Monteripido per l’esecuzione di una pala destinata all’altare maggiore della loro chiesa e lo studioso ha riferito ciò al Crocifisso di Monteripido da lui datato entro il sesto decennio del Quattrocento e realmente collocato sull’altare maggiore del convento. Sarebbe quindi di epoca precedente rispetto alla pala dipinta.

Perugino, Pala di Monteripido, recto, Crocifissione (1502-1504; tempera su tavola, 240 x 180 cm; Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria)
Perugino, Pala di Monteripido, recto, Crocifissione (1502-1504; tempera su tavola, 240 x 180 cm; Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria)
Perugino, Pala di Monteripido, verso, Incoronazione della Vergine (1502-1504; tempera su tavola, 240 x 180 cm; Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria)
Perugino, Pala di Monteripido, verso, Incoronazione della Vergine (1502-1504; tempera su tavola, 240 x 180 cm; Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria)
La sala della Galleria Nazionale dell'Umbria dov'è ospitata la Pala di Monteripido
La sala della Galleria Nazionale dell’Umbria dov’è ospitata la Pala di Monteripido. Foto di Marco Giugliarelli

Il Perugino sottoscriveva infatti il 10 settembre 1502, nella chiesa di San Francesco al Monte di Perugia, nota anche come Convento di Monteripido per distinguerla dalla chiesa perugina di San Francesco al Prato, il contratto di allogazione della pala destinata all’altare maggiore del convento con Bonaventura di Pietro, frate guardiano in rappresentanza della comunità dei frati francescani che qui avevano fondato un vero centro dell’Osservanza. Nel contratto di commissione si indicava dettagliatamente al pittore come procedere nell’esecuzione dell’opera, specificando oltre i temi anche il numero dei personaggi da raffigurare, la loro posizione e le decorazioni delle parti accessorie. Per 120 fiorini il pittore si impegnava a dipingere su una tavola già esistente sull’altare maggiore della chiesa quattro figure (la Madonna, san Giovanni Evangelista, san Francesco e la Maddalena) ai lati di un crocifisso anch’esso già esistente e già esposto sull’altare maggiore in direzione del coro.

È molto probabile, come spiega Veruska Picchiarelli, che il lato su cui era sistemata la croce avesse ricevuto un’ornamentazione abrasa per permettere al Perugino di eseguire il suo lavoro e che il rapporto tra pittura e scultura fosse frutto di una precisa scelta iconografica dei committenti. Già precedentemente, il Cristo ligneo era infatti esposto in direzione del coro per rivolgersi ai frati stessi, che così potevano osservare bene l’effigie martoriata di Cristo e avere ben presenti le sofferenze a cui venne sottoposto il Salvatore. Come osservato da Picchiarelli, Giovanni Teutonico non poteva tuttavia immaginare che quegli effetti di caricato patetismo, con ferite e artefici teatrali (come ad esempio la presenza del congegno della lingua mobile e di un canaletto scavato in una delle narici che potrebbe essere stato utilizzato per far colare del sangue animale, scoperti da Maria Cristina Tomassetti e Daniele Costantini in occasione del restauro e delle indagini diagnostiche), sarebbero stati smorzati circa mezzo secolo dopo “dalla convivenza forzata con una composizione di arcadica serenità, nella quale i dolenti sembrano quasi impassibili di fronte a tanto dolore, assorti nelle proprie meditazioni”. Si nota infatti il contrasto tra il Crocifisso ligneo di forte impatto e le figure dipinte delicate e quiete e la dolcezza del paesaggio circostante.

Il contratto parlava anche dell’altro lato della tavola, rivolto però verso la “chiesa de le donne”, ovvero lo spazio accessibile ai fedeli, e il Perugino s’impegnava qui a dipingere un’Incoronazione. Al Perugino fu quindi richiesta una pala da collocare sull’altare maggiore che fosse dipinta su entrambi i lati in modo che questi fossero visibili sia dalla navata che dal coro per rivolgersi a due tipi di pubblico: i frati e i fedeli. I frati scelsero comunque soggetti che rendessero quella pala un vero manifesto dell’Osservanza francescana: la Crocifissione che doveva suscitare pietà religiosa e immedesimazione delle sofferenze di Cristo e della sua Passione attraverso un forte patetismo quasi ostentato e crudo, nell’espressione del quale erano particolarmente abili gli intagliatori di origine tedesca; l’Incoronazione rientrava invece nella predilezione dei frati nei confronti del culto mariano e del dogma dell’Immacolata Concezione. “Il solido impianto teologico della pala opistografa del Perugino”, scrive Veruska Picchiarelli, “va inteso dunque come riflesso del clima dotto che doveva respirarsi a Monteripido, sede, dal 1440, dello Studium generale dell’Osservanza”.

Come la si vede adesso, la pala presenta quindi sul recto la Crocifissione, ambientata nel dolce paesaggio collinare; il Cristo è pallido, con il capo rivolto verso il basso e cinto da una corona di lunghe spine, la bocca socchiusa, le vene in rilievo e il sangue che sgorga copioso dalle ferite delle mani, dei piedi e del costato. Ai piedi della croce, inginocchiati, sono la Maddalena e san Francesco, mentre in piedi, ai lati, la Madonna e san Giovanni Evangelista. Due angeli in volo colgono all’interno di calici il sangue che cade dalle ferite delle mani. In cielo, il Sole e la Luna rappresentano il Nuovo e l’Antico Testamento. Il Cristo, al centro tra i due astri, rappresenta l’unione tra il popolo ebraico e il popolo pagano. Sul verso è invece raffigurata l’Incoronazione della Vergine costruita su due livelli. Nella parte superiore, all’interno di una mandorla, Cristo incorona la Madonna entrambi circondati da angeli che sostengono un’unica ghirlanda di fiori in mano e da cherubini. Assistono alla scena, nella parte inferiore del dipinto, i dodici apostoli che in piedi osservano il gesto con la testa rivolta verso l’alto; tranne san Pietro, riconoscibile dalla chiave che tiene tra le mani e altri tre apostoli posti in secondo piano. Il paesaggio è ancora quello collinare tipico del Perugino.

Giovanni Teutonico, Crocifisso (1478; legno intagliato e dipinto; Perugia, San Pietro)
Giovanni Teutonico, Crocifisso (1478; legno intagliato e dipinto; Perugia, San Pietro)
Raffaello, Sposalizio della Vergine (1504; olio su tavola, 170 x 117 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)
Raffaello, Sposalizio della Vergine (1504; olio su tavola, 170 x 117 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)
Perugino, Sposalizio della Vergine (1501-1504; olio su tavola, 234 x 185 cm; Caen, Musée des Beaux-Arts, inv. 28)
Perugino, Sposalizio della Vergine (1501-1504; olio su tavola, 234 x 185 cm; Caen, Musée des Beaux-Arts, inv. 28)
Raffaello, Crocifissione Gavari (1502-1504; olio su tavola, 279 x 166 cm; Londra, National Gallery)
Raffaello, Crocifissione Gavari (1502-1504; olio su tavola, 279 x 166 cm; Londra, National Gallery)

È probabile che il pittore realizzò la Pala di Monteripido in più riprese, poiché si assentò da Perugia alla fine del 1502 fino a tutto il 1503, tornando poi in città saltuariamente almeno fino all’estate 1504. C’è da tenere conto inoltre che la committenza richiedeva una carpenteria dorata e una predella tripartita, con una Pietà, le effigi di san Bernardino da Siena e di san Bernardino da Feltre e il trigramma di Cristo, ma sia la carpenteria che la predella non sono giunte fino a noi, in quanto probabilmente distrutte con la requisizione della tavola centrale, priva del Crocifisso, da parte dell’esercito napoleonico. La tavola fu infatti trasferita in Francia nel 1797; da Parigi tornò a Roma nel 1817 e nel gennaio 1818 arrivò a Perugia per merito del marchese Braccio Bracceschi che anticipò le spese del trasporto. L’opera rimase presso il marchese a lungo almeno fino a quando non venne rimborsato e dopo essere tornata nella sua collocazione originaria venne ricongiunta al Crocifisso ligneo nel luglio 1822. A seguito delle demaniazioni postunitarie venne infine ancora rimossa nel 1863 per entrare nella collezione della Pinacoteca Civica Vannucci e quindi nella Galleria Nazionale dell’Umbria, dove si trova tuttora.

Se la pala non venne terminata almeno fino al 1504, entra in gioco anche un altro aspetto, ovvero il rapporto con il suo allievo Raffaello: quest’ultimo nel 1504 portava a termine lo Sposalizio della Vergine destinato alla cappella di San Giuseppe in San Francesco a Città di Castello e oggi conservato alla Pinacoteca di Brera, esemplato sull’analoga opera del Perugino destinata originariamente al Duomo di Perugia e oggi invece conservata a Caen. Nella sua opera Raffaello dispone i presenti a semicerchio e il Perugino potrebbe essersi ispirato proprio a questo modello per il dipinto raffigurante l’Incoronazione della Pala di Monteripido.

Per contro, Raffaello potrebbe essersi ispirato alla Crocifissione della Pala di Monteripido per realizzare la Crocifissione Gavari, la cui datazione oscilla anch’essa tra il 1502 e il 1504; l’Urbinate la eseguì a Città di Castello e oggi è conservata alla National Gallery di Londra. La questione è però più complicata perché, come sostiene Paul Johannides nella sua monografia Raphael, la Pala di Monteripido potrebbe non essere stata iniziata dal Perugino prima del 1504, e in questo caso sarebbe quindi successiva all’opera di Raffaello. Le incertezze sulla cronologia fanno comunque riflettere, perché se fosse stato Raffaello a ispirarsi a Perugino significherebbe che il Vannucci, anche in età matura, era ancora un modello da seguire, un punto di riferimento per l’Urbinate, perché capace di innovare, negando dunque la generale idea che la produzione matura del pittore veda solo la reiterazione di formule ripetitive mentre in realtà è ancora ricca di sperimentazioni; al contrario, se fosse stato il Perugino a ispirarsi a Raffaello significherebbe che il Vannucci era ancora un artista recettivo alle novità.

La Pala di Monteripido è uno dei capolavori più particolari del Perugino sia per il fatto che è dipinta su due facce sia per il contrasto che si nota sul lato della Crocifissione tra il drammatico crocifisso ligneo e le figure quiete dei santi e quello che si nota tra il recto e il verso, più suggestivo ed “espressionista” l’uno e più usuale e quieto l’altro, anche se l’aspetto sperimentale non manca. Dunque un capolavoro che racchiude in sé tanti spunti e che per questo merita di essere più conosciuto.

L’articolo è redatto nell’ambito di “Pillole di Perugino”, un progetto che fa parte delle iniziative per la divulgazione e diffusione della conoscenza della figura e dell’opera di Perugino selezionate dal Comitato Promotore delle celebrazioni per il quinto centenario della morte del pittore Pietro Vannucci detto “il Perugino”, costituito nel 2022 dal Ministero della Cultura. Il progetto, a cura della redazione di Finestre sull’Arte, è cofinanziato con i fondi messi a disposizione del Comitato dal Ministero.


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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