“Non è necessario che ti rammenti la battaglia che io vengo da più anni sostenendo per ristabilire il contatto tra il mondo dell’arte e il mondo della tecnica; per dimostrare che nessuna frattura esiste tra due espressioni diverse ma ugualmente essenziali della creatività umana”. Scriveva così Giulio Carlo Argan, uno tra i più importanti storici dell’arte del Novecento, all’ingegner Guido Ucelli, fondatore del Museo, a ridosso della sua inaugurazione, nel 1953, in una lettera riguardante la III Conferenza Generale ICOM che si sarebbe tenuta proprio quell’anno a Milano. Argan aveva seguito con interesse le fasi della nascita del museo e quattordici anni prima, tra 1938 e 1939, era stato coinvolto, come ispettore della Direzione Generale Antichità e Belle Arti, nelle travagliate vicende della Mostra Leonardesca organizzata sempre a Milano e a cui aveva partecipato lo stesso Ucelli (nel comitato della sezione sull’Idraulica). Mostra su cui ultimamente si è scritto tanto e di cui il Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica (così si chiamava alla sua fondazione) è un po’ figlio ed erede.
La raccomandazione di Argan, basata sull’idea di unità della conoscenza e dei saperi, trovava in Ucelli un perfetto sostenitore e un concreto attuatore. Per comprendere le ragioni dell’importanza dell’arte e la presenza di numerose collezioni storico-artistiche in un museo scientifico come quello milanese è necessario proprio partire dalla figura e dalla vita del suo fondatore, esponente della seconda generazione della borghesia industriale lombarda. Nato a Piacenza nel 1885, laureatosi al Politecnico di Milano, il giovane Guido entrò come ingegnere alle Costruzioni Meccaniche Riva, una delle più importanti aziende al mondo produttrici di turbine. Fondata da Alberto Riva, uno dei primi laureati del Politecnico stesso, con la vittoria dell’appalto per le centrale del Niagara nel 1899 era salita alla ribalta internazionale. Sposò nel 1914 Carla Tosi, figlia di un altro importante ingegnere e imprenditore, Franco Tosi, fondatore dell’omonima società metalmeccanica di Legnano e prematuramente assassinato nel 1898. All’interno della Riva Guido Ucelli compì una carriera che lo portò a diventarne il Presidente. Nella sua casa di via Cappuccio a Milano, residenza eclettica costruita attorno al chiostro di un antico monastero, Ucelli intratteneva rapporti di amicizia con artisti come Arrigo Minerbi, Amos Nattini, Edgardo Rossaro e architetti come Piero Portaluppi. La sensibilità per l’arte, l’amore per la fotografia e il cinema (Ucelli realizzò con la famiglia e gli amici dei veri e propri film muti, ambientati tra Milano e la casa al mare di Paraggi, sul promontorio di Portofino) accomunavano la sua a tante famiglie di industriali e imprenditori milanesi e lombardi di origine o d’adozione, della sua generazione e della precedente, come gli Amman, i Bocconi, i Candiani, i Cantoni, i Crespi, gli Jucker, i Ponti e molti altri, perlopiù banchieri o industriali, spesso ma non solo, tessili.
I Chiostri dell’ex monastero di San Vittore, sede del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo da Vinci |
Il collezionismo a Milano e in Lombardia, soprattutto dal periodo postunitario e fino agli anni tra le due Guerre Mondiali, era infatti legato intimamente alla dirigenza industriale e bancaria, più che in altre regioni d’Italia. Alla ricerca di un’affermazione sociale, il collezionismo nobilitava questa nuova classe dirigente che a Milano stava via via ricoprendo ruoli sempre più importanti anche nelle posizioni politiche. Alla ricerca di un riconoscimento culturale, questi industriali (soprattutto quelli nati negli anni Ottanta del XIX secolo e attivi come collezionisti nel periodo fra le due guerre mondiali), avevano gusti molto simili tra loro, prediligendo autori del secolo precedente, appartenenti alle correnti del Romanticismo e del Realismo, Macchiaioli e Divisionisti, e se acquistavano opere di artisti a loro contemporanei, di cui erano spesso anche amici, prediligevano comunque un’arte lontana dalle rivoluzioni delle avanguardie o anche degli esiti più felici dello stile Novecento. Paradossalmente, questi moderni imprenditori che rappresentavano il presente e il futuro, usciti spesso dalle due Università figlie della modernità milanese, ossia il Politecnico e la Bocconi, necessitavano di uno sguardo alla bellezza del passato, rassicurante e consolatore, per completare la loro vita e la loro immagine.
Guido Ucelli inoltre, grazie soprattutto al suo contributo nel recupero delle Navi di Nemi, una delle più importanti imprese archeologiche dell’Italia Fascista, ebbe la possibilità di entrare a contatto con il mondo della cultura ai livelli più alti conoscendo, tra anni Trenta e Quaranta, archeologi come Roberto Paribeni o direttori di Musei come Giorgio Nicodemi e Fernanda Wittgens, iniziando così a costruire la sua idea di un Museo Industriale grazie a un’instancabile azione di lobbying a livello culturale e diplomatico che continuò anche dopo la Seconda Guerra Mondiale, da cui uscì senza macchia anche grazie all’opera sua e della moglie nella difesa e protezione degli amici ebrei, scontata anche con la prigionia.
Arrigo Minerbi, La Vittoria del Piave (Milano, Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci, donazione Ucelli) |
Bernardino Luini, Madonna col bambino in trono con i santi Antonio Abate e Barbara (1521; Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci, in deposito dalla Pinacoteca di Brera) |
L’inaugurazione del Museo, il 15 febbraio 1953 in concomitanza con le celebrazioni leonardesche, diventava così allo stesso tempo il punto di arrivo di un progetto durato vent’anni e il punto di partenza per mettere in pratica una politica di acquisizioni che rispondessero a questa idea di unità del sapere. La profonda rete di conoscenze di Ucelli nell’industria e nell’arte sortirono il loro effetto e nei primi anni di vita del Museo e fino alla morte del fondatore nel 1964, si poté assistere a una risposta piena e consapevole del mondo dell’arte, della ricerca e dell’industria, con donazioni non solo di macchine e cimeli da parte del CNR, della Falck, della Tosi, della Marina Militare ma anche di una serie di importanti nuclei di opere d’arte: si trattò di un processo integrato e non disgiunto. In una selva di beni che registrano in realtà molteplici provenienze, vale la pena ricordare perlomeno alcuni tra i nuclei più importanti.
Già nel 1952, prima che il Museo fosse inaugurato, Fernanda Wittgens, concesse in deposito al Museo un importante nucleo di affreschi strappati di maestri lombardi del Rinascimento che non avevano trovato posto nel riallestimento della Pinacoteca di Brera, riaperta nel 1950. L’evento suggellava la vicinanza tra le due istituzioni anche sotto il segno dell’architetto e comune amico Piero Portaluppi, che firmò entrambi i progetti di ricostruzione. Con l’esposizione di queste opere Ucelli perseguiva anche l’intento di restituire ai chiostri dell’ex monastero di San Vittore che ospitava il Museo parte della sua allure rinascimentale, impiegandosi anche nell’acquisto di antichi arredi da antiquari di fiducia (o facendosene costruire altri ad hoc) per decorare alcune delle grandi sale storiche che avrebbero costituito il perno di quello che sarebbe stato uno dei primi e veri centri di congressi ed eventi all’interno di un museo in Italia.
Tra 1952 e 1955 la prima donazione: la raccolta di Francesco Mauro, ingegnere, ex parlamentare, presidente della Cinemeccanica e professore presso il Politecnico di Milano. Mauro, autore di centinaia di pubblicazioni, fu uno dei fondatori della scienza dell’organizzazione del lavoro in Italia e primo divulgatore del Taylorismo negli anni dell’autarchia fascista, grande viaggiatore e conoscitore dell’Oriente e degli Stati Uniti, amico di Ucelli e non a caso componente del comitato di ordinamento del Museo. Insieme alla moglie Edi aveva raccolto negli anni un nucleo importante di opere d’arte cinesi e giapponesi, e inoltre tra gli altri esempi, un piccolo nucleo di disegni, stampe e dipinti di Aldo Carpi, amico di famiglia, e un prezioso gruppo di oreficerie Déco, che annovera alcune delle poche opere dell’orafo Alfredo Ravasco conservate collezioni museali (tutti regali per l’anniversario di nozze, fatti da Francesco Mauro alla moglie). Per finire, Mauro lasciava al Museo anche la sua preziosa biblioteca storica, che restituisce pienamente l’identità di questa Milano Politecnica, unendo testi di ingegneria e organizzazione del lavoro (centinaia dei quali scritti da lui stesso) a volumi sull’arte orientale e occidentale.
Alfredo Ravasco, Cofanetto in oro, smalto e topazio (1925; Milano, Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci, donazione Francesco Mauro) |
Alfredo Ravasco, Porta-profumo in oro, pietre semipreziose e cristallo di rocca, con dedica di Francesco Mauro alla moglie Edi (1925; Milano, Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci, donazione Francesco Mauro) |
Giannino Castiglioni, Medaglia dell’Esposizione Internazionale del Sempione (1906; Milano, Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci, donazione Johnson) |
Nel 1953 la Johnson, la più antica fabbrica di medaglie italiana, fondata a Milano nel 1836, donava insieme a uno dei magli utilizzati nel primo stabilimento di Porta Venezia anche una parte del proprio medagliere, che comprendeva non solo le medaglie realizzate in più di un secolo di attività, ma anche esemplari di epoche precedenti e di manifatture internazionali. Tra questi, disegnati anche da artisti della stagione liberty come Egidio Boninsegna, Ludovico Pogliaghi e Giannino Castiglioni, se ne distinguono decine e decine di bellissimi che commemoravano tutte le grandi esposizioni internazionali di arte e industria, a partire dalla Great Exhibition di Londra del 1851 e arrivando, tra le altre, alla grande Esposizione Internazionale del Sempione tenutasi a Milano nel 1906. Non a caso furono proprio le grandi esposizioni di Arte e Industria ad avere posto le basi in Europa della nascita dei Musei d’Arte Decorativa e dei Museo Tecnico-Scientifici, e anche Guido Ucelli pose grande attenzione nel valorizzare le eccellenze di quelle “Arti Industriali” nelle quali qualità estetica della manifattura, destinazione d’uso e strumenti per realizzarla dovevano in qualche modo incontrarsi. Questo mettere sullo stesso livello di importanza le opere d’arte applicata (che fossero lavori in ferro battuto, intarsi lignei, oreficerie) e gli strumenti del mestiere fu una grande intuizione di Guido Ucelli, che entro il 1958 inaugurava proprio una sezione sull’arte orafa esponendo, accanto ai manufatti orientali e alle oreficerie di Ravasco della collezione Mauro, anche i semilavorati del laboratorio del medesimo orafo, ereditati alla sua morte dall’Orfanotrofio milanese delle Stelline, e gli strumenti e semilavorati donati dalla Calderoni, una della più importanti gioiellerie milanesi di inizio Novecento.
Questa prima importante fase di acquisizioni di opere d’arte fu coronata dall’arrivo, nel 1957, della raccolta di Guido Rossi, industriale tessile coetaneo di Guido Ucelli, nato a Gallarate ma trasferitosi a inizio Novecento a Milano. Rossi era stato presidente della ditta Brusa e proprietario, insieme a Giuseppe Chierichetti, di uno degli edifici liberty più famosi di Milano, Casa Berri-Meregalli di Giulio Ulisse Arata, nel distretto di Porta Venezia, sua residenza milanese. La sua raccolta era allineata ai gusti degli industriali della sua generazione, come abbiamo avuto modo di delineare, prediligendo artisti del secondo Ottocento a partire dai pittori delle scuole del sud come Filippo Palizzi, Antonio Mancini e Francesco Paolo Michetti, acquistati già dal 1913, per passare a un nucleo importante di pittori del realismo e divisionismo lombardo e piemontese, con capolavori di Filippo Carcano, Carlo Fornara e Giuseppe Pellizza, di cui Rossi riuscì ad acquistare, fra le altre, la celebre Processione, prima opera divisionista del pittore di Volpedo, presentata nel 1895 alla I Biennale di Venezia. Pur non rappresentando numericamente un nucleo importante, Rossi riuscì ad acquistare inoltre due opere importanti di artisti macchiaioli: I Fidanzati di Silvestro Lega, capolavoro del periodo di Piagentina del 1869, e Campagna Romana di Giovanni Fattori. Nella raccolta di Rossi non mancano esempi di artisti a lui contemporanei, come un importante nucleo di dipinti di Pietro Gaudenzi, di sculture di Arrigo Minerbi e due opere di Adolfo Wildt, artista che Rossi conobbe in occasione delle sue frequentazioni della Galleria Pesaro a Milano e a cui affidò anche l’esecuzione dell’enigmatica Vittoria Alata per l’atrio di Casa Berri-Meregalli, fortunatamente ancora in situ.
Silvestro Lega, I Fidanzati (1869; Milano, Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci, donazione Rossi) |
Giuseppe Pellizza, La Processione (1892-95; Milano, Museo Nazionale Scienza e Tecnologia Leonardo da Vinci, donazione Rossi) |
A dire la verità, un comune denominatore di queste importanti acquisizioni dei primi anni di vita del Museo fu l’inaccortezza di non preoccuparsi di acquisire anche gli archivi personali dei donatori, che avrebbero potuto costituire una preziosa fonte documentaria per la storia della collezione e delle opere. Ma all’epoca era perfettamente normale non dare importanza a questi aspetti storici, tanto che nell’esposizione delle opere al Museo nel 1957, i nomi di Francesco Mauro e Guido Rossi si limitavano a comparire all’ingresso delle relative sale.
In questi ultimi dieci anni si è proceduto con un lavoro di ricognizione, conservazione e restauro di molte opere ma soprattutto al loro studio e catalogazione, accompagnati da una ricerca documentaria, ancora in corso, per poterne ricostruire vicende, individuare connessioni e ricomporre frammenti. Oggi gran parte di queste collezioni non sono esposte al pubblico (ma spesso visibili in occasione di prestiti a mostre) ma l’obiettivo per il futuro è tornare a riesporle con un progetto curatoriale che renda conto proprio delle ragioni della loro presenza all’interno di un museo scientifico, rendendo evidenti le interconnessioni che abbiamo tracciato tra tecnica, industria, collezionismo e storia.
L'autore di questo articolo: Claudio Giorgione
Storico dell'arte, è curatore presso il Museo Nazionale della Scienza e Tecnologia di Milano.