L'ironia di Giambattista Tiepolo


Il 5 marzo 1696 a Venezia nasceva Giambattista Tiepolo: lo ricordiamo sul nostro blog con un post dedicato alla sua verve ironica.

Il 5 marzo del 1696 nasceva a Venezia uno dei più grandi artisti del Settecento, Giambattista Tiepolo: una ricorrenza che oggi viene celebrata anche da Google, che dedica all’artista veneziano il suo doodle creando una composizione ispirata ai celebri e ariosi affreschi di Giambattista Tiepolo. Il 6 dicembre dello scorso anno anche noi abbiamo dedicato una puntata del nostro podcast all’artista: tuttavia, poiché la sua produzione fu particolarmente imponente, abbiamo dovuto per forza di cose tralasciare alcuni aspetti della sua arte, alcuni anche importanti. Non abbiamo per esempio parlato dell’ironia, una delle caratteristiche fondamentali della sua arte, e ci eravamo ripromessi di trattare l’argomento in un articolo sul nostro sito: l’anniversario della nascita ci dà quindi l’occasione di farlo.

Il doodle che Google dedica a Giambattista Tiepolo

Nella puntata avevamo visto come Giambattista Tiepolo sia stato un artista della decadenza di Venezia: la città viveva un periodo di crisi irreversibile che, come abbiamo visto più volte parlando di artisti veneziani sul nostro sito, avrebbe portato la Serenissima alla fine della sua millenaria indipendenza. L’arte luminosissima e aperta di Tiepolo era un mezzo che il patriziato veneziano del tempo utilizzava per costruirsi una realtà parallela fatta di finzione, astrazione e teatralità, quasi a voler dimenticare lo sfacelo che era sotto gli occhi di tutti, ma che si faceva quasi finta di non vedere, perché la vita a Venezia continuava tra feste, lusso e mondanità (e uno dei maggiori interpreti in pittura di questo “non voler vedere” la decadenza, fu il Canaletto, contemporaneo di Tiepolo).

In questo contesto, l’ironia (tipica del resto di molta dell’arte veneziana del tempo, basti pensare a un pittore come Pietro Longhi, acuto osservatore della società della Venezia del XVIII secolo) diventa per Tiepolo un malinconico strumento per evidenziare le storture del suo tempo. Così, per esempio, la corte del re Salomone che osserviamo nell’affresco con il Giudizio di Salomone nel Palazzo Patriarcale di Udine raffigura una corte che, memore dei dipinti di Paolo Veronese che fu uno dei più importanti “maestri ideali” di Giambattista Tiepolo, ci appare variopinta e sfarzosa, tra nani, bestie più o meno esotiche (si veda il leone subito sotto Salomone, che potrebbe essere proprio una allusione a Venezia), pingui personaggi, vesti ricche, bambini abbigliati come paggetti, il tutto attorno a un Salomone le cui vesti ricordano proprio quelle di un doge veneziano.

Giambattista Tiepolo, Giudizio di Salomone (1726-29; Udine, Palazzo Patriarcale) Giambattista Tiepolo, Morte di Giacinto (1752-53; Madrid, Museo Thyssen-Bornemisza) Giambattista Tiepolo, Giove e Danae (1736; Stoccolma, Universitet Konsthistoriska Institutionen)

I riferimenti al mondo contemporaneo entrano anche nella pittura mitologica e in questo senso è esemplare la Morte di Giacinto che si trova al Museo Thyssen-Bornemisza di Madrid, dove vediamo, di fronte al corpo esanime e dotato di classica bellezza di Giacinto, una racchetta da tennis con due palline: Tiepolo attualizza il mito e ne cambia il contesto, così che la morte di Giacinto non è più conseguenza di una gara di lancio con il disco, ma di una partita di tennis. Dietro di lui, un Apollo che esprime il suo lutto con una posa estremamente teatrale, quasi a voler dare pubblica dimostrazione del proprio dolore, tant’è vero che dietro di lui una schiera di personaggi accorrono per osservare la scena con curiosità. Uno di loro addirittura si volta per richiamare altre persone: quasi che il dolore diventi motivo di spettacolo. E le espressioni di questi personaggi sono tutt’altro che afflitte: l’ironia di Tiepolo rappresenta gli astanti come se fossero spettatori di teatro. Le allusioni alla mondanità veneziana sono diverse, a cominciare dal telo su cui poggia Giacinto, che sembra quasi un letto, e continuando con il pappagallo in alto a destra, simbolo di sensualità, così come la statua del fauno rappresenta la carnalità.

L’ironia tiepolesca si evince anche dalla sua volontà dissacratoria che gli fa rappresentare certi episodi della mitologia antica secondo intenti parodici: è il caso di Giove e Danae, dipinto del 1736 che troviamo al Museo dell’Università di Stoccolma dove, appunto, il mito viene rivisitato quasi come se Tiepolo volesse dipingere una sua parodia. Ecco quindi che la pioggia d’oro del mito è trasformata in una più prosaica pioggia di monete d’oro (e si noti anche la vecchiaccia sotto il letto di Danae che con un piatto osserva la caduta delle monete, quasi come se volesse raccoglierne il più possibile), ecco una Danae che sembra più svogliata che eccitata, tanto che sembra quasi non curarsi del Cupido che le sta togliendo la veste, Giove che assume le fattezze di un vecchio brutto, ma danaroso, e non ultimo il cagnetto che ai piedi del letto di Danae abbaia contro l’aquila di Giove, che sembra voler instaurare con il suo rivale una lotta. Insomma, più che a un’unione tra un dio e una principessa, sembra quasi di assistere a una scena di ricco meretricio: scena frequente nella Venezia del tempo.

Il discorso sull’ironia tiepolesca non sarebbe completo senza prendere in esame la sua produzione di caricature, un’arte che nel Settecento diventò particolarmente in voga. L’intento di Tiepolo non era però quello di creare caricature di persone ben precise (amici, colleghi, personaggi famosi del tempo o comunque in vista): lo scopo delle sue caricature era quello di rivelare aspetti dell’animo umano attraverso l’esagerazione di certe caratteristiche fisiche che si esprimevano nella realizzazione di tipi di personaggi, così che la satira di Tiepolo non colpisce l’individuo, ma la società intera (o parti della società). L’arte di Tiepolo si carica quindi di buffi personaggi ingobbiti, dalle facce grottesche, ma sempre imparruccati e vestiti in maniera impeccabile, oppure mascherati o visti di spalle come in questa caricatura conservata al Museo Sartorio di Trieste e in questa che si trova invece al Metropolitan di New York (in cui riconosciamo l’abbigliamento tipico veneziano, con il tricorno, cioè il cappello, e la bautta, la più classica delle maschere di Venezia), dove l’anonimato che nasconde l’identità del personaggio ma comunque non ne copre i difetti fisici, è una critica alla Venezia del tempo dove l’abitudine di mascherarsi era frequente, proprio perché la maschera garantiva anonimato e dava a chi la indossava la possibilità di compiere azioni che altrimenti, senza maschera, non avrebbe potuto compiere (concedersi amori libertini, frequentare ambienti diversi da quelli abituali senza essere riconosciuti, sfogare accese critiche e polemiche, e via dicendo). Il senso della critica di Giambattista Tiepolo è però quello secondo cui la maschera può sì garantire anonimato, ma di certo non migliora le persone e non modifica i loro difetti, anzi: li accentua.

L’ironia di Giambattista Tiepolo diverrà poi una fondamentale caratteristica dell’arte del figlio, Giandomenico, che sarà ancora più sferzante e irriverente del padre (anche probabilmente perché Giandomenico, a differenza di Giambattista, riuscì a vedere la fine dell’indipendenza della Serenissima) e continuerà la sua tradizione.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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