Il Museo della Battaglia e di Anghiari custodisce un importante nucleo di opere grafiche di Albrecht Dürer (Norimberga, 1471 - 1528), grande artista considerato il massimo esponente del Rinascimento tedesco che seppe portare per la prima volta l’arte dell’incisione ad alti livelli, grazie alle sue grandi capacità tecniche, ma soprattutto per aver reso l’incisione un linguaggio artistico compiuto e a sé stante, andando oltre la sola funzione di far circolare determinate composizioni e immagini. Nel suo trattato Malerei und Zeichnung pubblicato nel 1891, Max Klinger, a proposito dell’opera grafica di Dürer affermava infatti che “non suscita in noi l’idea della trasposizione di un’immagine pittorica, non sembra voler tradurre impressioni cromatiche in quanto tali, né si lascia una sensazione di incompiutezza: è in sé compiuta, e quello che mostra è stato pensato proprio così, a prescindere da ciò che l’eterna impossibilità di attuare appieno la propria intenzione sottrae a qualunque artista. […] A lui è stato possibile cogliere la forma, l’azione, lo stato d’animo: i colori dei quali avrebbe potuto servirsi avrebbero ricondotto la sua fantasia nel mondo reale, e invece questo mondo lui lo ha trasceso”.
L’importante nucleo è stato donato al Museo nel 2021 grazie alla generosità del collezionista Giorgio Bagnobianchi e alla sua volontà di condividere le sue raccolte di stampe, carte geografiche, quadri, libri per renderle visibili a tutti attraverso un’istituzione che potesse valorizzarle con esposizioni e attività didattiche. Anche se non anghiarese, ma innamorato del borgo toscano fin dalla prima volta che lo ha visitato per ammirare le opere di Piero della Francesca conservate sul territorio, su tutte la Madonna del Parto, Bagnobianchi ha trovato nel Comune di Anghiari la possibilità di realizzare questo suo sogno di condivisione pubblica. Un dono che ha fatto alla città di Anghiari con il cuore.
Fanno parte appunto del Fondo Bagnobianchi preziose incisioni di Dürer e alcune di queste si possono ammirare per la prima volta ora in mostra al Museo della Battaglia e di Anghiari fino all’8 marzo 2023, in occasione del percorso espositivo Storie di donne. Da Albrecht Dürer alla contemporaneità di Ilario Fioravanti, curata dagli storici dell’arte Benedetta Spadaccini (dottore aggregato e assistente curatore Disegni e Stampe presso la Veneranda Biblioteca Ambrosiana) e Gabriele Mazzi (direttore del Museo della Battaglia e di Anghiari) e realizzata dal Comune insieme al Museo della Battaglia e di Anghiari.
Tra le opere grafiche esposte, meritano un approfondimento, poiché di notevole importanza sia dal punto di vista compositivo che dal punto di vista tecnico, due incisioni a bulino raffiguranti rispettivamente Adamo ed Eva e Il mostro marino, entrambe eseguite dopo il primo viaggio in Italia che l’artista compì tra il 1494 e il 1495. Per il grande artista di Norimberga fu fondamentale infatti l’incontro con il Rinascimento italiano, da cui cercò di assimilare la grazia e la proporzione nella rappresentazione del corpo umano, alla ricerca della bellezza ideale, nonché il suo incontro con Jacopo de’ Barbari a Norimberga tra il 1501 e il 1502, il quale si trasferì da Venezia in Germania. Nella cultura tedesca i corpi nudi apparivano artificiosi e innaturali; c’era una certa resistenza ad accettare la nudità classica e di questo Dürer ne era ben consapevole. Ma è grazie all’incontro tra la tradizione tedesca e il Rinascimento italiano che Dürer riesce a raffigurare nudi proporzionati e naturali: è il primo artista del Nord a rappresentare corpi nudi secondo questi principi armoniosi.
Con l’Adamo ed Eva del 1504 Dürer presenta due corpi ideali e perfetti nella posa e nelle proporzioni, ma anche modellati con convenienza classica, andando oltre i calcoli vitruviani con i quali i nudi venivano “costruiti”, come nella Nemesis del 1501.
Il nudo era già stato da lui affrontato come soggetto nel primo bulino sul quale aveva apposto la data, ovvero le Quattro donne nude, del 1497. Si tratta di quattro figure femminili nude raffigurate in piedi in un ambiente interno, disposte a cerchio così da poterle mostrare frontalmente e di schiena, riprendendo l’iconografia delle Tre Grazie con l’aggiunta di una quarta figura in secondo piano. Una sorta di studio della figura femminile colta da più punti di vista, sebbene Erwin Panofsky abbia rilevato in quest’opera anche un significato allegorico-didascalico: “una straordinaria esibizione di nudità femminile, intesa come moderna nel senso del rinascimento italiano […], tramutata in un’ammonizione contro il peccato”.
Nell’Adamo ed Eva si giunge alla piena realizzazione del modello perfetto di corpo umano, sia dal punto di vista tecnico che estetico. Adamo ed Eva sono qui rappresentati tra gli alberi, nudi, coperti solo nei loro sessi da foglie. Sono immersi in un ambiente naturale ricco di simboli, che connette il tema del Peccato originale alla teoria dei quattro temperamenti, i quali sono rappresentati dagli animali che l’artista ha introdotto nell’opera. Ai luminosi due corpi di Adamo ed Eva ancora incorrotti fa da contrappunto l’ombrosa atmosfera boschiva in cui si trovano gli animali (i diversi temperamenti non sono infatti ancora entrati nei due corpi perché questi non hanno ancora mangiato il frutto del peccato, ovvero la mela, che Eva sta prendendo dalla bocca del serpente; il corpo corrotto li accoglierà, determinandone quello prevalente sugli altri): il gatto simboleggia la crudeltà biliosa contro il topo, dell’alce la malinconia, il coniglio la sensualità sanguigna, il bue l’apatia flemmatica. Altri due animali inoltre sono riferimenti allegorici: il camoscio posto sulla roccia, nello sfondo in alto a destra, simboleggia l’occhio di Dio che dall’alto vede tutto e il pappagallo, poggiato sul ramo dell’Albero della vita afferrato da Adamo, simboleggia la lode innalzata al Creatore. La presenza degli animali assieme ad Adamo ed Eva si ritrova anche nella tavola del Peccato originale del ciclo della Piccola passione compiuta tra il 1508 e il 1512, ma a differenza dell’opera precedente Adamo ed Eva sono stretti in un abbraccio e animali differenti rappresentano i quattro temperamenti: il leone simboleggia quello collerico, il bisonte il melanconico, il tasso quello flemmatico, mentre la coppia di Adamo ed Eva quello sanguigno.
L’incisione a bulino del 1504, che per l’artista costituisce il raggiungimento dell’uso magistrale di questa tecnica che consiste nell’incidere il disegno in una lastra di metallo, è firmata e datata per esteso nel cartello appeso all’Albero della vita: “ALBERTUS | DURER | NORICUS | FACIEBAT | 1504”; firma e data sono accompagnata dal monogramma AD. Fu preceduta da molti disegni preparatori, di cui il più celebre è quello a penna conservato alla Pierpont Morgan Library di New York, mentre risale a tre anni dopo, al 1507, il doppio dipinto di Adamo ed Eva conservato al Museo del Prado.
La composizione dell’incisione ebbe tuttavia un notevole successo, tanto che singole parti sono state riprese in incisioni italiane del Cinquecento e in vari dipinti e sculture: ne sono esempi la Circe di Dosso Dossi, ora conservata alla National Gallery di Washington, e la terracotta invetriata di Giovanni della Robbia con la tentazione di Adamo della Walters Art Gallery di Baltimora.
Precedente all’Adamo ed Eva è l’incisione a bulino intitolata Il mostro marino dello stesso Dürer. Realizzata nel 1498, l’opera raffigura anche qui una figura nuda, una fanciulla, che mentre si bagna nelle acque, tra le onde increspate, viene rapita da una creatura più anziana metà uomo e metà pesce che reca in una mano una sorta di scudo dall’aspetto di un carapace. A fare da sfondo è un villaggio alla base del monte, sulla cui cima si erige invece un castello che richiama quello di Norimberga. Sulla riva un uomo corre e si dispera per il rapimento della fanciulla e alcune bagnanti dall’acqua osservano l’accaduto.
Firmata in basso al centro con monogramma AD, l’incisione è denominata dal suo autore Das Meerwunder, ma rimane ancora oscura la fonte di ispirazione di quest’opera. Resta infatti una delle stampe più enigmatiche di Dürer: si contraddistingue per la tematica curiosa e di difficile decifrazione. Per questo è considerata una "conversation piece", in quanto le ambiguità sono parte integrante dell’opera e conducono un pubblico selezionato, colto e umanisticamente preparato a una vera conversatio, un esercizio di lettura e di commento dell’opera da condividere con altri. Che si tratti di un rapimento e non di una fuga si comprende proprio dalla figura maschile in vesti orientali che si agita sulla riva, forse il padre o l’amante della donna rapita, ma soprattutto dalle figure femminili ancora nell’acqua che rendono manifesta la loro angoscia. La donna era certamente una di loro, anche se l’elaborato e lussuoso copricapo con perle indica uno status differente dalle altre; volge il suo sguardo verso di loro mentre viene portata via dalla creatura marina, per cui non prova alcun interesse.
Ad eccezione del copricapo che porta sulla testa, la figura è completamente nuda, ma in questo caso è distesa, a differenza dei nudi che sono stati citati finora e delle Quattro donne nude che l’artista rappresentò nel 1497. Questo potrebbe essere visto perciò come uno studio di nudo disteso. La fanciulla presenta comunque una spiccata somiglianza con la Nuda conservata all’Albertina di Vienna, disegno di Dürer di qualche anno più tardi, del 1501: sembra che quest’ultima si rifaccia a una xilografia presente nella Hypnerotomachia Poliphili, romanzo pubblicato a Venezia nel 1499 del quale l’artista acquisterà successivamente un esemplare.
Ne Il mostro marino è evidente l’ispirazione classica formale che spazia dall’arte antica ad Andrea Mantegna (in particolare la Lotta dei tritoni di Mantegna copiata da Dürer nel 1494) e la tematica del rapimento di una fanciulla, ricorrente nella mitologia greco-romana. Anche Vasari nell’edizione giuntina menziona “una ninfa portata via da un mostro marino, mentre alcun’altre Ninfe si bagnano” intagliata in un “rame maggiore”. Sebbene la critica abbia tentato in passato di cercare un’allusione mitologica, nessuno dei soggetti proposti ha convinto pienamente: tra le ipotesi avanzate, il ratto di Anemone, Perimele e Acheloo, Anna Perenna e Numicio, Glauco e Sime.
Erwin Panofsky cita Poggio Bracciolini che riferisce di un racconto in cui la storia di un tritone viene trasferita nel XV secolo e sulla costa della Dalmazia: un mostro metà uomo e metà pesce, con piccole corna e una barba fluente, che aveva l’abitudine di rapire bambini e ragazze che si divertivano sulla spiaggia, fino a quando venne ucciso da cinque lavandaie. Fedja Anzelewsky ha suggerito il riferimento all’antica storia tedesca che vedeva la regina longobarda Teodolinda rapita da un mostro marino. Nel 1472 la storia in 31 strofe era apparsa sotto il titolo di Das Meerwunder all’interno di un ciclo di leggende tedesche redatto dal nobile Kaspar von der Rhön a Norimberga. Nel 1552 la stessa storia diventò un racconto in prosa grazie ad Hans Sachs.
L’Adamo ed Eva e Il mostro marino sono considerati due dei più importanti capolavori grafici di Albrecht Dürer e la mostra del Museo della Battaglia e di Anghiari dà occasione di ammirarli qui per la prima volta grazie al dono che il generoso collezionista ha voluto compiere, innamorato del borgo.
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ISCRIVITI ALLA NEWSLETTERL'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.