Costruire la città ideale in pieno Rinascimento è un progetto a dir poco ambizioso, seppur la grande passione per le arti e le alte conoscenze intellettuali di un uomo, uno dei più grandi mecenati del suo tempo, avessero reso possibile questo sogno, a Pienza. Siamo nel febbraio del 1459 e, in occasione di un viaggio da Roma a Mantova, papa Pio II, al secolo Enea Silvio Piccolomini (Corsignano, 1405 – Ancona, 1464), passò per il borgo che gli aveva dato i natali più di cinquant’anni prima, Corsignano, antico borgo della val d’Orcia, e lo vide in condizioni così sofferte e soprattutto così confusionarie dal punto di vista architettonico che decise di rendere il suo paese natale una città moderna, con l’aiuto di due dei migliori architetti dell’epoca: Bernardo Rossellino e il suo maestro Leon Battista Alberti. Con lui infatti, già in quel viaggio che lo conduceva dalla città pontificia a Mantova, dove lui stesso aveva convocato il famoso concilio con l’obiettivo che tutti i sovrani d’Europa si unissero contro gli Ottomani che avevano preso Costantinopoli nel 1453, in una spedizione contro il comune nemico della cristianità, vi erano i due architetti.
Pio II si circondava spesso dei personaggi della cultura del suo tempo, tra artisti, architetti, letterati, data la sua forte predilezione per la cultura umanistica, in lui innata e coltivata non solo durante il suo pontificato, ma anche nella sua “vita” precedente, prima di salire al soglio pontificio: amava leggere, scrivere, viaggiare, conoscere. Fu per così dire un papa fuori dall’ordinario, poiché intraprese la carriera ecclesiastica tutt’altro che in giovane età, come invece accadeva solitamente nelle famiglie più illustri (ne è esempio emblematico la famiglia Medici), che vedevano la carriera ecclesiastica come l’ingresso nel grande mondo del potere, specialmente se poi sfociava nel suo culmine, il pontificato. Al contrario della consuetudine, Enea Silvio Piccolomini decise autonomamente di dedicarsi alla vita religiosa in età matura: fu ordinato sacerdote a quarant’anni, diventò poi rapidamente vescovo di Trieste nel 1447, nel 1449 vescovo di Siena, cardinale nel 1456 e due anni dopo salì al soglio pontificio con il nome di Pio II. La scelta di questo nome si deve in parte al rimando al suo predecessore Pio I, ma soprattutto al riferimento colto all’Eneide, a quel “pius Aeneas” protagonista del poema virgiliano, portatore delle supreme virtù religiose e morali, che il neo pontefice conosceva molto bene. Con questo nome desiderava omaggiare quindi la letteratura e la cultura umanistica, legandole strettamente per sempre a se stesso. E lo stesso fece con il suo borgo natale, Corsignano, trasformato nella città ideale del Rinascimento, a cui diede il nome di Pienza, dunque letteralmente città di Pio.
Enea Silvio Piccolomini apparteneva a un’importante famiglia senese da tempo decaduta, i suoi avi erano considerati membri di una delle quattro famiglie più importanti di Siena; era figlio di Silvio Piccolomini, che quando nel 1404 Siena si ribellò al controllo milanese e venne costituito il governo dei Nove al quale non presero più parte i nobili, decise di lasciare la città per stabilirsi in una proprietà che possedeva a Corsignano, dove assunse quasi tutti i lavori dei campi, e di Vittoria Forteguerri, appartenente alla nobile e decaduta famiglia di origini pistoiesi. Della vita di Enea nell’antico borgo, in cui trascorse i suoi primi diciotto anni di esistenza, non si sa molto. Si sa tuttavia che la sua intelligenza non passò inosservata né al padre né al parroco e che dimostrò memoria e prontezza nell’apprendere le prime nozioni di grammatica; nonostante fosse costretto dalle necessità ai lavoro dei campi, Enea si dedicava con molta diligenza in ogni momento libero della giornata allo studio delle lettere. Probabilmente quindi i primi stimoli allo studio li ricevette da suo padre. Fu mandato poi a studiare diritto a Siena, ma nonostante ciò lui si rivolgeva sempre e comunque allo studio dei classici greci e latini, quindi a Platone, Cicerone, Seneca; infine dal 1429 cominciò a intraprendere gli studi a Firenze, dove ebbe l’opportunità di confrontarsi con importanti umanisti come Francesco Filelfo, Leonardo Bruni e Poggio Bracciolini. Mosso da questo influsso letterario, Enea Silvio cominciò a scrivere componimenti: risalgono a questo periodo giovanile le elegie Ad Cynthiam, una raccolta di liriche amorose di matrice classicheggiante dedicata alla donna amata dal poeta latino Properzio, e il carme latino Nymphilexis.
Dopo aver accettato l’incarico nel 1431 di segretario del cardinale Domenico Capranica al Concilio di Basilea, nel 1442 entrò alla corte dell’imperatore Federico III d’Asburgo, che lo laureò poeta; per lui scrisse la novella Historia de duobus amantibus, romanzo epistolare con tratti sensuali ed erotici che racconta la storia d’amore tra Lucrezia ed Eurialo, quest’ultimo identificato probabilmente con il cancelliere imperiale Schlik, amico e protettore di Enea Silvio alla corte imperiale viennese. Risalgono a questo periodo anche la commedia Chrisis, in cui personaggi delle scene raccontate in stile goliardico sono chierici e cortigiane, il De curialium miseriis e il De ortu et Romani auctoritate Imperii, quest’ultimo considerato un vero manifesto politico-ideologico in forma epistolare in cui Enea Silvio si rivolge a Federico III sottolineando la pienezza del potere dell’imperatore nella sfera temporale. Successivamente portò a compimento la Historia Rerum Friderici III Imperatoris, raccontando in modo preciso e dettagliato la vita di Federico III nel contesto storico dell’epoca, e iniziò il De Europa, trattato geopolitico, e la Cosmographia, un trattato rimasto incompiuto di natura astronomica.
Tra i suoi scritti più famosi si conta poi la lettera del 1461 a Maometto II, sultano dell’Impero ottomano che nel 1453 conquistò Costantinopoli. Nella lettera, il papa invitava il sultano a convertirsi al Cristianesimo e quindi alla pace: “[...] ti converti al Cristianesimo e accetti la fede del Vangelo. Se farai questo, non ci sarà sulla faccia della terra alcun principe che ti superi nella gloria o possa uguagliarti nella potenza. Ti nomineremo imperatore dei Greci e dell’Oriente, e ciò che ora tu hai occupato con la forza, e ingiustamente detieni, sarà allora tuo possedimento di diritto. Tutti i cristiani ti onoreranno e faranno di te l’arbitro delle loro divergenze. Tutti gli oppressi si rifugeranno presso di te come presso il loro comune protettore; da quasi tutti i paesi della terra ci si rivolgerà a te [...] E la Chiesa di Roma non si opporrà, se tu camminerai sul retto sentiero”. Tuttavia la sua impresa letteraria più grande può essere considerata i Commentarii rerum memorabilium, quae temporibus suis contigerunt, un’autobiografia in dodici libri che concluse nel 1463, nella quale raccontò la sua vita, il suo operato da pontefice, il suo intento anche politico di invitare i cristiani a riscoprire la propria fede e a lottare contro l’Impero Ottomano, inserendovi inoltre descrizioni di paesi e di usi e costumi, i suoi viaggi, i personaggi che aveva incontrato lungo il suo cammino di vita, offrendo dunque un ampio affresco della società del suo tempo. Furono molto pochi i letterati direttamente sovvenzionati da papa Pio II: tra questi, Giovanni Antonio Campano, suo poeta aulico e biografo, e Francesco Patrizi, suo amico personale, ma stimò molto anche Flavio Biondo, il quale gli dedicò la sua Roma Triumphans.
Per quanto riguarda le arti, come detto, si deve a Enea Silvio Piccolomini, o meglio a Pio II, il completo rinnovamento, compresa la denominazione, di Pienza. Fu probabilmente Leon Battista Alberti, tra i più grandi architetti del Rinascimento, a suggerire di adattare le nuove strutture rinascimentali a quelle già presenti e di mantenere l’antico asse viario, ovvero l’attuale corso Rossellino, lungo il quale sono disposti gli eleganti edifici rinascimentali. La novità fu la piazza, pensata per offrire all’osservatore due vedute diverse a seconda dell’ingresso, realizzando, anziché un unico accesso frontale, due accessi laterali. La trasformazione urbanistica suggerita, che poi venne compiuta in soli tre anni, dal 1459 al 1462, da Bernardo di Matteo Gambarelli detto il Rossellino, seguiva un modello prestabilito, quello di una città ideale del Rinascimento, costruito sulla base delle regole della cultura umanistica, quali la prospettiva, il gusto e l’eleganza. Emblematica nel rispetto della regole prospettiche è proprio l’attuale piazza Pio II, a forma trapezoidale, con il lastricato suddiviso in grandi rettangoli separati da listoni di travertino. Ai lati risulta racchiusa dalla facciata in travertino del Duomo, che riprende quella del Tempio Malatestiano di Rimini, e quindi albertiana, sul modello delle Hallenkirchen tedesche che Pio II aveva visto nei suoi lunghi viaggi nell’Europa settentrionale; l’interno a tre navate divise da pilastri e cappelle presenta tavole realizzate da alcuni dei maggiori artisti della scuola senese del Rinascimento, quali Matteo di Giovanni, Sano di Pietro, Giovanni di Paolo, il Vecchietta, su cui lo stesso pontefice diede disposizioni: le cornici non dovevano essere elaborate, le opere non dovevano essere divise in scomparti, ma le figure dovevano essere concentrate in un unico spazio, e soprattutto dovevano essere tutte tavole, nessun affresco.
Sulla destra della piazza il Palazzo Piccolomini, in arenaria e travertino, per il quale Rossellino prese a modello Palazzo Rucellai a Firenze. Il suo giardino pensile è il primo del Rinascimento e da qui si apre un meraviglioso panorama sulla Val d’Orcia e il Monte Amiata, divenendo così in ottica umanistica luogo di contemplazione e di meditazione. Sulla sinistra il Palazzo Vescovile, oggi Palazzo Borgia, donato da Pio II al cardinale Rodrigo Borgia (il futuro papa Alessandro VI), suo più stretto collaboratore. Al suo interno, tra le numerose opere custodite (ha qui sede il Museo Diocesano), si conserva il prezioso piviale di Pio II, paramento di manifattura inglese istoriato con gli episodi delle vite della Vergine, di santa Margherita d’Antiochia e di santa Caterina d’Alessandria, e completamente ricamato con sete policrome e filo d’argento dorato. Di fronte al Duomo vi è invece il Palazzo Pretorio, la cui loggia e la sua torre ci guidano verso il corso, dove s’incontrano sobri palazzi rinascimentali anch’essi parte del progetto di trasformazione della città. Un rinnovamento a regola d’arte e prospettiva che ancora oggi rappresenta un unicum, strabiliante se si pensa che venne compiuto nel quindicesimo secolo a seguito della volontà di un papa.
La storia della vita di Pio II è stata raccontata per immagini e costituisce ancora oggi uno dei più grandi capolavori dell’intera storia dell’arte da Bernardino di Betto Betti, detto il Pinturicchio, e dalla sua bottega (tra cui il giovane Raffaello), che dal 1503 al 1508 affrescò dieci episodi della vita del pontefice nell’ambiente attiguo al Duomo di Siena, che prese il nome di Libreria Piccolomini. L’ambiente fu progettato attorno al 1492 dal cardinale Francesco Todeschini Piccolomini, arcivescovo di Siena e futuro papa Pio III, per onorare la memoria dello zio materno Enea Silvio Piccolomini e riunire qui il ricco patrimonio librario che quest’ultimo aveva racolto quando era a Roma. A questo scopo, il cardinale Todeschini, ispirato dalla tradizione francese che annetteva spesso le biblioteche alle cattedrali e dall’apertura della Biblioteca Vaticana di Sisto IV, volle realizzare proprio una biblioteca nei locali della vecchia canonica del Duomo senese, ma alla fine i libri non lasciarono mai Roma.
Riferimenti fondamentali per la realizzazione delle singole scene affrescate furono La Vita di Pio II scritta da Giovanni Antonio Campano, che fu prima segretario di Enea Silvio Piccolomini e poi del nipote Francesco Tedeschini, e i Commentarii scritti dallo stesso pontefice in dodici libri. Quattro scene raccontano Enea Silvio giovane, dalla partenza per il Concilio di Basilea all’incoronazione come poeta da parte di Federico III, la riconciliazione con Eugenio IV e la nomina a vescovo; altre due scene lo raffigurano nell’incontro tra Federico III ed Eleonora di Portogallo e la successiva nomina a cardinale; e infine, le ultime quattro scene che vedono Enea Silvio papa con l’entrata in Vaticano, la convocazione del concilio di Mantova, la canonizzazione di Santa Caterina da Siena, e l’arrivo ad Ancona, dove il pontefice muore nel 1464.
Quella di Enea Silvio Piccolomini è la vicenda singolare di un uomo che non ha mai tradito, nel corso della sua esistenza, la sua innata e forte passione per la cultura umanistica, passando così alla storia come uno dei più grandi mecenati del Rinascimento italiano.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.