In un interessante resoconto di un viaggio in Italia scritto nel 1766 dal pittore scozzese William Patoun e intitolato Advice on travel in Italy, l’autore dava un consiglio ai suoi connazionali che intendessero partire per il Grand Tour in Italia, il viaggio che i giovani delle classi dirigenti di tutto il continente intraprendevano durante la loro formazione per scoprire l’Europa e, in particolare, l’Italia. “Dopo aver preso possesso delle vostre sistemazioni”, scriveva Patoun, “il vostro successivo mobile necessario è... un cicerone. Ci sono due giovani a Roma al momento che svolgono questa attività, i signori Morison e Byres, entrambi scozzesi ed entrambi molto validi (quest’ultima qualità non è conseguenza dell’altra). Morison è stimato per essere il miglior conoscitore di medaglistica e arte classica, Byres il più cordiale e il più communicativo. Avendo stima di entrambi non posso raccomandarne uno a scapito di un altro. La mancia data a loro da ogni gentiluomo è di venti zecchini per un course, trenta se si è in due. Non serve accennare a Lorsignori che vengono trattati con molto riguardo e che hanno spesso l’onore di cenare con tutti i giovani di rango che viaggiano. Entrambi in origine sono pittori, e di sicuro conoscono bene sia i dipinti sia le antichità”.
I due personaggi citati da Patoun sono due artisti scozzesi, Colin Morison (Deskfor, 1732 - 1809) e James Byres (Tonley, 1733 - 1817), nati come artisti, e dai percorsi del tutto simili: ventenni, entrambi lasciarono la Scozia per trasferirsi a Roma al fine di perfezionare i loro studi (Byres, che oltre a essere pittore era anche un architetto, nel 1762 ricevette un premio dall’Accademia di San Luca per un suo progetto). I due si innamorarono di Roma e ne divennero fini conoscitori al punto che decisero di stabilirsi in città e di affiancare, alle loro abituali attività, anche quella di guida turistica: un mestiere che nell’Italia di allora era indispensabile per i giovani europei che stavano svolgendo il loro Grand Tour, e che soprattutto era molto redditizio, specialmente se affiancato ad altre attività. Sia Morison che Byres, infatti, svolsero con successo anche il mestiere di antiquari e mercanti d’arte.
Le guide turistiche per i giovani Grand Tourists (note come “Ciceroni”) erano un supporto preziosissimo: all’epoca, ovviamente, le modalità di visita erano molto differenti da quelle odierne, e per visitare, per esempio, un palazzo o una collezione era necessario qualcuno che avesse familiarità con i possidenti del luogo e con i membri delle élite. Il cicerone, inoltre, poteva anche fungere da interprete eliminando i problemi di lingua. E ancora, le guide turistiche conoscevano i pittori locali che potevano essere ingaggiati per farsi realizzare un ritratto-souvenir, nonché i mercanti che vendevano oggetti preziosi che i tourists potevano comperare e portare con sé a casa: e poiché le guide erano anche conoscitori d’arte, potevano consigliare i giovani turisti, specialmente quelli del tutto digiuni in materia, su cosa acquistare. “I ciceroni esperti”, ha scritto lo studioso Arturo Tosi nel suo libro Language and the Grand Tour, “erano i principali intermediari linguistici tra i viaggiatori e le comunità locali. Erano personaggi di cui non si poteva fare a meno, sempre presenti in tutte le città che avevano una reputazione internazionale, spesso dotati di abilità artistiche e sociali. La loro esperienza molteplice era conosciuta a tanti visitatori stranieri, così come lo erano anche le loro capacità di insistenza e manipolazione che alcuni viaggiatori attribuirono loro”. Non tutti i ciceroni erano infatti animati da... buoni sentimenti: la reportistica di viaggio del tempo parla infatti di guide che cercavano di truffare i viaggiatori, dunque contare su figure affidabili era essenziale per non incorrere in brutte sorprese durante il viaggio. Questo anche perché non soltanto la conoscenza dei luoghi, ma anche l’acquisto di merce spesso dipendeva dalle conoscenze e dall’onestà del cicerone.
L’uso del termine “cicerone” per riferirsi alle guide turistiche, che secondo Bruno Migliorini, autore della Storia della lingua italiana, aveva addirittura origini secentesche, trova il suo primo uso attestato nei Dialogues on medals del 1719 dello scrittore britannico Joseph Addison, il “padre del giornalismo inglese”, fondatore dello Spectator: “Mi sorprese”, si legge nell’opera, “vedere i miei ciceroni così familiari con i busti e le statue di tutti i grandi dell’antichità”. Il pittore gallese Thomas Jones (Cefnllys, 1742 - 1803) definì il “cicerone” come “una persona che accompagna gli stranieri per mostrare e spiegare loro i vari edifici antichi e moderne, le statue, i dipinti e altre curiosità nella città e nei suoi dintorni”. Quest’etichetta ben s’attagliava alla figura di James Byres, definito dallo storico dell’arte Peter Davidson come una “figura cruciale” che condusse una “vita da virtuoso”. Byres rimase a Roma per una trentina d’anni (arrivò nel 1758 e vi si trattenne fino al 1790, prendendo casa vicino a piazza di Spagna, dapprima in strada Felice, l’attuale via Sistina, per poi trasferirsi nel 1764 nella strada Paolina, l’odierna via del Babuino): tre decenni durante i quali frequentò artisti, antiquari e mercanti e guidò numerosi tourists e studenti d’arte alla scoperta di Roma, facendosi peraltro pagare non poco (era uno dei ciceroni più costosi).
Lo studioso Paolo Coen ha raccolto interessanti informazioni su come Byres organizzava i suoi courses, ovvero i suoi tour guidati in giro per Roma che però somigliavano a veri insegnamenti, corsi di studio a tutti gli effetti tra le antichità e le modernità che si potevano ammirare nella Roma settecentesca. Forte di una clientela abbondante e accomunata dalla lingua (lo scozzese era uno dei ciceroni di riferimento per i viaggiatori di lingua inglese, tanto quelli in arrivo dalle isole britanniche quanto i pochi che giungevano dall’America), Byres era solito radunare classi di sei o dodici viaggiatori, che seguivano un course di cinque o sei settimane, e per il quale ogni viaggiatore spendeva 10 sterline a settimana (43 scudi romani: una somma che corrispondeva, per dare un’idea, a poco meno dello stipendio mensile di un manovale della fabbrica di San Pietro, ma si tenga conto che i Grand Tourists venivano dalle classi ricche), una cifra tre volte più alta rispetto a quella che chiedevano altri ciceroni, come Colin Morison. I tour di Byres non seguivano programmi regolari: venivano decisi, per esempio, sulla base delle condizioni meteo. Durante le belle giornate, Byres portava i suoi clienti a visitare le antichità all’aperto, quando c’era brutto tempo i musei, mentre se la giornata era bella ma ventosa si andava per chiese o per quadrerie. E ovviamente, conoscendo gli artisti del tempo, era anche in grado di presentarli ai suoi facoltosi clienti: per esempio, sappiamo che organizzava anche appuntamenti per sedute di posa nell’atelier di Pompeo Batoni (Lucca, 1708 - Roma, 1787), il grande pittore lucchese che guadagnava anche realizzando ritratti dei Grand Tourists.
“Pur mancando di un solido e adeguato corso di studi”, scrive Coen, “nei primi anni romani egli cerca di colmare le lacune attraverso una nutrita serie di letture: lo sforzo si riflette nella biblioteca, che per quanto affacciata su varie discipline – letteratura moderna, storia, geografia, filosofia, economia, religione, musica, chimica, fisica e altre scienze esatte – ha il suo fulcro appunto nei classici. Byres si guadagna perciò ben presto la fama di uomo di cultura, specie nei circuiti legati al Grand Tour”. Byres ebbe poi anche interessi da archeologo: entro il marzo 1766 cominciò una attività di scavo a “Civita Turchino” (l’attuale Corneto Tarquinia) con l’idea di compilare una History of Etruscans, più per diletto che per trarne guadagni. Alla professione di guida turistica, come detto, Byres affiancò quella di mercante e agente d’arte (quanto invece a quelle di pittore e architetto, furono ben presto da lui abbandonate: come pittore smise da giovane, e i suoi progetti architettonici rimasero soltanto sulla carta). Si trattava di attività di mediazione per i ricchi collezionisti inglesi, ma anche di compravendita di oggetti a tutti gli effetti, tanto da arrivare a mettere in piedi “un’azienda florida e specializzata” (così Coen) che nel 1790, l’anno del ritorno in Scozia, contava diversi soci e collaboratori. Byres trattava “oggetti classici e moderni”, scrive Coen, “senza apparente soluzione di continuità, purché siano contraddistinti da alti livelli qualitativi ed economici. In campo antiquario egli lavora sia con manufatti minuti, sia con marmi a grandezza naturale, come dimostrano le numerose licenze per l’Inghilterra, ove insieme a camini, tazze, maschere e busti spiccano anche varie statue, comprese le due spedite nel 1784, alte ben dieci piedi”. Passarono tra le sue mani oggetti come il Vaso Portland oggi al British Museum, uno splendido vaso vitreo del I secolo d.C. che nel Seicento era uno dei pezzi più eccellenti della collezione Barberini, e fu venduto a Byres dalla principessa Cornelia Costanza Barberini che lo cedette per ripagare i suoi debiti di gioco, oppure il Battesimo di Cristo di Nicolas Poussin oggi alla National Gallery di Washington, acquistato dalla famiglia Boccapaduli.
Un cicerone come Byres era non solo una guida, ha ricordato anche Cesare De Seta nel suo L’Italia nello specchio del Grand Tour, semmai “un vero specialista [...] capace di scegliere l’itinerario più interessante, quello culturalmente più ricco e, per provata competenza, [...] capace di muoversi in quel grande mercato dell’arte che è l’Italia del tempo”. I ciceroni divennero dunque un... elemento tipico dell’Italia del tempo, tanto da entrare anche nei dipinti di veduta. Le guide turistiche solitamente sono ben distinguibili: hanno con sé un vistoso bastone e il più delle volte sono raffigurate nell’atto di indicare qualcosa, come accade in un dipinto di Bernardo Bellotto, nipote del Canaletto, conservato all’Accademia Carrara di Bergamo, dove si vede una guida colta nell’atto di spiegare l’Arco di Tito a Roma a un suo cliente. Nell’Interno del Tempio di Poseidone a Paestum, opera di Antonio Joli conservata alla Reggia di Caserta, vediamo invece, in basso a destra, un gruppo di gentiluomini attorno a una guida, in questo caso appoggiata al bastone, mentre illustra le rovine antiche a un gruppetto di viaggiatori vestiti in abiti eleganti, e disposti attorno a lui in cerchio per ascoltare.
L’abbigliamento usato dai viaggiatori era in effetti quello che si conveniva a ricchi signori in giro per l’Europa, che non volevano però rinunciare alla comodità: nei dipinti del tempo vediamo infatti i Grand Tourists indossare camicie aperte sul petto (concessione che andava bene per il viaggio ma non in società, dove invece ci si copriva il collo con colletti ben allacciati e cravatte eleganti), pantaloni corti e agili, giacche più pratiche rispetto a quelle che si portavano in città. Per avere un’idea dell’aspetto che poteva avere una compagine di viaggiatori si può vedere un dipinto dell’austriaco Martin Knoller (Steinach am Brenner, 1725 - Milano, 1804) conservato al Ferdinandeum di Innsbruck: Il conte Carlo Gottardo di Firmian in un gruppo di amici durante una gita archeologica a Cuma, del 1758, che possiamo considerare una sorta di... foto di gruppo del tempo, che vede per protagonista il diplomatico trentino Carlo Gottardo di Firmian, all’epoca quarantenne (gite del genere non erano infatti prerogativa dei giovani: anche professionisti affermati, in missione all’estero, si concedevano uscite come questa). È un dipinto che, ha scritto lo storico dell’arte Fernando Mazzocca, possiamo considerare “immagine emblematica della passione per l’antico e del fascino esercitato sui viaggiatori stranieri dai ruderi che dominavano il paesaggio italiano”. Firmian è il personaggio al centro, colto mentre osserva il riguardante e indica il libro che tiene nella mano destra. Dietro di lui, sdraiato e intento a disegnare, troviamo il trentenne Knoller, che si autoritrae. Il personaggio a fianco di Firmian, con in mano il bastone, è con tutta probabilità la guida del gruppo di amici. Sono, scrive Mazzocca, “tutti rapiti dalla bellezza del luogo e dalla maestà delle rovine semisepolte dalla vegetazione”. Erano questi i gruppi che nell’Italia del Settecento si aggiravano per scoprirne le meraviglie, sempre accompagnati dalle loro guide. E, come hanno rilevato molti studiosi, furono anche questi viaggi a formare la coscienza di sé dell’Italia.
Bibliografia di riferimento