La Maddalena di Piero di Cosimo, una dama nei panni di una santa


Vertice della produzione di Piero di Cosimo (Firenze, 1462 - 1522), la Maddalena di Palazzo Barberini è un'immagine così viva e realistica da farci pensare, più che a una santa, a una gentildonna fiorentina di fine Quattrocento.

Quando si rivela per la prima volta al visitatore di Palazzo Barberini, la Maddalena di Piero di Cosimo appare come un’immagine così sorprendente, così inattesa, così moderna da non sembrare neppure un’opera del Quattrocento. E lei è così reale e viva da farci pensare a tutto fuorché a una santa, tanto che la critica l’ha spesso definita come una gentildonna nelle vesti di santa Maria Maddalena, pensando a una qualche dama della Firenze del tempo che s’era fatta ritrarre da Piero nei panni della santa penitente, magari perché portava il suo nome. È un’ipotesi che rimane tuttora in piedi, anche se alle Hawaii, al museo d’arte di Honolulu, è conservato un San Giovanni, altro prodotto della mano di Piero, che sembrerebbe quasi un pendant della Maddalena, malgrado la qualità inferiore, e che ha fatto pensare a un ciclo di personaggi evangelici, tutti dipinti nello stesso formato: immagini a mezzo busto che si stagliano contro un fondo cupo, inquadrate da una finta cornice.

Quel che è certo, è che la Maddalena era destinata alla devozione privata. Ed è sicuro anche il contesto culturale che ispirò quest’immagine a Piero di Cosimo: questo stravagante pittore, questo “spirito molto vario et astratto” come lo aveva definito Vasari, aveva ben presenti le immagini devozionali alla fiamminga, che prevedevano il ricorso a santi vestiti in abiti contemporanei e descritti con vivace realismo. La sua Maddalena è stata accostata a quella che compare nel trittico Braque di Rogier van der Weyden, anch’essa abbigliata con costumi quattrocenteschi (sebbene l’atteggiamento della Maddalena di Piero appaia più somigliante a quello della Maddalena che legge oggi alla National Gallery di Londra, e per la posa si potrebbe chiamare in causa anche la Madonna col Bambino e un pappagallo di Martin Schongauer), e alle tante Maddalene che compaiono nella produzione di Jan Gossaert, alcune delle quali, benché leggermente più tarde, su fondo scuro come quella di Piero di Cosimo. La cornice richiama invece i modelli di Hans Memling, su tutti il calice che compare nel verso del dittico Bembo, e che con tutta probabilità Piero doveva conoscere.

La straordinarietà dell’immagine di Piero di Cosimo sta proprio nella sapienza con cui l’artista riesce a filtrare i suoi modelli e a reinterpretarli secondo il proprio gusto, secondo la sua cultura d’artista fiorentino estroso ed elegante, che s’era formato con Cosimo Rosselli quando in città erano nel pieno della loro carriera personaggi come Botticelli, come il Verrocchio, come il Ghirlandaio, tutti artisti della generazione che precedeva la sua. Piero di Cosimo era però un fiorentino insolito: la sua naturale curiosità l’aveva portato a cogliere, caso non così frequente tra i pittori toscani, gli spunti che giungevano dall’Europa del nord, qui evidenti non soltanto nell’assimilazione delle fonti ma anche nella finissima e minuziosa esecuzione, e anche a essere tra i primi ad accostarsi alle novità di Leonardo da Vinci, alla delicatezza del suo sfumato, ai suoi profili morbidi, al suo modo d’illuminare i volti, con chiaroscuri graduali e leggeri e una luce diffusa: si pensi alla Belle Ferronière, per esempio.

Piero di Cosimo, Santa Maria Maddalena (1490-1495 circa; tempera su tavola, 72 x 53 cm; Roma, Galleria Nazionale d'Arte Antica di Palazzo Barberini, inv. 1468)
Piero di Cosimo, Santa Maria Maddalena (1490-1495 circa; tempera su tavola, 72 x 53 cm; Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini, inv. 1468)

Sono queste le suggestioni che Piero di Cosimo elabora per giungere a questa Maddalena di seducente bellezza, che s’annovera tra i vertici della sua produzione. La sua Maddalena affascina proprio perché non sembra una santa: è una donna fiorentina di fine Quattrocento, bellissima, dal volto nobile e affilato, con le sopracciglia rasate come voleva la moda del tempo, coi capelli biondi separati da una scriminatura, raccolti in trecce dietro la nuca, e ricadenti in ciocche disordinate sul petto, perché comunque occorreva definirla come una santa Maria Maddalena, e i capelli sciolti erano un attributo iconografico necessario. Così come lo sono il libro che la giovane sta leggendo, e il piccolo balsamario appoggiato sul parapetto. Le perle che adornano la chioma sono però aliene all’iconografia della Maddalena, così come del tutto estraneo alle canoniche rappresentazioni della santa è il coloratissimo abito alla moda (quelle vesti con “una vasta rabescatura di rosso, di verde e d’un giallo di foglia secca d’autunno” di cui aveva parlato Aldo de Rinaldis nel catalogo della Galleria Nazionale d’Arte Antica degli anni Trenta), persino ingentilito da un fiocchetto rosa sopra la manica sinistra.

È un’immagine piena di vita: osserviamo la Maddalena di Piero di Cosimo, e vediamo l’immagine mondana d’una donna che sta leggendo in una casa che immaginiamo ordinata ed elegante, entriamo nella sua intimità, c’interroghiamo sul contenuto del cartellino appoggiato sul davanzale, e poi senza trovare una risposta torniamo a indugiare sulla grazia austera del suo volto, sulle mani delicate e affusolate, su quell’espressione concentrata che Piero di Cosimo indaga con vivissima acutezza, su quel volto impenetrabile che la rende immagine financo più ammaliante della Fornarina di Raffaello, esposta di fianco a lei. Ci ispira pensieri tutt’altro che mistici e spirituali, la Maddalena di Piero di Cosimo.

Andrea De Marchi del resto ha scritto che qui vediamo “una rappresentazione del soggetto non contagiata dall’atmosfera sessuofoba che si era respirata a Firenze sotto l’influsso del Savonarola”, un’immagine che non mostra “riflessi di altre tensioni del genere, che avrebbero portato di lì a poco alla Riforma protestante”, e che al contrario “si configura come un modello dell’Umanesimo maturo, non ancora messo in crisi da quei passaggi epocali”. Anche questo aspetto potrebbe spingere verso una datazione precoce, all’inizio degli anni Novanta del Quattrocento, come aveva proposto Federico Zeri, vedendo nel volto della Maddalena di Piero di Cosimo una donna che ricordava i tipi di Filippino Lippi. Altri invece hanno avanzato una datazione più tarda, all’inizio del Cinquecento: Mina Bacci, per esempio, notava come il “leggero fluire della luce sul volto” ricordasse le sante inginocchiate della Incarnazione di Gesù conservata agli Uffizi, simili alla Maddalena di Palazzo Barberini anche nelle fisionomie. E sempre Mina Bacci, per portare prove a sostegno della sua ipotesi, chiedeva di mettere a paragone la Maddalena con la cosiddetta Simonetta Vespucci del museo di Chantilly, e di considerare il “profondo divario” tra il profilo acuto di quell’immagine sicuramente quattrocentesca e il taglio moderno della santa della Galleria Nazionale d’Arte Antica. Un nodo, quello della datazione, di difficile scioglimento.

Così come difficile sarà risalire alle circostanze in cui la Maddalena venne dipinta, ammesso che sia ancora possibile riuscirci. Possiamo per adesso contentarci di sapere come l’opera entrò nel museo romano: è una storia dentro la storia. La Maddalena era comparsa all’inizio degli anni Settanta dell’Ottocento al Monte di Pietà di Roma, dov’era stata adocchiata da Giovanni Morelli, l’insigne storico dell’arte che aveva messo a punto uno dei primi metodi attributivi, basato sul riconoscimento di dettagli ricorrenti nei dipinti d’un autore, le cosiddette “cifre morelliane”. Morelli aveva consigliato l’acquisto dell’opera a un suo amico e collega in Parlamento, il barone Giovanni Barracco, appassionato collezionista di scultura che però evidentemente non disdegnava i buoni dipinti, dato che colse subito il suggerimento di Morelli e si assicurò l’opera per la modesta somma di mille lire (sarebbero poco più di quattromila euro attuali). Era stato proprio Morelli, in quell’occasione, a riconoscere la mano di Piero di Cosimo in un’opera che prima era assegnata a Mantegna, e da allora la sua attribuzione non è più stata contestata. In seguito, nel 1907, Barracco donò la Maddalena allo Stato. Ma era una delle opere a cui teneva di più: in una lettera inviata allo stesso Morelli scriveva che la santa “vive e dorme nella mia camera, allato del mio letto, e lungamente ci guardiamo l’un l’altra con amore... con quelle trecce e quel viso rassomiglia ad una mia bellissima nipote, che ha soli diciotto anni”. A ulteriore dimostrazione dell’intensità di questo capolavoro.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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