Il Danteum di Terragni e Lingeri: il visionario tentativo di tradurre Dante in architettura


Nel 1938, i due grandi architetti Giuseppe Terragni e Pietro Lingeri progettarono, su incarico del regime fascista, il Danteum: un visionario edificio che voleva tradurre Dante in architettura. Non vide mai la luce, ma è diventato comunque un'icona del modernismo italiano.

Un “grandioso monumento, pensato per via dei Fori Imperiali a Roma e mai realizzato”, che “doveva essere la metafora dell’opera dell’Alighieri”: con queste parole, Luigi Gallo, direttore della Galleria Nazionale delle Marche di Urbino e curatore, assieme a Luca Molinari e Federica Rasenti, della mostra Città di Dio. Città degli Uomini. Architetture dantesche e utopie urbane (alla Galleria Nazionale delle Marche dal 26 novembre 2021 al 27 marzo 2022) sintetizza in breve il progetto del Danteum, il sontuoso edificio ideato dagli architetti Pietro Lingeri (Bolvedro, 1894 - 1968) e Giuseppe Terragni (Meda, 1904 - 1943) per celebrare Dante Alighieri, e che però mai sarebbe sorto.

L’idea era venuta a Rino Valdameri, direttore dell’Accademia di Brera nonché presidente della Società Dantesca Italiana, che la propose nel novembre del 1938 al governo Mussolini. Per il Danteum era stato anche individuato il luogo, un appezzamento di terreno lungo l’allora via dell’Impero (oggi in via dei Fori Imperiali), che era già stato individuato per il concorso del Palazzo Littorio del 1934. La scelta del luogo era strategica: il Danteum sarebbe infatti stato edificato nei pressi degli edifici della Roma antica e della Roma medievale, ponendosi, scrive ancora Luigi Gallo, “come cardine simbolico fra passato e presente”. Benito Mussolini espresse apprezzamento per il progetto, che anche nella forma avrebbe dovuto richiamare la Divina Commedia, con ambienti ispirati alle tre cantiche (Inferno, Purgatorio e Paradiso) sistemati lungo un percorso elicoidale ascendente, e modellati dall’uso poetico della luce, attraverso materiali che avrebbero dovuto esaltare la natura, la funzione e le suggestioni dei singoli locali (per esempio, per il Paradiso, Lingeri e Terragni avevano immaginato una copertura trasparente sostenuta da colonne di cristallo). La stessa pianta, fondata sul Rettangolo Aureo, si ispirava all’antichità, con un lato maggiore di dimensioni identiche a quelle del lato minore della vicina basilica di Massenzio: “si trattava”, spiega Gallo, “di fissare, attraverso le forme geometriche, il rapporto fra la scala monumentale del fabbricato marmoreo, rapportato ai volumi delle rovine classiche, e il percorso esoterico dantesco racchiuso nelle pareti, prive di aperture verso l’esterno, che sembrano slittare l’una sull’altra. Il fine era pienamente simbolico: meno di un terzo della superficie totale del progetto, infatti, aveva una funzione pratica, legata alle sale di esposizione e alla biblioteca. Tuttavia l’interesse per la metrica dei volumi, la concatenazione degli ambienti, i giochi di luce e l’uso dei materiali innovativi, restituiscono il pensiero degli autori sulla forma, sulla funzione specifica di un monumento che, se realizzato, sarebbe stato uno dei maggiori risultati del Novecento”.

Il Danteum era, in sostanza, un progetto fortemente innovativo, il cui impatto è stato restituito nella sua interezza dalla mostra di Urbino che, per la prima volta, ha esposto i materiali originali del progetto di Lingeri e Terragni, conservati nell’Archivio Lingeri di Milano, nella loro completezza, e in dialogo con uno dei capolavori della raccolta permanente di Palazzo Ducale, la Città ideale, dipinto simbolo del Rinascimento, del quale non conosciamo l’autore. Il Danteum era anch’esso una sorta di edificio ideale: intanto, era un fatto inedito che l’architettura venisse chiamata a dar forma all’immaginario dantesco. Poi, il linguaggio che avrebbe dovuto sostenere l’edificio era anch’esso un qualcosa di mai tentato prima: si trattava infatti di conciliare le istanze dell’avanguardia dell’architettura con, da un lato, le esigenze celebrative del regime fascista e, dall’altro, quelle richieste dalla rappresentazione, in forme architettoniche, del repertorio di Dante Alighieri. Per adoperare le parole di Federica Rasenti: “un’architettura nata dall’immaginario, l’astrazione del poema dantesco ricondotta a matematica e geometria”.

Le tavole del Danteum alla mostra Città di Dio. Città degli Uomini. Architetture dantesche e utopie urbane
Le tavole del Danteum alla mostra Città di Dio. Città degli Uomini. Architetture dantesche e utopie urbane
Le tavole del Danteum alla mostra Città di Dio. Città degli Uomini. Architetture dantesche e utopie urbane
Le tavole del Danteum alla mostra Città di Dio. Città degli Uomini. Architetture dantesche e utopie urbane
Le tavole del Danteum alla mostra Città di Dio. Città degli Uomini. Architetture dantesche e utopie urbane
Le tavole del Danteum alla mostra Città di Dio. Città degli Uomini. Architetture dantesche e utopie urbane
Le tavole del Danteum alla mostra Città di Dio. Città degli Uomini. Architetture dantesche e utopie urbane
Le tavole del Danteum alla mostra Città di Dio. Città degli Uomini. Architetture dantesche e utopie urbane
Le tavole del Danteum alla mostra Città di Dio. Città degli Uomini. Architetture dantesche e utopie urbane
Le tavole del Danteum alla mostra Città di Dio. Città degli Uomini. Architetture dantesche e utopie urbane

L’obiettivo dei due architetti, com’ebbe modo di sintetizzare lo stesso Giuseppe Terragni nella relazione che accompagnava il progetto, era quello di “immaginare e tradurre in pietra un organismo architettonico che attraverso le equilibrate proporzioni dei suoi muri, delle sue sale, delle sue rampe, delle sue scale, dei suoi soffitti, del gioco mutevole della luce e del sole, che penetri dall’alto, possa dare a chi percorra gli spazi interni la sensazione di isolamento contemplativo di astrazione dal mondo esterno permeato di troppa vivacità rumorosa e di ansia febbrile di movimento e traffico”. Per dar forma al Danteum, che per Terragni era un “fatto plastico di valore assoluto vincolato ai caratteri della composizione dantesca”, i due architetti immaginarono uno schema capace di far aderire il monumento architettonico all’opera letteraria facendo condividere le due entità (“fatti spirituali”, nella relazione di Terragni) in modo armionoso: e questa convivenza, per i progettisti, sarebbe stata possibile soltanto impostando l’edificio secondo la ripartizione di numeri simbolici come l’1, il 3, il 7, il 10 e le loro combinazioni. Si spiega in questo modo anche la scelta del Rettangolo Aureo, così definito in quanto i suoi lati sono tra loro in rapporto aureo (il lato minore è uguale al segmento medio proporzionale tra il lato maggiore e il segmento che risulta dalla differenza dei due lati): questa forma geometrica può essere peraltro scomposta in un quadrato e in un altro rettangolo aureo. Si trattava inoltre, spiegava ancora Terragni, di una forma molto utilizzata nell’antichità (in particolare da assiri, egizi e romani): l’esempio della Basilica di Massenzio, anch’essa impostata su di una pianta coincidente con un rettangolo aureo, era lì vicino a dimostrarlo.

La traduzione in leggi numeriche dell’immaginario dantesco non era però sufficiente per trasformare in architettura la Divina Commedia: occorreva suggerire al visitatore anche la sensazione di attraversare i tre luoghi dell’aldilà dantesco. Così, per esempio, per l’Inferno si sarebbe resa necessaria, si legge ancora nella relazione, “un’atmosfera che suggestioni il visitatore e sembri gravare anche fisicamente sulla sua mortale persona e lo commuova così come il ‘viaggio’ commosse Dante nella contemplazione della sventura delle pene dei peccatori che nel triste pellegrinaggio egli andava via via incontrando”. Terragni riconosceva però che descrivere un simile stato d’animo era già stato difficile per Dante con la parola: con i mezzi dell’architettura l’impresa sarebbe stata ancor più ardua. Così, con genio visionario, Terragni e Lingeri pensarono di utilizzare le possibilità offerte dalla geometria per cercare l’essenzialità dei luoghi danteschi: un fitto colonnato ci porta nella selva oscura, un’architettura vuota e pesante sostiene la sala dell’inferno, un ambiente di pieni con aperture sul cielo informa il purgatorio, una sala ariosa e luminosa porta il visitatore nel paradiso. “Ottenere il massimo di espressione con il minimo di retorica, il massimo di commozione col minimo di aggettivazione decorativistica o simbolistica”, scrissero i due architetti. “È una grande sinfonia da realizzare con strumenti primordiali”.

Il Danteum doveva essere una sorta di tempio, circondato da possenti mura, con una studiatissima organizzazione spaziale: anche le quote altimetriche sono tutte diverse e basate sui multipli di tre (2,70 metri per l’inferno, 5,40 per il purgatorio e 8,10 per il paradiso). Rievocare dunque le cantiche solo con gli elementi costruttivi, che per Terragni “sono la base, l’alfabeto col quale un architetto può comporre più o meno armonicamente”. L’architettura, secondo il grande architetto, “non è costruzione e neppure soddisfazione di bisogni di ordine materiale; è qualcosa di più; è la forza che disciplina queste doti costruttive e utilitarie ad un fine di valore estetico ben più alto. Quando si sarà raggiunta quella ‘armonia’ di proporzioni che induca l’animo dell’osservatore a sostare in una contemplazione, o in una commozione, solo allora allo schema costruttivo si sarà sovrapposta un’opera di architettura”.

L’edificio progettato da Terragni e Lingeri, spiega ancora Rasenti, “si snoda attraverso un percorso obbligato, al contempo ascensionale e simbolico, che conduce alla scoperta graduale delle varie sequenze spaziali poste alle diverse quote. La visita attraverso le sale parte dalla strada e ad essa riconduce, l’ingresso rompe l’introversione del Danteum creando una sorta di varco tra due linee rette, che si apre attraverso le alte mura. Ricalcando il poema dantesco, la scoperta dell’edificio avviene attraverso la selva oscura, spazio dominato dalla presenza di cento colonne, qui il fitto colonnato si contrappone a un’ampia corte contigua, che lo anticipa e gli si oppone, evocativamente, attraverso il vuoto”. Grande protagonista dell’edificio, è la luce, cui spetta il compito di scandire lo spazio: nella sala dell’Inferno, pochi spiragli di luce contribuiscono, sottolinea ancora Rasenti, a “creare l’atmosfera di sospensione e sottolineano la presenza delle sette colonne monolitiche di differenti spessori che definiscono lo spazio, sorreggendo al contempo le diverse porzioni del soffitto, composto anch’esso da sette blocchi”. Passando dall’Inferno al Purgatorio, le sette porzioni di soffitto dell’Inferno diventano aperture sul cielo, agognato dai peccatori che stanno espiando le loro pene in attesa di salire al Paradiso, dove i visitatori avrebbero trovato un tetto di vetro sorretto da colonne di cristallo, per avere sgombra la vista sulla volta celeste. Una passeggiata attraverso locali che non avevano uno scopo pratico, non erano legati a una funzione che non fosse quella della rievocazione del viaggio del Sommo Poeta.

Pietro Lingeri, Giuseppe Terragni, Progetto per il Danteum, Planimetria 1 : 500 (1938; china e acquerello su carta Fabriano su telaio di legno, 103 x 65 cm; Milano, Archivio Lingeri)
Pietro Lingeri, Giuseppe Terragni, Progetto per il Danteum, Planimetria 1:500 (1938; china e acquerello su carta Fabriano su telaio di legno, 103 x 65 cm; Milano, Archivio Lingeri)
Pietro Lingeri, Giuseppe Terragni, Progetto per il Danteum, Pianta a quota 10 metri (1938; china e acquerello su carta Fabriano su telaio di legno, 103 x 65 cm; Milano, Archivio Lingeri)
Pietro Lingeri, Giuseppe Terragni, Progetto per il Danteum, Pianta a quota 10 metri (1938; china e acquerello su carta Fabriano su telaio di legno, 103 x 65 cm; Milano, Archivio Lingeri)
Pietro Lingeri, Giuseppe Terragni, Progetto per il Danteum, Fronte principale (1938; china e acquerello su carta Fabriano su telaio di legno, 103 x 65 cm; Milano, Archivio Lingeri)
Pietro Lingeri, Giuseppe Terragni, Progetto per il Danteum, Fronte principale (1938; china e acquerello su carta Fabriano su telaio di legno, 103 x 65 cm; Milano, Archivio Lingeri)
Pietro Lingeri, Giuseppe Terragni, Progetto per il Danteum, Trittico: veduta prospettica verso il Colosseo con bassorilievi di Mario Sironi (1938; china e acquerello su carta Fabriano su telaio di legno, 206 x 65 cm; Milano, Archivio Lingeri)
Pietro Lingeri, Giuseppe Terragni, Progetto per il Danteum, Trittico: veduta prospettica verso il Colosseo con bassorilievi di Mario Sironi (1938; china e acquerello su carta Fabriano su telaio di legno, 206 x 65 cm; Milano, Archivio Pietro Lingeri)
Pietro Lingeri, Giuseppe Terragni, Progetto per il Danteum, Prospettiva della sala dell’Inferno (1938; china e acquarello su carta Fabriano su telaio in legno, 106 x 65 cm; Milano, Archivio Pietro Lingeri)
Pietro Lingeri, Giuseppe Terragni, Progetto per il Danteum, Prospettiva della sala dell’Inferno (1938; china e acquarello su carta Fabriano su telaio in legno, 106 x 65 cm; Milano, Archivio Pietro Lingeri)
Pietro Lingeri, Giuseppe Terragni, Progetto per il Danteum, Prospettiva della sala del Purgatorio (1938; china e acquarello su carta Fabriano su telaio in legno, 106 x 65 cm; Milano, Archivio Pietro Lingeri)
Pietro Lingeri, Giuseppe Terragni, Progetto per il Danteum, Prospettiva della sala del Purgatorio (1938; china e acquarello su carta Fabriano su telaio in legno, 106 x 65 cm; Milano, Archivio Pietro Lingeri)
Pietro Lingeri, Giuseppe Terragni, Progetto per il Danteum, Prospettiva della sala del Paradiso (1938; china e acquarello su carta Fabriano su telaio in legno, 106 x 65 cm; Milano, Archivio Pietro Lingeri)
Pietro Lingeri, Giuseppe Terragni, Progetto per il Danteum, Prospettiva della sala del Paradiso (1938; china e acquarello su carta Fabriano su telaio in legno, 106 x 65 cm; Milano, Archivio Pietro Lingeri)

L’obiettivo del regime fascista era, ovviamente, di carattere propagandistico: nello Statuto preparato da Valdameri, la proposta era quella di erigere “in questa era, nella quale la volontà ed il genio del Duce stanno realizzando il sogno imperiale di Dante, un tempio al massimo poeta degli italiani”, che avrebbe dovuto “attuare celebrazioni del verbo dantesco, considerato fonte prima della grande creazione di Mussolini”, dove ci sarebbe stata anche una “completa di tutto quanto possa servire agli studiosi di Dante”, e che avrebbe contribuito a “suggerire ed aiutare tutte quelle iniziative che fomentino e attestino il carattere imperiale dell’Italia fascista”.

Prima della mostra di Urbino, soltanto tre persone furono in grado di vedere tutte le tavole del progetto assieme: i due autori, e Benito Mussolini. La rassegna di Palazzo Ducale ha pertanto aperto a più occhi il corpus completo dei fogli per il Danteum. Il progetto di Terragni e Lingeri, come anticipato, non avrebbe mai visto la luce: alla fine del 1939 fu definitivamente accantonato per le mutate condizioni politiche e soprattutto in vista dell’impegno bellico dell’Italia, che di lì a poco, il 10 giugno del 1940, sarebbe entrata in guerra a fianco della Germania, contro Francia e Gran Bretagna. Il Danteum sarebbe dunque rimasto rappresentato, spiega Rasenti, “solo su carta, in un corpus di circa trenta fra tavole acquerellate e disegni, accompagnati dal modello, dalla relazione descrittiva e dal computo metrico estimativo”. Eppure, anche se rimasto solo su carta, il Danteum non può non essere considerato, per i caratteri innovativi e visionari che animano il progetto, una delle icone del modernismo italiano.


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