Squarcio di cielo su Reggio Emilia con l’arrivo del “Ritratto di Gentildonna” dal Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, e quale cielo! Si tratta dell’unico grande e luminoso ritratto eseguito dal Correggio che giunge ad ingemmare la città nel momento in cui essa partecipa, per decreto ministeriale, all’evidenza nazionale di Parma, capitale della cultura. È appena il caso di ricordare che Parma deve la sua gloria universale ai trasfiguranti cicli affrescati del Correggio, e che Antonio Allegri ivi si portò dalla terra reggiana, e precisamente dal natìo luogo dal quale prese il nome d’arte, poi celebrato nel mondo.
Un avvenimento che realizza quel tipo di mostra “di un solo soggetto” vagheggiato da Umberto Eco il quale ben sapeva come un solo gioiello d’arte potesse chiamare, evocare e spargere una moltitudine di valori, e così coinvolgere quel visitatore non limitato al godimento della superficie pur talentuosa dei dati visibili, ma che sarebbe stato appagato dall’universo contestuale del soggetto. Così oggi avviene a Reggio, benché uno strano comitato abbia preferito la quasi balneare titolazione di “Giovane donna”, che è piuttosto imprecisa ma che forse è stata scelta sperando in un afflusso pubblicitariamente più sospinto. Dobbiamo dire che l’avere distorto il titolo che appare in ogni serio catalogo porta anche a un preventivo distorcimento dell’attesa popolare e del successivo incontro, oltreché alla perplessità degli studiosi. Anche l’accompagnamento alla Mostra non è succosamente didattico e fa transitare per incertezze.
Ma la presenza radiosa della Dama, che appare in uno sfolgorio pittorico esaltante, fa dimenticare le abrasioni organizzative e rende piena felicità ad ognuno che vi si avvicina. Con l’unanime consenso della critica l’esecuzione di questo capolavoro viene collocata nell’inverno tra il 1520 e il 1521, immediatamente dopo la titanica esecuzione ad affresco della cupola di San Giovanni Evangelista in Parma, quel “miracol d’arte sanza exemplo”, dove il Correggio astrae totalmente dall’architettura portante, apre i cieli all’infinito, raggiunge e supera Michelangelo nei corpi possenti e sospesi degli Apostoli e fa scendere libero il Cristo dall’empireo. Tale cupola fa rinascere il rinascimento e offre il pascolo ai secoli venturi; per il suo autore è il raggiungimento del “fare grande” che da questo momento sarà la sua sigla. Pertanto la Gentildonna di San Pietroburgo ne è la traduzione in una prima e singolarissima opera da cavalletto: un hàpax dell’intera pittura intellettuale del rinascimento. La collocazione imminente della Dama sul quadro visivo e lo svolgersi arioso del suo vestimento ci accoglie con un vero abbraccio di amplitudine generosa.
Antonio Allegri detto il Correggio (Correggio, 1489 - ivi 1534), Ritratto di Gentildonna; olio su tela, 103 x 87,5 cm; San Pietroburgo, Hermitage. Porta la firma ANTON LAET (Antonius Laetus) all’altezza del volto dell’effigiata |
L’Allegri restò sempre cittadino di Correggio, sede di un feudo di investitura imperiale, protetto dai Conti locali. Nell’ottobre del 1520 scende dai ponteggi di San Giovanni e torna a casa assai lieto in core, giacché viene a sposare la sua bella Jeronima, diciasettenne, che nove mesi dopo gli darà il maschietto, Pomponio. Resta cinque mesi in patria e qui trova il fermento della Corte per l’annunciato arrivo di un diploma ufficiale di Carlo V che giunge puntualmente il 16 dicembre. La Contessa Veronica Gàmbara, rimasta vedova di Giberto X, aveva chiesto il riconoscimento dei propri due figli maschi come eredi diretti del feudo e così lo aveva ottenuto, insieme alla sua nomina di Reggente della Stato: un fatto nuovo nell’ambito politico e araldico dell’Impero, e noi diremmo un segno precoce di emancipazione femminile. Ma erano grandi il prestigio e il fascino che già Veronica aveva sparso di sé fra le corti italiane come elevata poetessa, e aveva avuto colloqui diretti e corrispondenza ai massimi livelli: con i Papi, con il Re di Francia e il giovane Carlo V, il quale ben presto Le invia una nuova lettera di protezione speciale. Non dobbiamo dimenticare il livello sociale della Gàmbara, che fu sorella, zia e madre di altrettanti Cardinali e che ospitò Carlo V in Bologna in occasione della sua incoronazione.
L’inverno del 1520 fu dunque il momento in cui Ella richiese all’amatissimo pittore, suo suddito, un solenne ritratto da porre nel Salone di Ricevimento del nuovo Palazzo che i “da Correggio” avevano fatto progettare da Biagio Rossetti e ornato da un Portale che è il più bello di tutta l’Italia settentrionale nel rinascimento, Venezia compresa. I critici più attenti sottolineano con forza l’eccezionale dimensione di questo ritratto nell’epoca: tale da far escludere che fosse un pezzo da trasporto, o di destinazione pre-matrimoniale, o amoroso. Un ritratto palatino dunque, per il quale la Contessa e il geniale Antonio studiano ogni particolare, e una postura attentissima: un “ritratto con le mani” dove il punto di vista sta sulle mani (la fattività) e dove il procedere del nostro sguardo in altezza viene accompagnato dal lieve arco, concavo e gradiente, del sott’in su sino al collo e al viso leggeri, perfetti, irrorati dalla stessa luce meridiana che fa risplendere l’eburneo giro delle spalle. Con il corpo la Dama si volge alla sua destra mente il volto si ruota leggermente verso di noi; lo stiro serrato e volitivo, eppur dolce, della bocca si accompagna allo sguardo intensissimo che scende all’opposto ed equilibria il chiasma – frontale e in pianta – dell’intera corporea figura. Questa carica vitale trasmette tutta la energheia caratteriale e intellettuale della Contessa, ora Capo di Stato.
Magistrale è il ritmo dell’abito (ecco il “fare grande”) con le larghe ondosità delle maniche e e delle cadute a drappeggio, così che tutto il convergere dei bianchi verso le mani si concentra nella sorprendente ciotola d’argento col piede a sferette che reca nell’interno la parola greca NEPENTES (un farmaco antico, citato nell’Odissea di Omero) allusiva al suo distacco dal dolore della vedovanza e alla cordialità con la quale ella potrà ricevere gli illustri ospiti. Ella reggerà lo Stato a nome dei figli minori e non si risposerà, come il cingulum castitatis, con il suo unico nodo assicura. Ma un sommo segno di onore Ella desidera: l’incoronazione poetica che tutta circondi il suo capo, arricchito dalla intricata e perfetta capigliara, i cui nodi sono il simbolo dei pensieri. E il Correggio, ardente di ammirazione, stende gaudiosamente dietro di lei i rami raggianti del lauro poetico, aonio e apollineo. La Gàmbara fu molto stimata da Pietro Bembo e con lui costruì la lingua nazionale, fu ammirata dall’Ariosto, che la cantò e la visitò in Correggio; fu accompagnata nella sua ricerca poetica da Vittoria Colonna, l’ispiratrice di Michelangelo, con la quale fu sempre in intenso legame. Vittoria poi si fece eseguire un’effigie esemplata su quella dell’amica.
Sebastiano del Piombo, Ritratto di Vittoria Colonna (post 1525) |
Di fianco al viso di Veronica sta un tronco – apparizione inusitata in un ritratto, per di più femminile – ed è il simbolo della stirpe nella quale ella è entrata come sposa e alla quale, come l’edera evidente, ella si lega. Qui Ella vuole la firma del caro pittore. Stupendi sono lo sfondo e il paesaggio: il cielo ha entusiasmato gli esegeti, che molto hanno ammirato la cupola celeste in altri dipinti allegriani e qui trovano una superba distesa pittorica di azzurri. Il cielo è il racconto della vita della Contessa: sull’orizzonte l’avvio della giovinezza, poi la pienezza del matrimonio, e poco oltre la nuvola grigia della perdita dell’amato consorte, ma in alto la luce pienissima, lo scoppio del biancore accorante della nuova fase di vita. Sul prato, accanto a lei, i fiori delle veroniche, i gentili “non ti scordar di me”.
La venuta di questo dipinto in Reggio Emilia si pone tra la fine dell’anno leonardiano e il nuovo anno attuale, splendidamente ricco di evocazioni storiche. Davvero questo arrivo spalanca il panorama affascinante del rinascimento reggiano, così importante a tutto campo con le sue Corti di Scandiano, Correggio e Novellara, che diede alla civiltà italiana sul piano letterario e teatrale Nicolò da Correggio (l’amico e regista di Leonardo), Maria Matteo Boiardo, Ludovico Ariosto, la Gàmbara stessa; sul piano architettonico le opere di Cesare Cesariano, Biagio Rossetti, Giulio Romano; sul piano delle arti la scultura di Bartolomeo Spani, e la pittura del Correggio e di Lelio Orsi. Reggio, che già nel Cinquecento era la città preferita dal Duca estense Ercole I, diventò in quel secolo una città di palazzi e di chiese nobili, e giunse ad ospitare nientemeno che la “famosissima Notte”, il capolavoro dei capolavori della pittura nuova, con la quale il Correggio dal Vasari ebbe il titolo di “divino” e la comparazione suprema: “tengasi per certo che niuno mai come lui toccò i colori”.
L'autore di questo articolo: Giuseppe Adani
Membro dell’Accademia Clementina, monografista del Correggio.