Il Fondo Imbriani, tra canzone popolare napoletana e carteggi del grande letterato


La Biblioteca Universitaria di Napoli conserva, tra i suoi tesori, il Fondo Imbriani, ovvero la raccolta di volumi del grande letterato Vittorio Imbriani: tra i tanti, particolarmente preziosa è la sezione della letteratura popolare napoletana. 

Vittorio Imbriani (Napoli, 1840 - 1886) è stato uno degli esponenti più importanti della cultura napoletana dell’Ottocento. Nato da Paolo Emilio Imbriani e Carlotta Poerio, quest’ultima sorella del poeta risorgimentale Alessandro, visse la sua giovinezza tra Nizza, Torino e Zurigo (seguì infatti gli spostamenti del padre, costretto all’esilio per i suoi pensieri politici), studiando in Svizzera letteratura italiana (e in particolare Petrarca) con Francesco De Sanctis, per poi trasferirsi nel 1860 a Berlino dove ebbe modo di studiare il pensiero di Hegel. Tornato a Napoli nel 1861, cominciò a insegnare estetica nella sua città natale e poco dopo, nel 1866, si arruolò e partecipò alla terza guerra d’indipendenza: fu catturato durante la battaglia di Bezzecca e spedito come prigioniero di guerra in Croazia. Riuscì a tornare pochi mesi dopo a Napoli dove, nel 1872, avrebbe fondato il Giornale napoletano di filosofia e lettere: dopo il matrimonio a Milano nel 1878 con Luigia Rosnati iniziò a sviluppare i segni di una malattia del midollo spinale che lo avrebbe portato dapprima alla paralisi e poi alla scomparsa. La più importante eredità di Imbriani è conservata alla Biblioteca Universitaria di Napoli, dove si trova il Legato Imbriani, che raduna 5.018 opere, 1.190 opuscoli e 583 carte sciolte: all’interno della collezione si trovano opere scritte ma anche consultate da Imbriani. Tra queste ultime figurano anche edizioni rare, cinquecentine, guide turistiche, collane di classici, atlanti, testi di medicina, di scienze, di arte e archeologia, oltre che, naturalmente, di letteratura (il fondo conta anche diverse edizioni della Divina Commedia).

Il legato giunse alla Biblioteca della Regia Università, come allora si chiamava la Biblioteca Universitaria, il 20 novembre del 1891 per decisione della vedova Luigia Rosnati, che con tutta probabilità assecondò le volontà del marito e avanzò all’istituto la proposta di acquisire in blocco la libreria di Vittorio Imbriani: così facendo si evitò, ha scritto lo studioso Vincenzo Trombetta, la dispersione “di una risorsa di consistente valore economico che - venduta a famelici librai o a facoltosi collezionisti - pure avrebbe contribuito ad alimentare il certamente non florido stato economico della famiglia”. Poche le condizioni poste da Luigia Rosnati: la libreria avrebbe dovuto essere accolta in una sala riservata, intitolata al marito, e che vedesse la presenza di un suo busto, che fu realizzato in bronzo da uno dei maggiori artisti del tempo, Achille d’Orsi (Napoli, 1845 - 1929), tra i principali protagonisti della scultura verista (oggi il busto si ammira nel Salone Monumentale della Biblioteca). E ancora, si legge nell’atto di donazione che “I libri...non dovranno per qualsiasi ragione scindersi e confondersi con gli altri della Biblioteca, ma in ogni evento anche di mutamento di sede, dovranno costituire un fondo a parte col titolo: Fondo Imbriani”.

La parte forse più preziosa del Legato Imbriani è quella che riguarda la letteratura popolare, di cui lo scrittore e patriota fu un grande studioso: tra le sue opere figurano infatti raccolte di fiabe e novelle che la tradizione napoletana tramandava per via orale, come La novellaja fiorentina pubblicata a Napoli nel 1871, i Canti popolari delle provincie meridionali edito da Loescher tra il 1871 e il 1872 e i XII conti pomiglianesi, usciti a Napoli nel 1877. Da menzionare, poi, i fogli con le canzoni popolari napoletane che venivano stampati nella città sul golfo tra il Sette e l’Ottocento: si tratta di canti della tradizione (per esempio ballate, tarantelle, villanelle, farse, frottole), spesso adattati e trascritti su partiture, con tanto di illustrazioni. È per esempio il caso di Lo cardillo ’nnammorato, o di Don Ciccillo co’ lo parapalle di Antonio Tasso, il cui titolo fa riferimento al cappello indossato dai liberali napoletani come simbolo di protesta contro il governo borbonico, o ancora de Lo guarracino pubblicata in un anno imprecisato dell’Ottocento dalla Stamperia De Marco: quest’ultima è una delle più note tarantelle napoletane, di origine settecentesca, e parla di un pesce, il “guarracino” appunto, ovvero la castagnola nera, che offre l’occasione di elencare una serie di pesci e molluschi che cantano e ballano nelle acque del golfo di Napoli.

Copia legale della donazione Imbriani
Copia legale della donazione Imbriani
Lo cardillo 'nnammorato
Lo cardillo ’nnammorato
Lo guarracino
Lo guarracino
Don Ciccillo co' lo parapalle
Don Ciccillo co’ lo parapalle

Di conseguenza, Imbriani era in possesso di numerosi testi di letteratura popolare, una collezione composta da 600 documenti che, spiega la Biblioteca Universitaria di Napoli, “rappresentano delle straordinarie testimonianze a stampa della cultura delle classi umili, spesso tramandata solo per tradizione orale. Va riconosciuto a Vittorio Imbriani il grande merito di aver restituito dignità a questo tipo di letteratura ‘minore&rquo; che analizza un mondo ai margini della società e che oggi è scomparso: i mille mestieri praticati a Napoli assurgono ad arte - non solo quella di arrangiarsi per sbarcare il lunario, con onestà e con dignità - ma anche ad autentica cultura identitaria”.

La letteratura popolare circolava su testi che uscivano dalle stamperie del centro storico (situate per lo più tra via San Biagio dei Librai, via San Gregorio Armeno, via dei Girolamini e immediate vicinanze), che avevano conosciuto una vasta diffusione grazie anche all’accessibilità di questi prodotti: erano infatti stampati su carta di scarsa qualità, i libercoli spesso non venivano rifilati, e le bozze erano corrette alla bell’e meglio, e le stesse illustrazioni erano modeste e realizzate da artigiani con qualche velleità artistica. Opuscoli e libretti erano venduti a poco prezzo per le strade e negli androni dei palazzi. Si tratta ad ogni modo di opere che documentano una cultura popolare le cui origini si perdono nella notte dei tempi, e molta parte della quale probabilmente non sarebbe sopravvissuta senza questa cospicua produzione. Imbriani raccolse parte dei suoi libretti con canzoni, poesie, inni, giochi e vignette classificandoli per genere in un album intitolato Libretti popolari. Storie e canzoni di Napoli dove i libretti sono catalogati come “briganteschi, storici, romanzeschi, di giuochi, biblici, cristologici-evangelici, partenografici, agiografici, leggendari, escatologici, catarmologici, pedagogici e morali, di contrasti e faceti”.

Il Fondo Imbriani conserva anche il copioso carteggio del letterato, comprendente 774 lettere che vanno dal 1861 al 1882, e grazie al quale è possibile studiare a fondo, oltre alle relazioni intrattenute con gli intellettuali del tempo, anche la sua indole, la sua personalità, le sue passioni: ne emerge, spiega la Biblioteca, “un intellettuale, dal carattere irruente, dal piglio deciso, sempre al centro di feroci dispute, di battaglie letterarie, politiche ed anche giornalistiche”. Tra gli scambi più interessanti figurano quelli con Antonio Casetti, che come Imbriani era studioso del folklore napoletano e che collaborò con lui per rintracciare le canzoni napoletane, quelli con il pittore Filippo Palizzi e il critico d’arte Saro Cucinotta grazie ai quali è stato possibile ricostruire l’interesse di Imbriani per l’arte, e ancora la lettera di Enea Piccolomini, erudito ed esperto filologo di letteratura greca, che svolse interessanti studi sulla Biblioteca Medicea, e quelle della scrittrice tedesca Ludmilla Assing, che conobbe Imbriani negli anni di Berlino. Il carteggio conserva anche una lettera di Edmondo De Amicis in cui si parla di questioni d’onore tra giornalisti.

Di recente, una parte del Fondo Imbriani è digitalizzata e si può consultare su Internet Culturale, cataloghi e collezioni digitali delle biblioteche Italiane. Il materiale è stato poi ulteriormente valorizzato, nel maggio del 2021, con una mostra in biblioteca intitolata Il Fondo Vittorio Imbriani della Biblioteca Universitaria di Napoli. I libretti popolari e il carteggio di un “misantropo napolitano”, tradotta poi in forma virtuale sulla piattaforma MOVIO.

Lettera di Saro Cucinotta
Lettera di Saro Cucinotta
Lettera di Edmondo De Amicis
Lettera di Edmondo De Amicis

La Biblioteca Universitaria di Napoli

Le origini della Biblioteca Universitaria di Napoli (BUN) risalgono al Seicento, quando il viceré di Napoli, Pedro Fernández de Castro, conte di Lemos, varò una riforma degli studi universitari che diede l’impulso all’apertura della biblioteca d’ateneo: la libreria fu istituita il 30 novembre del 1616, un anno dopo l’apertura del nuovo Palazzo degli Studi, dove anche la biblioteca aveva trovato sede. In seguito, la biblioteca, nel 1777, fu spostata al Collegio Massimo dei Gesuiti al Salvatore, e agli inizi dell’Ottocento, con la soppressione degli ordini monastici decretata in età napoleonica, si arricchì di numerosi volumi provenienti dalle biblioteche dei monasteri. Dopo la Restaurazione e il ritorno dei Borbone sul trono di Napoli, la biblioteca rinacque il 4 dicembre del 1816 come Biblioteca dei Regi Studi, istituita con un decreto del re Ferdinando IV di Borbone: sarebbe stata aperta al pubblico poco dopo, nel 1827. Ulteriori arricchimenti delle raccolte si registrano dopo l’Unità d’Italia, quando entrano numerosi fondi scientifici, la collezione dantesca donata nel 1872 da Alfonso della Valle di Casanova, e lo stesso Fondo Imbriani giunto alla Biblioteca nel 1891. Danneggiata durante la seconda guerra mondiale (durante il conflitto andarono perse alcune preziose cinquecentine) e restaurata dopo il terremoto dell’Irpinia del 1980, la Biblioteca ha asede ancora oggi nell’ex collegio dei Gesuiti, in un luogo carico di storia: basti pensare che l’attuale sala di lettura ospitò, nel 1848, la prima assemblea del parlamento partenopeo dopo la rivoluzione del 1848.

Oggi, il patrimonio della Biblioteca Universitaria di Napoli conta su circa un milione di libri, a cui si aggiungono 148 manoscritti (di particolare rilevanza le Imprese ovvero Stemme delle famiglie italiane di Gaetano Montefuscoli, uno dei più preziosi manoscritti della BUN), 464 incunaboli (tra i quali spiccano il Lattanzio Sublacense del 1465, l’Esopo napoletano edito da Francesco del Tuppo nel 1485, e un’edizione della Divina Commedia illustrata da Sandro Botticelli, edita nel 1481, oltre alla prima edizione in greco di Omero, stampata a Firenze nel 1488), e circa 4.000 cinquecentine. La BUN possiede anche 300 bodoniane tra cui una rarissima copia degli Scherzi poetici e pittorici di Giovanni Gherardo De Rossi, un esemplare in carta celestina della Faoniade di Vincenzo Imperiali, non registrata in alcun repertorio, una Aminta di Torquato Tasso del 1789. Di particolare pregio anche la collezione dantesca donata nel 1872 da Alfonso Della Valle di Casanova, che raccoglie anche una stampa napoletana della Commedia del 1477 e la prima edizione degli Accademici della Crusca risalente al 1595. Tra le collezioni scientifiche spiccano la sezione dei periodici tedeschi di medicina, composta da circa 70 titoli, e i lasciti di diversi docenti dell’ateneo napoletano come Filippo e Carlo Cassola e Raffaele Napoli (chimica), Oronzo Gabriele Costa (paleontologia), Filippo De Filippi e Francesco Briganti (scienze naturali) e le due raccolte di opuscoli di anatomia comparata del Fondo Panceri e di matematica del Fondo Battaglini.

La Biblioteca Universitaria di Napoli
La Biblioteca Universitaria di Napoli

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