A meno di mezz’ora di treno da Vienna si trova Klosterneuburg, centro di medie dimensioni di una rinomata zona vitivinicola, alle porte della capitale austriaca. Qui, nel 1114, venne fondata da Leopoldo III di Babenberg, futuro santo patrono dell’Austria, insieme alla moglie Agnese di Waiblingen, un’abbazia, che dal 1133 sarà retta dai canonici agostiniani. L’imponente edificio, posto su un rilievo che affaccia direttamente sul Danubio, conserva al suo interno uno straordinario manufatto di oreficeria medievale, una di quelle opere che segnano il corso della storia dell’arte. Purtroppo l’opera è visibile soltanto durante una visita guidata e il tempo a disposizione per godere della sua visione è davvero limitato. Quest’opera è conosciuta come altare di Klosterneuburg, ma in origine aveva la funzione di rivestimento di un pulpito all’interno della chiesa abbaziale.
Il 13 settembre 1330 un incendio devastante si sviluppò nella città di Klosterneuburg, coinvolgendo anche l’abbazia: le tavole furono salvate, ma alcuni smalti andarono persi. Il prevosto Stefano di Siedendorf, che si occupò della ricostruzione del convento, commissionò a un’officina orafa viennese sei nuovi smalti per sostituire quelli perduti e in quell’occasione le tavole furono riorganizzate come una pala d’altare con il corpo centrale e le ali laterali. Inoltre, furono aggiunti sul retro quattro grandi dipinti a tempera, oggi conservati con l’originale sostegno in legno separatamente rispetto all’altare. Nel riallestimento barocco della chiesa l’altare fu sistemato nella cappella di San Nicola, all’interno della camera del tesoro e vicino alla tomba del fondatore dell’abbazia. L’attuale posizione, sopra la tomba di San Leopoldo, risale al 1833. Durante la soppressione dei conventi voluta dai nazionalsocialisti nel 1941, l’altare sarebbe dovuto andare a Berlino come gioiello per il progetto del Führermuseum. Tra il 1949 e il 1951 furono sistemate alcune parti mancanti.
Abbazia di Klosterneuburg. Foto Bwag |
La chiesa abbaziale. Foto di Anna Saini |
Nell’iscrizione dedicatoria dell’altare è riportato il nome dell’artista che realizzò quest’opera: “Nicolaus Virdunensis” (“A te, Vergine Maria, Wernher dedica quest’opera fatta da Nicolaus di Verdun). Nicolas de Verdun (Verdun, 1130 circa – Tournai, dopo il 1205) è considerato il punto più alto raggiunto dall’oreficeria mosana. L’area compresa tra i fiumi Reno e Mosa fu infatti un importante centro di produzione orafa per tutto il XII e l’inizio del XIII, in cui diverse personalità si distinsero per le loro creazioni. Verdun era il centro dell’alta Mosa, vicino alle città di Metz, in cui era fiorente la produzione di manufatti in avorio, e di Reims, che era stata uno dei centri più importanti dell’arte carolingia, in particolare per la miniatura.
Nicolas de Verdun è uno dei maggiori artisti del Medioevo, una delle figure fondamentali per comprendere la cosiddetta svolta classicista dell’arte occidentale tra la fine del XII e l’inizio del XIII, che la critica ha poi indicato come “stile 1200”. All’orafo mosano vengono attribuite soltanto tre opere: l’altare per Klosterneuburg (firmato), il reliquiario di Tournai e il reliquiario dei Magi, conservato nel Duomo di Colonia.
Il manufatto realizzato per Klosterneuburg consiste in tre tavole orientate orizzontalmente decorate da 51 smalti champlevé, tecnica che prevede che l’alveolo in cui verrà stesa la pasta vitrea venga scavato direttamente nella lamina metallica. In questo specifico caso, si può parlare di smalti champlevé a figure risparmiate su fondo dorato smaltato. La scelta di utilizzare uno smalto blu per il fondo delle scene mette ancora più in evidenza le figure risparmiate dal metallo. Si può osservare come in questi smalti sia stata fatta una scelta cromatica molto armoniosa, che prevede l’utilizzo di una gamma di colori limitata ma equilibrata, con la predominanza di blu, azzurro e rosso, mentre nelle cornici sono presenti anche altri colori. Il fondo del motivo decorativo architettonico a doppia colonnina inserito a dividere le varie scene, è stato realizzato mescolando vari smalti per ottenere un effetto marmorizzato. Anche le varie iscrizioni e scritte esplicative presenti in quest’opera sono ottenute scavando la lamina metallica e riempiendo l’alveolo con uno smalto nero.
Nicolas de Verdun, Altare di Klosterneuburg (1181; bronzo dorato e smalto; Klosterneuburg, chiesa abbaziale) |
Altare di Klosterneuburg, scomparto sinistro |
Altare di Klosterneuburg, dettagli |
Altare di Klosterneuburg, dettaglio con Mosè sul Sinai |
Altare di Klosterneuburg, dettaglio con Ultima cena e Cattura di Cristo |
Altare di Klosterneuburg, dettaglio con gli esploratori e l’uva |
Altare di Klosterneuburg, dettaglio con il mare di bronzo |
Il programma iconografico è una panoramica sul progetto di salvezza divina. Ci troviamo infatti di fronte a un ciclo tipologico, in cui vengono rese esplicite le corrispondenze tra episodi tratti dall’Antico e dal Nuovo Testamento. La zona superiore illustra scene ante Legem, ovvero prima della legge mosaica, e comprende il periodo dalla Creazione a Mosè. La zona più in basso è invece quella sub Legem e indica lo spazio di tempo compreso tra la consegna delle tavole della Legge a Mosè sul monte Sinai fino alla conclusione degli eventi presenti nell’Antico Testamento. In questo periodo la rivelazione divina rimane limitata al popolo d’Israele. Infine, la zona centrale illustra il periodo sub Gratia, l’età messianica in cui viviamo ancora oggi,in cui gli esempi veterotestamentari trovano compimento nella Nuova Alleanza. Gli episodi, messi in parallelo, sono da leggersi verticalmente.
Dal punto di vista stilistico quest’opera presenta grandi novità:è la testimonianza di un importante vento di rinnovamento nell’arte continentale e si può osservare un’evoluzione stilistica tra le prime storie e le ultime. Già dall’impianto generale delle tavole si percepisce la tendenza classicheggiante della scuola mosana, che vede in Nicolas de Verdun il suo trionfale epilogo. L’inquadramento delle scene è pienamente portatore di questo recupero classico, che nelle scene si declina nel ritorno al naturalismo di quanto viene raffigurato. Queste figure hanno una nuova naturalezza nei loro gesti e nei loro atteggiamenti e hanno libertà nei loro movimenti, precorrendo esiti della scultura del secolo successivo. Ad esempio, la regina di Saba con il suo hanchement presenta una soluzione che diventerà un tratto distintivo di una parte della statuaria gotica. In alcuni casi, si può notare come le figure oltrepassino le cornici entro cui sono inserite, dimostrando dunque una grande libertà anche rispetto alla componente spaziale. Sotto ai panneggi dei personaggi biblici raffigurati i corpi hanno una propria solida volumetria. Roberto Longhi, nel suo Giudizio sul Duecento, a proposito di questi smalti che riconosce come un apice della pittura medievale, parla di “pura violenza” ed “energica desolazione”, di uno stile che rompe con la tradizione precedente. Il XIII secolo vedrà proprio una nuova attenzione per la natura che fino a quel momento era stata dimenticata.
L’area della Mosa, luogo fiorente per l’attività di orafi e smaltisti, nel corso del XII secolo presentava già una tradizione classicheggiante che spezzava con la tradizione romanica, in cui era prevalente la stilizzazione delle figure. Nicolas non deve essere rimasto indifferente a un’opera come il fonte battesimale della chiesa di San Bartolomeo a Liegi realizzato dall’orafo Renier de Huy. La vasca bronzea, sopra la cui superficie sono raffigurati il Battesimo di Cristo e altri quattro episodi legati al rito battesimale, appoggiava su dodici protomi di tori (oggi due sono andate perdute), caratterizzate da uno spiccato realismo. Questo particolare si mette in fecondo confronto con lo smalto dell’altare raffigurante l’episodio del Mare di bronzo, in riferimento al bacino lustrale richiesto da re Salomone e dettagliatamente descritto nella Bibbia: la vasca circolare era infatti sorretta da dodici figure di tori. Altre due probabili influenze stilistiche riguardano due centri, equidistanti da Verdun, già precedentemente citati, che erano stati al centro della rinascita carolingia: Metz, rinomata per la produzione di avori, e Reims, che si distinse in particolare per la miniatura.
Renier de Huy, Vasca battesimale (1107-1118; bronzo; Liegi, San Bartolomeo) |
Nel titolo dedicatorio è indicata anche la data di termine dell’opera, 1181, ma possiamo ipotizzare che ci vollero diversi anni per portarla a compimento. Bisogna inoltre osservare che nel territorio intorno a Klosterneuburg non si sviluppano episodi artistici influenzati da quest’opera: si può ipotizzare dunque che Nicolas non avesse qui bottega.
Se l’altare è considerato un’opera a carattere pittorico, nel Dreikönigenschrein, il reliquiario dei Magi conservato nel Duomo di Colonia, predomina sicuramente l’aspetto scultoreo. Quest’opera non è firmata né sono conosciute, almeno fino ad oggi, attestazioni documentarie in riferimento a Nicolas de Verdun: l’opera viene a lui accostata, infatti, per profonde motivazioni stilistiche. La rottura con la precedente tradizione figurativa che già era visibile nel manufatto realizzato per Klosterneuburg è qui ancora più esplicita. Questa sontuosa cassa-reliquiario, è stata concepita come una micro-architettura secondo un modello diffuso in area mosana: nello specifico di quest’opera, ci troviamo davanti a una basilica a tre navate con facciata a doppio ordine. Sui lati, all’interno di archi trilobati al primo livello e a tutto sesto al secondo, sono inserite delle piccole sculture di incredibile fattura raffiguranti profeti, patriarchi e apostoli. Sembra di vedere trasposte tridimensionalmente alcune figure dell’altare: queste sculture sono scosse da una nuova energia, da un nuovo fremito che le agita conferendole vitalità. È ancora più evidente come Nicolas raggiunga soluzioni in anticipo rispetto agli esiti della scultura dei decenni successivi, come ad esempio certe sculture di Chartres e Reims.
Nicolas de Verdun, Reliquiario dei Magi (fine del XII-inizio del XIII secolo; legno di quercia, oro, argenzo, rame, smalto, gioielli, 115 x 112 x 224 cm; Colonia, Duomo) |
Dettaglio del reliquiario dei Magi |
Il fronte del reliquiario dei Magi |
Il reliquiario dei Magi nel Duomo di Colonia. Foto di Raimond Spekking |
Se l’aspetto plastico è quello che può colpire maggiormente, non bisogna tralasciare la complessità tecnica di un’opera del genere, in cui gli orafi che vi lavorarono dimostrarono la loro grande competenza e abilità utilizzando diverse tecniche proprie dell’oreficeria ma anche della scultura: vi si possono riconoscere smalti, pietre dure semipreziose e anche cammei. La cronologia di quest’opera è dibattuta e molto incerta. Nel 1164 l’imperatore Federico I Barbarossa conquistò e saccheggiò Milano: in quell’occasione l’arcivescovo di Colonia, Rainaldo di Dassel, portò via dal sarcofago dove erano conservate le presunte reliquie dei Magi nella Basilica di Sant’Eustorgio. Dopo il 1198, anno della sua incoronazione, l’imperatore Ottone IV donò per la realizzazione di questo reliquiario oro e gemme: il sovrano si fece raffigurare sulla parte frontale del reliquiario. L’intervento di Nicolas è sicuro nelle sculture del livello inferiore ed è forse da ricondurre a lui l’intero progetto, che vede tuttavia una cronologia dilatata nel tempo e probabilmente l’intervento di diverse mani.
Nicolas de Verdun, Reliquiario di Tournai (1205; Tournai, Notre-Dame) |
È accostato all’orafo mosano anche il reliquiario di Notre-Dame a Tournai: in questo caso esiste un’iscrizione, anche se copia ottocentesca, che indica il nome dell’artista e la cronologia di quest’opera (1205). A Tournai ci troviamo di fronte a una cassa rettangolare con copertura a spioventi, in cui l’impostazione classicheggiante è ben riconoscibile.
È nel campo dell’oreficeria, che in questo momento è l’arte guida, che si prepara il terreno per l’avvento dello stile gotico, attraverso questo stile intermediario, conosciuto come “stile 1200”, di cui Nicolas de Verdun risulta essere il principale e più precoce interprete. Nicolas non fu soltanto un orafo, ma fu in grado con le sue straordinarie doti artistiche di competere con i pittori e gli scultori dell’epoca, e deve essere considerato come uno dei massimi geni dell’arte medievale occidentale.
L'autrice di questo articolo: Francesca Interguglielmi
Storica dell'arte, laureata in Arte Medievale presso l'Università degli Studi di Siena. Attualmente si sta formando in didattica museale presso l'Università degli Studi Roma Tre.