Un lontano raggio di Venezia. Il Portale del Palazzo dei Principi in Correggio


Il Portale del Palazzo dei Principi in Correggio è opera del primo decennio del Cinquecento, elaborato intorno al 1507. Capolavoro della scultura degli inizi del XVI secolo, conserva un’eco veneziana: lo vediamo da vicino in questo articolo.

Sta come un fiore marmoreo o come una candida farfalla sul compatto tessuto rosso-caldo del mattone ferraiolo che serra il prospetto della dimora comitale eretta sul principio aureo del secolo XVI ad accogliere i sovrani e gli ospiti eccellentissimi nel cuore di Correggio, piccola e viva corte del rinascimento italiano. Per valutare adeguatamente la sorpresa e l’ammirazione che si riceve alla scoperta di questo Portale basterà ricordare la frase mormorata d’incanto da David Alan Brown, il grande studioso di Leonardo, quando vi giunse davanti: “ora comprendo perché in questo luogo è nato un genio”, e si riferiva al suo amato pittore, Antonio Allegri.

Anticipando il momento di leggere l’opera in sé converrà rivolgere un pensiero ai due padri che certamente la vollero. Il primo, il conte Nicolò II della famiglia dei Da Correggio (1450-1508), stimatissimo e richiestissimo presso le corti padane; poeta e drammaturgo, uomo d’armi e maestro di delizie, regista di grandi feste, di carnevali e di tornei, ricchi d’invenzioni significanti, fu quello che la cugina Isabella d’Este Gonzaga stigmò con la frase famosa: “il più atilato cavaliere e barone per rime et cortesie de li tempi suoi”. Questo amico di Leonardo era cresciuto nella ducale famiglia materna a Ferrara ed era entrato in profonda sintonia con Biagio Rossetti, il plasmatore dei moti di una città e il costruttore di aulici palazzi impostati saldamente sulla divina proporzione, ma che slittavano tutti in curiose desinenze aperte, quali necessità evidenti del vivere comune, allontanandosi così in modernità dai blocchi della architettura chiusa toscana e dalle relative astrazioni. In questo modo abbiamo fatto il nome del secondo padre del nostro Portale, al quale direttamente Biagio diede la forma perfetta, la leggerezza d’incanto e la partitura scorrevole di un epillio scultoreo, evocante un mondo ideale di simboli e miti tra rutilanti armature.

Prospetto del Palazzo dei Principi in Correggio. Inizi del sec. XVI.
Prospetto del Palazzo dei Principi in Correggio. Inizi del secolo XVI.
La dimora di rappresentanza fu progettata da Biagio Rossetti e realizzata grazie alla cospicua dote di Francesca da Brandeburgo, sposa poi vedova del Conte Borso da Correggio. Bello e leggero, come un signor cortese, spicca il Portale sul fìttile frontale del Palazzo che prende il suo nome sontuoso, ma non rubato “dei Principi”, in quanto i reggitori della Contea conclusero nel XVII secolo la loro lunga linea genetica con tale titolo, ottenuto dal Sacro Romano Impero.

La mirabile impostazione bi-ordinale del manufatto, nella “divina” orditura proporzionata delle sue misure, per esteso conferma l’intera architettura rossettiana del Palazzo quale eccezionale progetto dell’autore al di fuori della città estense, e rende pacifico l’arrivo delle maestranze lapicide su quella linea Venezia-Ferrara dalla quale giungevano pure le pietre d’Istria e gli altri marmi per le vie delle acque. Il Portale del Palazzo dei Principi in Correggio è opera del primo decennio del Cinquecento, elaborato intorno al 1507 e condotto al suo collocamento insieme ai colonnati dai ricchi capitelli, alle cantonarie e ai relativi stemmi. Vi sono infatti due date entro le quali dovette compiersi il progetto e almeno buona parte del lavoro: nel 1506 Antonio Lombardo trasferisce la sua bottega da Venezia a Ferrara (ma in precedenza qui già lavorava al gran portale del medico Castelli e riceveva altri ricchi introiti dalla corte), e nel 1508 muore Nicolò II da Correggio, il committente. È facilmente pensabile che il conte correggese, cugino amato da Ercole I ed ora dal nuovo duca Alfonso, possa aver avuto sollecita relazione presso Antonio Lombardo, probabilmente già conosciuto a Venezia, e che la sua richiesta, corroborata dal superbo disegno del Rossetti, abbia fatto gioco per il lavoro della bottega, ora ampiamente attrezzata. Così l’incarico di quel Portale che doveva andare lontano dalla città ducale si affiancò ai celebri impegni per i “camerini diti di alabastro” e per le numerose candelabre e targhe che si ritrovano ancora in palazzi e chiese ferraresi: del resto i motivi e lo stile coincidono ad evidenza. Non sappiamo se la maggior parte del lavoro strutturale e scultoreo si sia svolta in Ferrara oppure in Correggio, ma è certo che qui si era trasferita in forza un’ala importante della grande bottega di Antonio.

Il Portale quale grande opera scultorea.
Il Portale quale grande opera scultorea.
Il manufatto è eseguito in pietra d’Istria, dalle cave di Orsera. Questo materiale è a struttura oolitica molto compatta e viene estratto in condizione di una particolare tenerezza che consente la lavorazione più nitida e finita in ogni particolare. Con l’esposizione agli agenti atmosferici tale pietra si rinsensa, acquistando durezza e lucidità. Il suo colore tende al paglierino ed è particolarmente pittorico. Il restauro del Palazzo, condotto da Guido Zucchini tra il 1925 e il 1927, non toccò il manufatto se non per minimi risarcimenti. È molto suggestivo il legame con il balconcino sovrastante.
Le proporzioni del Portale. Rilievo dell'architetto Franca Manenti Valli.
Le proporzioni del Portale. Rilievo dell’architetto Franca Manenti Valli.
Tutti i rilievi, acuti e sapientissimi della Manenti Valli, scoprono la “linea d’oro” in ogni parte del Palazzo, ossia la diagonale aurea angolata a 58° 17 che, per semplificare la spiegazione, governa ogni altra misura e ogni rapporto. Il Portale ne è l’esempio principe testimoniando la perfetta aderenza alla più avanzata cultura rinascimentale del Rossetti che così coniuga in straordinaria armonia la struttura arcuata e quella maggiore architravata. Senza dubbio partecipava a questa cultura il suo nobile committente.

Le osservazioni sui partimenti architettonici del grande apparato marmoreo mostrano una ferma impostazione trilitica esterna, dove le lunghe paraste che si mantengono entro la canonica proporzione di 1 a 7,5 appoggiano su piedistalli di contenuto slancio e su zoccoli basilari perfettamente collegati. I dadi ostentano a rilievo le antiche aquile romane, quali insegne perfette dell’appartenenza del feudo locale alle terre dell’Impero: attualmente sono piuttosto abrase ma nelle sue visite Carlo V vi avrà posato gli occhi con vero compiacimento. Le paraste reggono eleganti capitelli dove il modello corinzio è trattenuto in una piana versione rinascimentale. Così, evocando le due “Scuole grandi” di San Giovanni e di San Marco a Venezia – entrambe lombardesche di fine secolo XV – e pure le facciate interne del Palazzo Ducale, anche qui in Correggio le membrature esterne di carattere finemente pittorico offrono alla scultura campi di scorrimento e di preziosità appositamente studiate che appaiono del tutto connaturali e ingemmanti, ossia elementi predeterminati dell’intera progettazione.

La solenne trabeazione è tutta incentrata sul fregio scolpito, contenuto entro il finissimo architrave perlinato e la soprastante leggera cornice, ovulata e fogliata.

La struttura del Portale.
La struttura del Portale.
All’interno dell’impostazione trilitica è contenuto il sistema arcuato in armonico gemellaggio. Tale accostamento venne già sperimentato dal Rossetti nel portale di Schifanoia (parte inferiore senza i piedistalli), nei Palazzi Giglioli-Varano, Turchi Di Bagno, e Giulio d’Este (quest’ultima dimora venne assegnata allo zio Nicolò da Correggio da Alfonso I nel 1506). Lo schema è tipicamente rossettiano e il grande fornice, dall’apertura del quale dipendono le altre misure, esprime l’abbraccio all’ospite. Nel caso di Correggio l’ingresso non si trova allineato lungo una via ma in piena fronte, dinnanzi al largo di Piazza Castello: la sua funzione ne viene accentuata e senza dubbio la ricchissima previsione scultorea ne ha determinato la nobiltà. Tuttavia la leggerezza complessiva, adagiata alla parete in cotto chiama anche a una lettura che la luce radente esalta in bellezza.

La facciata ad ovest del Palazzo dei Principi riceve il pieno sole a partire dal meriggio, nelle prime ore del quale la luce accarezzante esalta il modellato a mezzo rilievo dei lunghi ornati, il cui spessore è anch’esso calcolato sulle dimensioni architettoniche. Il risalto delle forme a volte si spinge verso un virtuale tuttotondo, e a volte si adagia nei particolari come uno stiacciato di accuratissimi particolari: una ricchezza viva dunque, che non ci stanca mai.

L’impostazione generale dell’apparato scultoreo segue parti distinte. Le due paraste interne, reggenti l’arco, fanno sorgere i loro elementi decorativi da basi virtualmente bronzee, appena sollevate, e procedono in senso verticale: diventano così due splendide candelabre poste ai lati dell’accesso come segni di massimo onore agli ospiti entranti; all’imposta dell’archivolto sono siglate da capitelli cubici, semplici e perlinati e la fascia superiore, semicircolare, ostende una festosa sequenza di festoni vegetali e coppe, non interrotta da alcuna chiave di volta. La decorazione briosa prevale totalmente, a mo’ di incoronazione per i nobili accedenti. Le membrature esterne, al di sopra delle aquile ai dadi che ricordano da vicino quelle dei pilastri ferraresi di San Cristoforo alla Certosa, fanno partire il loro discorso figurato dall’alto: un cordone annodato a un fiore, con tanto di nastri, regge in discesa una serie stupefacente di imprese araldiche e sigle dichiaranti, tutte legate in successione. Prima di affrontare l’antologia complessiva dei termini scultorei è bene osservare l’esteso fregio della trabeazione ove al centro campeggia lo stemma della nobile casata dei Da Correggio con le sue fasce orizzontali, ma senza l’interziato imperiale e lo stemma dei Brandeburgo, come succederà immediatamente dopo nel fregio dipinto della Sala del Camino (1508).

Il fregio scolpito nella trabeazione.
Il fregio scolpito nella trabeazione.
È la dichiarazione della Casata. Essa avviene con la proposizione e la ripetizione dei grifi. Questi sono modellati in una forma teratomorfica, ossia di un animale impossibile ma portentoso che raccoglie in sè forze imperative acconcie all’animo, superiore e guerriero, del ceto nobile. Il grifo ha il corpo leonino, le zampe e la testa di un rapace, oppure variata, ed è ampiamente alato; a volte la sua coda svirgola innalzata. I grifi presiedono al fregio nei punti estremi, eppoi si si presentano a coppie fronteggianti che reggono torce infiammate; tra loro pendono grosse ghirlande di fiori con coppe sontuose, o accolgono tranquille colombe; i due centrali ostendono lo scudo dei Conti di Correggio. Il modellato è risentito, con acuti particolari. La dichiarazione complessiva allude alla capacità di guerra ma pure ai copiosi godimenti della pace.
Lo Stemma.
Lo Stemma.
Poco leggibile dal basso è attentamente modellato. Porta al centro l’Aquila imperiale coronata affiancata dai due leoni. Sotto questi il richiamo della fascia bianca in campo rosso.
L'intradosso dell'arco.
L’intradosso dell’arco.
Mentre la parte frontale della volta marmorea è tutta festosa di motivi paradisiaci ininterrotti, l’intradosso incorona idealmente l’Ospite agognato con i sette fioroni esalobati, conclamanti il gran gaudio della sua venuta. Ognuno di questi espansi fiori nasce dal bulbo pentagonale che ricorda la remota pèntade erotica delle credenze arcaiche e che, nella eco musicale dell’antica Grecia, legava i canti dei cori all’armonia perfetta. Non possiamo dunque dimenticare la vocazione strumentale e canora delle corti padane. Così la dimora correggese si proclama non propriamente un “palazzo dell’Eden”, come le delizie ferraresi, ma con certezza un palazzo d’amore.

La cultura teatrale di Nicolò II affiora costantemente nel progetto del Portale, e il Conte di Correggio prevedeva visitatori illustri non soltanto per nobiltà di stirpe ma pure per altissime doti intellettuali. In effetti il Palazzo di Corte accolse poi personaggi come i duchi di Ferrara, il marchese d’Avalos, Carlo V imperatore, cardinali e vescovi, e d’altra parte – ospiti di Veronica Gàmbara – Ludovico Ariosto, Bernardo e Torquato Tasso, Pietro Aretino, musici e artisti. Le varie realizzazioni di arredo significante dei palazzi nobiliari venivano a quel tempo memorizzate in relazioni scritte ed inviate da corte a corte: pertanto i loro progetti erano studiatissimi sia per un significato generale, sia nei numerosi particolari, spesso sorprendenti e decifrabili ai dotti. Isabella a Mantova faceva testo!

Veniamo ora alla ricchezza iconografica e semantica delle quattro sequenze emblematiche che formano il cantico più sonoro e solenne di questo Portale: le due candelabre e i due pendoni. Dobbiamo dichiarare subito che nella vasta area rinascimentale del versante adriatico quello che potremmo chiamare il “lezionario dei simboli ornativi in scultura” è presente, oltreché nella Venezia dei Lombardo - i quali ne appaiono come le fonti più copiose – anche in Bologna (la Porta Giulia di Palazzo Comunale, 1506), in Urbino (la Cappella del Perdono e gli stipiti delle porte del piano nobile), in altre città e massimamente a Ferrara dove alcuni tópoi si ritrovano in Palazzo Costabili e in diversi monumenti dell’Addizione. A Correggio partiamo dunque da una presenza multipla e quasi perturbante: all’altezza del volto e delle mani del visitatore quattro volti glabri e spiritati gridano a gran bocca; due stanno nei pilastri interni e due in quelli esterni. Si direbbero Erinni esagitate: le due esterne scarmigliate ed alate; le due interne ispidamente radiate e coronate da un violento gettito fogliato. Data l’amabilità generale di tutto l’apparato figurativo esse dovrebbero avere soltanto una potente funzione apotropaica: l’ospite così veniva immunizzato da ogni possibilità negativa e assicurato da tutti gli eventuali malanni.

Le due candelabre interne procedono nobilmente disponendo coppe, fiaccole, aquile, e trovano un termine esculto, di carattere teatrale, nella triade “càntaro o cratere - mascherone - aquila ad ali aperte”. Sui mascheroni, anche cornuti, che troviamo quattro volte nel Portale, possiamo ricordare il loro uso teatrale antico, ma la loro genesi più recente viene dalla scultura romanica ove la critica moderna li chiama green men (apparizioni boschereccie) ma che debbono essere meglio interpretati come “spiriti astanti”, ispiratori e protettori di imprese (due infatti stanno entro una corona). Le sequenze delle paraste esterne sono di maggiori dimensioni e vengono incorniciate totalmente da una ghiera di orbicoli lavorati “a fiore” con l’uso costante e precisissimo di forellini eseguiti “a violino” (il trapano a corde degli scultori), il che diventa un ornato quantomai gradevole. Questi due registri a pendone contengono ad una giusta altezza le targhe frecciate con le parole grandi, incise e piombate, AMICIS 7 FIDEI. Si tratta della dichiarazione di sodale amicizia verso gli alleati e i graditi ospiti, e di sicura fidanza nell’ambito imperiale. Lo scorrimento dei simboli, dall’alto sino all’assicurante grido delle Erinni, è di ampio, dilatato carattere guerresco, interrotto soltanto dai gustosi frutti di una ideale vittoria. Si tratta di armi bianche e di elmi, i cui caratteri non sono affatto da battaglia, bensì da corteo festaiolo, da grandi occasioni e ricevimenti, come s’usava presso le Corti in ricorrenze speciali. Gli elmi “animati”, dotati di ali e desinenti in figurazioni zoomorfe sono tali da suscitare pensieri eccitanti, come i draghi o gli animali insidiosi. A queste trasfigurazioni si prestò Leonardo presso la corte di Milano sospintovi soprattutto, a parer nostro, da quel gran teatrante che fu appunto Nicolò II da Correggio, regista di ogni avvenimento o carnevale. E che Nicolò ne abbia trasportato gli esempi e il clima, con l’aiuto di un ottimo maestro lombardesco, nel “suo” Portale non vi sono dubbi. Rimane questo capolavoro come il più alto esempio di proclama scultoreo-decorativo nell’area adriatica e nel primo decennio del Cinquecento italiano.

Particolare del lato sinistro del Portale del Palazzo dei Principi in Correggio (1507).
Particolare del lato sinistro del Portale del Palazzo dei Principi in Correggio (1507).
Si coglie qui, come in tutte le altre parti, il continuo mirabile lavoro delle piattine e delle unghiette (i piccoli scalpelli) che modellano le superfici e scavano i sottosquadri operando con una sensibilità naturalistica e pittorica di grande arte. In alto lo scudo appuntito è insignito da una “figura chimerica” come spesso accadeva negli apparati dei cortei e dei tornei.
Elmo con drago
Restiamo nella parasta scolpita a sinistra e vediamo nell’alto di questa ripresa lo scudo sovrammesso con la ammirevole invenzione di un monstrum elegantissimo, terrestre-alato-marino (concentrazione di potenze). L’elmo dalle ali remiganti si fregia alla testa di un terribile drago. Sotto l’elmo stanno incrociate una temibile mazza da guerra a testa d’ariete e una bipenne ancipite (a due tagli). Più sotto vediamo la parola AMICIS le cui lettere sono in parte ancora piombate mentre le altre denunciano i continui forellini di fondo che servivano per trattenere il piombo fuso.
Particolare del lato destro del Portale.
Particolare del lato destro del Portale.
Qui sull’alto vediamo la faretra e la doppia scure; sotto gli scudi ancili (stondati) che ricordano l’antico mito di Numa Pompilio nel suo rapporto col Dio Marte: un aggancio in più con la cultura classica. Più in basso l’invenzione, forse davvero leonardesca dell’elmo-topo, quantomai misterioso. Scendendo ecco il mascherone della vittoria e gli altri scudi; e infine, dopo le fiaccole, la conferma epigrafica 7 FIDEI (et Fidei).
Particolare.  La faretra intrecciata con la bipenne e i tutelanti scudi ancili.
Particolare. La faretra intrecciata con la bipenne e i tutelanti scudi ancili.

Nicolò per il Palazzo di Correggio curò anche i capitelli, le vere da pozzo, le cantonarie, ma s’impegnò in modo precipuo per la Porta Magna, quella che alla sommità dello scalone dava adito al Salone d’onore, tutto affrescato, e alle Sale di rappresentanza, anch’esse arredate con soffitti elaboratissimi e fasce dipinte manifestanti vocazioni speciali, come la musica. La Porta Magna, non molto rispettata nei secoli, dovrà essere sottoposta ad uno studio particolare partendo dal suo stesso materiale, il quale – per ora – sembra essere di stucco forte. Di essa ci interessano la forma primitiva e il singolarissimo fregio modellato. L’invito di chiusura è dunque un viaggio a Correggio, con dispute illuminanti.

Note bibliografiche

Bruno Zevi, Biagio Rossetti, architetto ferrarese, Ed. Giulio Einaudi, Torino 1960

G. Adani, A. Ghidini, F. Manenti Valli, Il Palazzo dei Principi in Correggio, Ed. ACRI (Amilcare Pizzi), 1976

Matteo Ceriana (a cura di), Il Camerino di alabastro. Antonio Lombardo e la scultura all’antica, Silvana Editoriale, 2004

A. Guerra, M.M. Morresi, R. Schofield (a cura di), I Lombardo. Architettura e scultura a Venezia, Marsilio, 2006

Un ringraziamento particolare all’amico Giancarlo Garuti, autore di preziose riprese fotografiche.

Rilievo della Porta Magna.
Rilievo della Porta Magna.
Lo schema perfetto, centrato ancora dall’architetto Franca Manenti Valli, conferma la mano, magistrale e mirabile, di Biagio Rossetti. Il genio ferrarese anche qui non smentisce la sua perfetta padronanza della sezione aurea quale “metron” assoluto del suo spirito rinascimentale.
Il fregio dell'architrave della Porta Magna (1505 - 1508).
Il fregio dell’architrave della Porta Magna (1505 - 1508).
Lo stendersi dei rilievi, ritmati dalle coppe onorarie, sfocia in una sorta di epifania eraclèica giocando sui nudi virili. La decifrazione di tale sequenza non è ancora stata data, ma costituisce certamente un testo ermetico e poemico che potrà illuminare la cultura della Corte di Correggio fra le opere dei due cugini: i canti del Boiardo e il teatro di Nicolò.

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L'autore di questo articolo: Giuseppe Adani

Membro dell’Accademia Clementina, monografista del Correggio.





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